domenica 25 maggio 2014

25.05.2014 - Commento alla prima lettera di Pietro cap. 3, par. 2

2. Per la nostra vita spirituale.
La famiglia e il matrimonio...
L’esortazione di S. Pietro alle mogli ed ai mariti cristiani è di grande importanza specialmente per i nostri tempi, nei quali le famiglie sono disgregate e vanno sempre più disgregandosi, per lo spirito del mondo che le avvelena, e per lo spirito di apostasia che praticamente vi regna. Sotto questo aspetto si può affermare che il Sacramento del matrimonio, col quale Gesù Cristo ha voluto consacrare le basi di una famiglia, perché in essa germogliassero i figli del regno di Dio sulla terra e nel Cielo, è il Sacramento meno compreso e più profanato. Le grazie che sono annesse a questo Sacramento, che S. Paolo ha dichiarato grande in Gesù Cristo e nella Chiesa, sono completamente ignorate e dissipate da quelli che lo ricevono.
La preparazione a un Sacramento di capitale importanza, per la vita di quelli che lo contraggono e per la società, è completamente negativa. Il conferimento di questo Sacramento, del quale gli stessi sposi sono i ministri col loro libero consenso, e che perciò dovrebbe avere un carattere sublimamente sacro, è ridotto ad una dissipata funzione mondana, dove manca il più piccolo riguardo religioso. La coscienza dei doveri, che impone il Sacramento agli sposi, si riduce alla sterile lettura degli articoli del codice civile, che non danno e non possono dare il sentimento di una responsabilità di coscienza innanzi a Dio.
È necessario che le anime, per seguire l’insegnamento di San Pietro che è un riepilogo dei doveri familiari della moglie e del marito, considerino la realtà del matrimonio come si presenta oggi, dolorosamente, e come dev’essere innanzi a Dio. E prima di tutto il matrimonio è una missione nella vita, e suppone come primo fondamento l’orientamento dell’anima alla volontà di Dio, e quindi la preghiera fervorosa per conoscere la volontà di Dio. Invece, quasi sempre le anime si lasciano guidare unicamente da un principio tutto umano, materiale ed egoistico. Cercano la loro sistemazione materiale nel mondo, lasciandosi guidare dal capriccio della passione, quasi sempre egoistica e materiale.
Manca in questa importante decisione non solo il fare appello al Signore per conoscere la sua volontà, ma anche il farsi guidare dai genitori e da qualche saggio Sacerdote che regola la coscienza. Si cerca la sposa o lo sposo nei luoghi dove non si raccolgono molte volte che i rifiuti della società: nei teatri, nei cinema, nelle sale da ballo
0 nei ritrovi mondani. La determinazione alle nozze, in questi casi, può essere la sensualità ed il peccato.
È dalla scelta dello sposo o della sposa che dipende il buon principio di un matrimonio ordinato e santo, quando la scelta è fatta nella luce di Dio. Alla scelta segue il fidanzamento che dovrebbe essere la conoscenza scambievole, la ponderazione di doveri e delle responsabilità che si abbracciano, e soprattutto lo scambievole aiuto spirituale con la frequenza dei Sacramenti, con la preghiera e con una seria accurata cognizione del Catechismo e dei doveri del matrimonio. Invece i fidanzamenti si riducono moltissime volte a scambi di leggerezze riprovevoli, od anche a contese banali che scindono
1 cuori anziché unirli in Dio con santi propositi.
Non bisogna dimenticare che i fidanzati sono quasi sempre giovani inesperti e superficiali, specie oggi che la gioventù è più educata al male ed alla corruzione che al bene, alla serietà, ed alla considerazione del Sacramento che riceve sposandosi.
Si va alle nozze con un fasto tutto mondano, senza considerazione del Tempio di Dio, ci si va con poca modestia, circondati da gente familiare o amica che si presenta in Chiesa con lo stesso contegno, in una dissipazione di chiacchiere vane, come se stesse a teatro. In un ambiente di dissipazione si uniscono tutti in sale o alberghi per il simposio, e gli sposi partono per il viaggio di nozze, e profanano il primo giorno del loro matrimonio in luoghi più o meno corrotti e certamente dissipanti l’anima, proprio quando dovrebbe essere più raccolta in Dio.
Al ritorno del deprecabile viaggio di nozze, gli sposi si trovano nella loro casa, dove in armonia di amore scambievole debbono compire la loro grande missione. Ed è proprio allora che le esortazioni di San Pietro debbono regolare i loro rapporti familiari, se non si vuole mutare la casa in un inferno di dissensioni.
La donna in famiglia
La moglie, aiuto dato da Dio all’uomo fin dalla creazione, e sottoposta all’uomo dopo il peccato originale, come pena espiatrice del peccato, dev’essere soggetta all’uomo, non subendone la prepotenza, ma per amore di Dio. Nella casa la moglie è aiuto materiale dell’uomo, ma molto più aiuto spirituale. La moglie deve compire nella casa un apostolato vero e proprio, per indurre il marito ad una vita veramente cristiana. Deve perciò farsi rispettare e amare non con apparenze seduttrici, ma con la sua virtù.
Siccome il mondo, specialmente oggi, è pieno di scandali che trascinano facilmente gli uomini a desideri ed azioni perverse che distruggono l’integrità e la pace delle famiglie, la donna deve presentarsi al marito sempre decorosamente ordinata e composta, in modo da non suscitargli ripugnanza. Questo potrebbe facilmente convergere gli occhi su altre donne, con pericolo di traviamento. Il decoro., unito alla virtù, incute nell’uomo il rispetto e l’amore per la propria moglie.
Se la donna ricorre a ritrovati mondani per essere gradita al marito, a sfoggio di vesti o di vanità che, in fondo, costano a lui sacrifici di danaro, possono suscitargli nell’anima una reazione dispettosa, o possono attrarlo a considerare con desiderio concupiscente altre donne ornate mondanamente con esibizioni impure. Non è la vanità esagerata della moglie che può indurre il marito al rispetto ed alla fedeltà. Perciò la parola di San Pietro è di salutare ammonimento per le donne: Il vostro ornamento non sia quello esteriore, che consiste in acconciature di riccioli, e nella bardatura di ori, o nello sfoggio di vesti, ma quello interiore, cioè il vostro io, la vostra anima santa e pura, nascosta nel cuore col tesoro incorruttibile della dolcezza e della calma dello spirito. Questo è ciò che ha grande pregio innanzi a Dio.
Dunque, il grande segreto, per mantenere l’armonia di amore tra la moglie e il marito, è la profonda virtù dell’anima della moglie che rifulga dalla sua vita, nella dolcezza e nella calma, e che tutela la pace nella casa. Per formarsi alla virtù soda, S. Pietro esorta le mogli ad ispirarsi all’esempio delle donne sante, e cita per esempio Sara. È un mezzo efficace per imparare a vivere santamente.
È sommamente deprecabile per una donna il leggere romanzi, e il frequentare spettacoli e conversazioni futili, che guastano l’anima e corrompono il cuore. I romanzi sono la falsificazione della vita, e gli spettacoli presentano al pubblico esempi di donne guaste e corrotte, in una cornice di seduzione che affascina e trae al vizio. Non si può negare che le supposte artiste del cinema, del teatro e della televisione sono donne leggere, a dir poco, corrotte, viziose, che vengono chiamate dive con parola blasfema, mentre sono in realtà demoni, nel più stretto senso della parola, fomentatrici di adultèri, adultere esse stesse non raramente, divorziate più volte, cariche di peccati di scandalo, corruttrici della società, profanatrici sulle scene, dove si presentano, del sacro concetto del matrimonio.
I mariti...
Dalle mogli S. Pietro passa ai mariti, che sono con la moglie il fondamento della famiglia. Bisogna anche riconoscere che oggi di mariti veramente buoni e secondo Dio ce ne sono pochissimi. Chi ha esperienza della vita presente deve convenire che i mariti sono in uno stato deplorevole di corruzione, e sono il tormento delle povere mogli. Violenti, le maltrattano; lontani da Dio, sono infedeli, adùlteri e giungono fino a delitti che fanno inorridire. Egoisti fino all’eccesso, non curano i figli, e sperperano i frutti del loro lavoro in vizi. Lontani dall’essere educatori dei loro figli, ne sono lo scandalo e li portano al male. Bestemmiatori moltissime volte, portano la maledizione nella casa, e la mutano in un inferno. Dediti all’ubbriachezza, si comportano come folli; dediti al giuoco, vi portano la miseria; lontani dalla Chiesa e dai Sacerdoti si riducono come belve *.
Chi conosce la società moderna ed ha familiarità con lo stato delle famiglie dovrà convenire che noi non esageriamo presentando così i mariti. Con poche parole S. Pietro esorta i mariti; parole rivolte ai mariti cristiani ai quali scriveva, ma che sono un monito per i mariti di tutti i tempi, se si approfondiscono nella luce dello Spirito Santo che le ispirava: Vooi, o mariti, convivete saggiamente con le mogli, che sono come un vaso più fragile. In quella parola saggiamente, c’è tutto un programma di vita coniugale dei mariti con le mogli: Saggiamente, da uomini ragionevoli, senza trascendere come folli contro di loro; saggiamente, secondo la legge di Dio e non secondo i capricci della passione impura; saggiamente, considerando i sacrifici ai quali è soggetta una moglie nella maternità e nel governo della casa, e per questo l’Apostolo soggiunge di riguardarle come un vaso più fragile, non per debolezza, come si è detto nel commento letterale, ma per delicatezza di costituzione, specialmente nella maternità, che esige per loro riguardi particolari e delicatezza nel trattarle.
Perciò soggiunge ancora: — trattandole con rispetto — non come serve, o, peggio, come schiave, rispettandone soprattutto le esigenze spirituali, e vivendo con loro la vita spirituale, poiché anch’esse sono eredi assieme con loro della grazia della vita soprannaturale. Lungi dall’ostacolarle nella vita spirituale, devono essere coi mariti un’anima sola nella preghiera, avendo detto Gesù che dove sono due o tre congregati nel suo nome Egli è in mezzo a loro, e le loro preghiere sono efficaci per ottenere grazie.
È, dunque, un dovere per i mariti pregare con le mogli, andare a Messa e comunicarsi con loro, recitare insieme il Rosario. È questa comune preghiera che la rende efficace per ottenere grazie per l’anima, il corpo e per il bene della famiglia. Se questo languisce, è proprio perché il marito, la moglie e i figli, quando vi sono, non pregano insieme.
Anche quando i figli sono infanti, è di somma utilità alla loro formazione il tenerli vicini o star vicino alla loro culla quando si prega. La dolce e cadenzata voce della preghiera è per loro un’armonia che li acquieta, o, se si vuole, è una ninna nanna che li addormenta, lasciando in loro una soave impressione, proprio come s’imprime la musica su un disco di grammofono con tanti piccoli graffi, che diventano musica quando vi passa sopra la punta metallica.
È una cosa importantissima per la formazione dei piccoli, i quali, coinè mostra l’esperienza, svegli nei primi albori dell’intelligenza, ripetono come una nenia l’armonia di quelle sante parole che non capiscono ancora e non sanno pronunziare. La mamma che tiene al petto il figlioletto, ed il babbo che lo tiene in braccia e lo vezzeggia, dicendogli: sii buono, ama Dio, ama Maria, sii dolce, sii calmo..., ed alterna queste buone parole con un sospiro di preghiera, imprime sull’anima innocente un segno di bontà e di pace che ne calma il sistema nervoso, e che rinasce a misura che il piccolo cresce, come piccolo germoglio che si sviluppa e fiorisce.
Le prime impressioni sono quelle che rimangono fortemente nelle anime innocenti, e ne formano il carattere, educandolo alla bontà. Mostrare all’infante una bella immagine del Crocifisso o della Madonna richiamando l’attenzione sua sulle piaghe di Gesù, sulle spine del suo capo, sulla bellezza di Maria, significa formare quel piccolo cuore alla tenerezza, alla compassione, alla dolcezza. Questa pedagogia, diciamo così, infantile, è frutto dello spirito di preghiera dei genitori, che nella santa armonia del marito e della moglie, raccolti innanzi a Dio, rende efficaci le loro orazioni.
Dalle raccomandazioni fatte alla moglie ed ai mariti, S. Pietro passa con logica illazione a quelle fatte per tutti; dalla pace familiare a quella sociale, e come riepilogando in un senso più generale le sue esortazioni, esclama: Insomma, siate tutti concordi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, umili. Sono le virtù necessarie per noi che viviamo insieme, a qualunque classe sociale apparteniamo. Con la concordia siamo uniti; con la compassione ci sopportiamo e ci aiutiamo; amandoci come fratelli abbiamo un comune legame con Dio che è nostro Padre; con la misericordia ci perdoniamo a vicenda, con l’umiltà di cuore evitiamo ogni sopraffazione nostra sugli altri, ogni orgogliosa pretesa di comandare. Queste virtù armonizzano le anime che vivono insieme come una grande famiglia, con uno stesso ideale cristiano.
Ma nella società ci sono anche i cattivi, e tra i cristiani ci sono pure contrasti, per l’umana debolezza e fragilità; ed allora ci vuole grande virtù di pazienza, e quindi non rendere male per male, vendicandosi dei torti ricevuti, non reagire con le ingiurie alle ingiurie, il che moltiplica i contrasti e attizza le dissensioni. Bisogna rispondere con le benedizioni a chi ci insulta o ci maledice, seguendo fedelmente i precetti del Vangelo.
S. Pietro allude a quelli che perseguitano i cristiani, ma anche noi in ogni tempo, possiamo essere contrastati nel bene che facciamo e lo si vede nella storia dei Santi, che nel loro apostolato sono stati sempre osteggiati. Servi di Gesù Cristo, dobbiamo imitarlo e andare
avanti nel fare il bene, senza temere contraddizioni e minacce, confidando in Lui, trionfatore delle insidie degli uomini e dei demoni.
Quando sull’anima sorge un disegno di bene
Per la nostra vita spirituale, qui è opportuno, applicando le esortazioni di S. Pietro, a quelli che sono perseguitati facendo del bene, considerare come deve regolarsi un’anima che forma un disegno di bene, o ha, dal Signore, una missione nella Chiesa e nelle anime per divina ispirazione. Bisogna anzitutto tener presente che un disegno di bene può sorgere nell’anima da circostanze umane, che sembrano accidentali, e sono come... il canovaccio rozzo sul quale Dio ricava il suo disegno.
Così la violenta sgarbatezza di un sagrestano verso un fanciullo, fa sorgere a S. Giovanni Bosco l’idea di raccogliere i fanciulli in un oratorio ed educarli al bene. Era un’idea naturale sorta dalla compassione del Santo per un fanciullo maltrattato da un violento. L’idea dilatandosi nell’anima, nel cuore e nella stessa fantasia, divenne un progetto, un programma di apostolato, che richiedeva l’aiuto divino e l’abbandono filiale a Lui per svilupparsi. Il Santo pregò e ricorse a Dio per intercessione di Maria SS., come suo aiuto particolare. Di qui la devozione e l’appello filiale a Maria ausiliatrice, rifugio suo nell'operare.
L’idea divenne progetto, il progetto un programma, il programma, elaborato con la preghiera, divenne disegno di Dio, per la grandiosa opera che voleva affidargli. Il disegno di Dio apparve, agli uomini impigriti nella loro vita giornaliera dalla ricerca del proprio comodo, apparve una pazzia, ed ecco le prime opposizioni al santo proposito che era diventato disegno di Dio, ecco le persecuzioni che dovevano eliminare dal proposito e dal disegno ogni inframettenza di umano concorso, di umana soddisfazione, di umana prudenza, che sono sempre di ostacolo allo sviluppo del bene, e concentrano l’anima maggiormente nell’aiuto di Dio e nella protezione materna di Maria.
Il progetto di un’opera buona attraverso gli ostacoli ed i dolori si purifica dell’elemento umano e cresce nelle stesse tempeste come grano che sotto la raffica della neve non può svilupparsi in alto, e si sviluppa nella sua. radice, rendendo, poi, più fecondo lo svilupparsi in alto, ai primi raggi del sole di primavera. Questo è il processo di tutte le opere buone che compiono le anime sante.
Ci sono, poi, dei disegni di Dio che non nascono da umane circostanze, ma sono una vera missione che Dio dà ad un’anima, come avvenne ai Profeti, od a quei Santi fondatori di ordini religiosi che ebbero da Dio direttamente o dalla Madonna l’ispirazione ed il comando di una particolare fondazione, come quella per la redenzione degli schiavi, quella dei sette Servi di Maria ecc. Queste missioni divine, fatte per il bene della Chiesa, per illuminare la sua dottrina, per scuotere le anime intorpidite dal rilassamento spirituale, incontrano maggiori ostacoli, che degenerano in vere persecuzioni da parte dei medesimi buoni, che in buona fede pensano di fare opera di zelo nel contrastare un bene che ad essi apparisce male.
La Chiesa stessa, come avvenne per la devozione al Cuore di Gesù, può intervenire negativamente contro queste speciali missioni di Dio, può ostacolarle per le stesse supreme Autorità, come avvenne per la « Somma teologica » di S. Tommaso d’Aquino e per la teologia morale di S. Alfonso de’ Liguori. Sono fatti storici innegabili, che possono mettere le anime ad un duro cimento.
Anche nelle opposizioni ad una missione di Dio, le opposizioni e le persecuzioni sono permesse dal Signore, per purificare le anime che l’hanno da ogni inframettenza umana, e per vivificarle nel dolore, rendendole vittime di amore per la salvezza delle anime. Non sempre, infatti, giunge presto l’ora di Dio, e può anch’essa venire preceduta dall’ora di satana e dalla potestà delle tenebre, come disse Gesù a quelli che lo catturarono per crocifiggerlo. La stessa persecuzione e la medesima potestà delle tenebre serve a compire il disegno di Dio,
come lo compì Gesù, compiendo la Redenzione proprio con la sua immolazione, trionfando del peccato e della morte.
L’esortazione di S. Pietro alle anime che soffrono per fare il bene, è preziosa ed è una grande luce sia per chi sviluppa un’opera buona, sia per chi ha una missione da Dio per la Chiesa e per le anime. Ed ecco come debbono regolarsi queste anime:
Perseguitate, non debbono rendere male per male, né ingiuria per ingiuria, ma debbono rispondere con la benedizione, con la pazienza e col perdono. Non debbono reagire, ma cercare la concordia con tutti nella vera carità, compassionando le debolezze di quelli che le contrastano. Anziché concepire astio per quelle categorie di persone che le contrastano, come potrebbe accadere coi Sacerdoti, con le suore o con le persone pie, devono amare tutti come fratelli e sorelle con grande misericordia, e con profonda umiltà, tanto gradita a Dio; debbono credersi meritevoli di ogni ingiuria e di ogni contraddizione.
Nelle contraddizioni e nelle persecuzioni è facile parlare con gli altri per difendersi, e nel parlare è spontaneo incolpare gli altri e metterli in cattiva luce anche con parole esagerate. Ma ecco le parole di S. Pietro che, citando il Salmo 34, ammonisce le anime contrariate nel bene e quelle perseguitate: Raffrenare la lingua e le labbra dal parlare ingannevole, schivare il male e fare il bene, rimettendo tutto a Dio, cercare la pace ed inseguirla, cioè correrle appresso anche quando i persecutori non la vogliono, sicure di avere su di loro, come predilette di Dio, lo sguardo del Signore e la sicurezza di essere esaudite da Lui.
Se le anime contrariate e perseguitate parlano con risentimento, possono fare esse stesse la propaganda di quello che si dice contro di loro. Temendo le conseguenze della calunnia che subiscono, e volendosi difendere, aggravano la loro situazione penosa e non se ne accorgono. La loro animosità nel difendersi con esuberanti parole le fa credere ree, perché si crede sempre più alla calunnia che a chi se ne difende, ed allora la calunnia si propaga, l’anima deve contentarsi di una conveniente difesa della verità, ma con dolcezza e riserbo, e smentire le accuse che le si fanno vivendo santamente, perché questa è la più bella difesa che può fare di quello che compie per la gloria di Dio e per le anime.
L’esempio di Gesù
Lo sappiamo; per regolarsi così, applicando le parole di S. Pietro alla propria vita tribolata, ci vuole un grande eroismo, e la natura vi può ripugnare; ma ecco un motivo luminosissimo che S. Pietro suggerisce ai tribolati: l’esempio di Gesù Cristo che li sprona ed il suo grande trionfo che incoraggia e conforta le anime che soffrono facendo il bene ed obbedendo al volere di Dio, che vuole che compiano una missione e seguano fedelmente la sua volontà.
Se infatti, — dice S. Pietro — piace al volere di Dio che si abbiano sofferenze e contraddizioni, è meglio soffrire facendo del bene, che commettendo il male. Poiché anche il Cristo, una volta per sempre, a causa dei peccati nostri, giusto per gl’ingiusti, per condurci a Dio, ucciso quanto alla carne, ma vivificato quanto allo spirito, sussistendo in questo spirito, si recò a proclamare la salvezza anche agli spiriti che si trovavano in carcere... Risorto, poi, dalla morte salì al Cielo ed è alla destra del Padre, ed a Lui sono sottoposti Angeli, Potestà e Virtù.
Ecco l’argomento sommo per le anime tribolate e perseguitate: esse soffrono, è vero, ma non subiscono la sofferenza come chi è sopraffatto; la soffrono operando mirabilmente con la stessa sofferenza, unite a Gesù Cristo che non fu ridotto all’impotenza come voleva il Sinedrio, non fu radiato dai viventi quando fu crocifisso, ma proprio allora, messo in Croce come un malfattore, vinse il peccato, e, ucciso, vinse la morte. Rimase esanime nel sepolcro, ed apparve ridotto all’impotenza assoluta, quando si pose sulla tomba un grande masso, e lo si suggellò; ma l’anima sua, separata dal corpo per la morte, non fu inerte. Lo si era ucciso perché finalmente non parlasse più, come faceva in vita, annunziando il compimento della Redenzione predetta dai Profeti, e l’anima sua, attiva più di prima, discese all’inferno, al limbo, o, come lo chiamavano gli Ebrei, al seno di Abramo, nello sceol, e proclamò la salvezza anche a quegli spiriti santi che erano nel carcere.
Vivendo sulla terra, annunziò la salvezza ai peccatori che erano nel carcere del corpo, per salvarli dalla morte eterna; morto, l’anima suà continuò la predicazione nel Limbo, ed annunziò in una fulgida luce di verità il compimento della salvezza a quelle anime che furono incredule sulla terra, come lo furono gli uomini al tempo di Noè. Essi non credettero al castigo annunziato da Noè, finché, vedendolo compiuto con la morte sterminatrice, si pentirono, ed attesero la Redenzione liberatrice.
I contemporanei di Gesù non credettero alla misericordia che Egli annunziò conversando con i peccatori, ma alla morte di Gesù i viventi si pentirono, e i morti uscirono dalle loro tombe quando nell’oscurità del sole e nel terremoto della terra, videro in quei segni la realtà del compimento della Redenzione. Morti da giusti e chiusi nel carcere del Limbo, tra le pene della purificazione, sentirono la parola viva dell’anima del Crocifisso, che annunziò loro la salvezza. Né bastò questo trionfo della predicazione a Gesù, che era stato crocifisso perché tacesse; nel silenzio della morte, Egli, al terzo giorno, risuscitò a vita immortale; rivisse sulla terra per quaranta giorni, per confermare la salvezza che aveva predicata; ascese al Cielo con la sua umanità gloriosa: la quale sedette alla destra del Padre, e nella sua stessa umanità gloriosa è dominatore divino degli Angeli, e di quelli che nella natura angelica erano splendore di potenza che domina e di virtù di attività che operano nel creato. Era questa la corona splendida dell’umanità che Egli aveva assunta e nella quale aveva patito.
La prova a cui furono sottoposti gli Angeli
Infatti, è opinione dei teologi, che trova conferma in queste parole di S. Pietro, è opinione che Lucifero e gli Angeli che lo seguirono nella ribellione alla prova, alla quale furono sottoposti gli Angeli tutti per meritare l’eterna gloria, si ribellarono perché fu loro rivelata l’umanità che avrebbe assunto il Verbo di Dio, e furono invitati ad adorarla.
L’uomo come natura è inferiore agli Angeli; ora, Lucifero, il più splendente degli Angeli, superbo della sua bellezza, non considerando, da stolto, la divina logica di quella prova di fedeltà e di amore che Dio richiedeva per elevarlo nell’eterna gloria e nell’eterna felicità con un merito personale, che l’avrebbe resa più bella e più nobile, si ribellò, rifiutando di adorare la divina umanità del Verbo di Dio. Con lui si ribellarono quelli che, nei cori delle Potestà e delle Virtù, si inorgoglirono della potenza del loro spirito e del dominio che avevano sulle cose create.
I primi consideravano l’umanità che avrebbe assunta il Verbo di Dio come inferiore alla loro potenza, i secondi come inferiore al loro dominio sulle mirabili forze ed armonie delle cose create, e seguirono Lucifero nella ribellione. Infedeli nella prova, rifiutarono la grazia con la quale Dio li aveva creati, e, come pianeti distaccati dal sole, presuntuosi di bastare a loro stessi perché, illuminati, credettero che lo fossero per propria luce. Si oscurarono proprio come un pianeta staccato dal sole, divennero orribili, come pianeti che perdono ogni bellezza ed ogni fecondità. Rifiutando di adorare l’umanità che avrebbe assunta il Verbo di Dio, eterna Sapienza e luce di verità eterna, rimasero senza luce di verità e furono bugiardi, padri di menzogna.
Erano stati creati puri spiriti, ma, riconcentrati e immersi nel loro orgoglio, divennero sozzamente impuri. Erano stati creati liberi, perché liberamente avessero meritato la gloria, e profanarono quel dono di libertà che doveva espanderli in Dio con un atto di fedeltà e di amore, come loro merito, e, diremmo, come prezzo della loro grandezza, che doveva farli soddisfatti del premio eterno, come felicità conquistata; e, nella disperata rabbia che suscita l’orgoglio che fallisce e non riconosce di fallire, sempre potenti nella loro attività di natura, ebbero ed hanno sete di volgerle al male, e divennero maligni.
Non potevano negare la realtà e la grandezza di Dio, e ne tremarono e ne tremano, « contremiscunt », ma, incapaci volontariamente di adorazione che sarebbe stata amore e pace, lo odiano; impotenti a fargli del male, si rivolgono con furore contro le sue creature, ebbri di sconvolgere le loro leggi se creature materiali, e di depravare il loro spirito se creature ragionevoli e libere. Ecco perché alla creazione del primo uomo e della prima donna, satana irruppe contro di loro con la menzogna e con la tentazione.
II Verbo di Dio si fece uomo, e satana non lo riconobbe, ma lo sospettò; non aveva voluto riconoscerlo nell’eterna luce nella quale Dio lo mostrò agli Angeli come prova, per renderli capaci del merito, e non lo riconobbe nell’umana carne. Cercò saperlo; ardì persino di tentarlo nel deserto, ma fu vinto dalla parola di Dio, con la quale Gesù lo confuse; parola illuminante dell’eterno Verbo, ma sfolgorata nella sublime veste dell’umiltà nell’assunta umanità; ribelle, non capì la divina sublimità di Colui che si era fatto obbediente al Padre, ed obbediente in sudditanza a Maria SS. ed a S. Giuseppe.
Stolto nella penetrante intuizione della propria natura angelica, tentò glorificarlo nella potenza con la quale lo scacciava dai corpi, ma Gesù lo costrinse a tacere, non volendo che lo proclamasse colui che non aveva voluto riconoscerlo e adorarlo nella prova cui fu sottomesso da Dio. Sentiva la maestà dolcissima di Gesù, ma non lo amava. Quel raggio di luce divina lo sconvolgeva. Avrebbe voluto conoscere finalmente se era Dio, perché odiando Dio aveva voluto irrompere contro di Lui, ma era scacciato dalla potenza, e fuggiva. Lo volle porre alle strette ed entrò in Giuda perché lo avesse tradito e consegnato alla morte, sperando in una sua clamorosa rivelazione. Ma gli fallì la prova, perché Gesù non si manifestò, ma si lasciò catturare.
Giuda, invaso da satana, sperava anch’egli di porlo al cimento ed alla sua prova, perché non credeva più in Lui, e la confessione di S. Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente, lo aveva irritato. Volle provare se era Dio, e trarne un guadagno materiale; ma, quando lo vide condannato, ritornò sul concetto che era solo un uomo giusto, e si disperò, perché per sentimento umano non voleva giungere a tanto. Satana suscitò la perversità del Sinedrio contro Gesù, ma la pazienza di Lui lo confuse ancora una volta. La confessione, che Gesù fece innanzi al Sommo Sacerdote della sua divinità, suscitò in satana l’odio, e spinse il Sinedrio a incrudelire contro di Lui.
Ancora sperava satana in una manifestazione clamorosa per irrompere contro di Lui, Verbo di Dio umanato, ma il Cuore di Gesù sprizzava amore e dolcezza. Il maligno sospettò che fosse Dio, il Redentore, e cercò d’impedire la Passione sconvolgendo la moglie di Pilato perché avesse impedito che quel giusto fosse condannato. Ma Gesù era Dio umanato per redimere l’uomo, e satana si sfogò contro di Lui per l’odio che aveva contro Dio, e Gesù patì e morì, compiendo la Redenzione.
Satana allora avrebbe dovuto riconoscere la propria stoltezza nel non capire la prova logica ed amorosa a cui Dio aveva sottoposto Lui e gli Angeli. Noi stessi, chi sa, potremmo dire con rammarico: perché una prova che doveva finire in una rovina? E siamo stolti, non intendendo che era una prova logica e mirabile per spiriti nobilissimi e liberi, che dovevano meritare e conquistare l’eterna felicità, l’eterna visione ed unione con Dio, con una prova di amore.
Era logico, per la delicatezza divina verso creature libere, che non erano ancora elevate col lume della gloria, capace di renderle beate. Incapaci di questa visione, fu logico che Dio presentasse loro ciò che era, nei suoi eterni decreti di amore, il Verbo umanato perché lo avessero adorato. In questo solo potevano dare una prova amorosa di obbedienza e di fedeltà, capace di far loro meritare il premio della gloria eterna.
D’altra parte, non avendo il lume della gloria, non potevano affisarsi nel Verbo eterno senza rimanere offuscati dal suo infinito splendore, ed allora fu presentato loro velato dall’umana carne che avrebbe assunta. Questo stesso velame poteva dar loro un merito di fede nell’adorazione. Ma l’orgoglio vinse Lucifero ed i suoi seguaci, e, logicamente, invece del lume della gloria, ebbero la fitta tenebra dell’orgoglio, che li staccò anche dalla luce naturale che avrebbero potuto avere di Dio col lume della loro intelligenza angelica.
Le anime che soffrono per fare il bene...
Le anime che soffrono per fare il bene, e sono perseguitate sono unite alle sofferenze di Gesù Cristo, ed hanno parte ai suoi trionfi. Dunque, voleva dire S. Pietro con un argomento luminosissimo: Se piace al volere di Dio che voi soffriate, voi siete uniti a Gesù Cristo e questo è per voi conquista di eterno trionfo.
O anime cristiane, non vi sgomentate delle pene che soffrite dal mondo e nel mondo per la vostra fede, e per la pratica della vostra fede; non vi fate vincere dalla viltà e dal rispetto umano. Ringraziate Dio se le vostre sofferenze nel corpo o nell’anima sono gravi, perché vi portano al trionfo pieno sull’inferno, sul mondo e sulla carne, ed al trionfo dell’eterna felicità. Unitevi a Gesù nei vostri dolori, alla pazienza di Gesù, senza lamentarvene; alla perfetta unione sua alla volontà del Padre, senza ribellarvi; alla sua piena immolazione senza considerarvi come disgraziate nel mondo, quando siete predilette da Dio, perché la misura della vostra felicità eterna è data proprio dai vostri dolori nella vita mortale.
Non senza ragione Gesù Cristo, risorgendo e salendo al Cielo, volle portare nella sua gloriosa umanità le piaghe delle sue mani, dei suoi piedi e del suo costato; per quelle piaghe morì, e per quella del Cuore consumò fino all’ultima stilla la sua offerta al Padre. Quelle piaghe erano e sono, in eterno, il titolo del suo trionfo; e le stimmate dei vostri cuori saranno, in eterno, il titolo glorioso della vostra conquista, il prezzo scintillante nei fulgori dell’amore col quale abbiamo sofferto uniti a Gesù; il prezzo della vostra felicità, come sono fulgenti le piaghe di Gesù Cristo, prezzo della vostra salvezza. S. Tommaso d’Aquino, alla questione se Gesù Cristo sia disceso anche nell’inferno dei dannati, risponde affermativamente: per confondere i dannati. Noi preferiamo dire che vi discese per glorificare Dio, anche là, dove la sua infinita realtà e gloria era manomessa e disconosciuta, e forse, molto più, per giustificare innanzi ai demoni la prova alla quale Dio li aveva sottoposti quando erano angeli, e decaddero per il loro orgoglio e per la loro colpa.
Ci pare logico e conveniente che, avendo ristabilito la gloria di Dio col sacrificio della Croce, usando misericordia, la ristabilisse anche nell’inferno mostrandone la giustizia. Nella sua Passione, infatti, Gesù Cristo aveva mostrato, nei suoi ineffabili dolori, che potevano sembrare spietati da tutti i punti di vista, quanto Dio fosse stato giusto, e come in Lui crocifisso, si erano come abbracciate la giustizia e la misericordia, essendo gli attributi divini una sola e semplicissima cosa, divinamente armonica e splendente, benché noi teologicamente li distinguiamo per nostra intelligenza.
Non è da escludersi una nota di misericordia nella discesa di Gesù Cristo all’inferno dei dannati. Sappiamo, infatti, dalla Teologia, che le pene dei dannati, pur essendo gravissime e senza speranza, sono in un certo modo temperate, non essendo strettamente proporzionate alle colpe, che hanno in sé qualche cosa d’infinito, perché dirette contro Dio infinito.
Non possiamo dire se Gesù Cristo abbia portato loro un sollievo, ma certo il Verbo di Dio che si era incarnato per usare misericordia agli uomini e distruggere il peccato, potette usare ai demoni e ai dannati un ultimo atto di misericordia, dando loro un motivo di pentimento, che essi nella loro ostinazione e nel loro orgoglio rifiutarono. Schiacciati com’erano dalla infinita maestà dell’anima di Gesù, che, anche fuori del corpo era unita alla Divinità, pur rifiutando di pentirsi, dovettero riconoscerlo, e piegarono il ginocchio, come dice S. Paolo, non come chi adorando si riconosce peccatore e si pente, ma come chi è prostrato da una forza divina che lo vince.
Discendendo nell’inferno dei dannati e dei demoni, Gesù Cristo dovette lasciare nei demoni, almeno, l’impressione della sua potenza, e la grandezza della sua vittoria per la Croce, e per questo i demoni fuggono quando si fa dai Sacerdoti il segno della Croce, o quando spruzzano l’acqua santa, che riceve la sua efficacia dai meriti del Sangue di Gesù Cristo. Quell’acqua per loro non è refrigerante, e per questo ne rifuggono come da un bruciante tormento, che diminuisce o paralizza la loro malefica potenza. Cacciati da nobili sfere del firmamento cui dovevano presiedere, furono relegati sulla terra, minuscolo astro di fronte agli astri, e ne presero possesso come assoluti dominatori. Si direbbe che si trovarono quasi a loro agio tra i cataclismi che avvenivano nello sviluppo primitivo della terra (essendo essi spiriti di disordine) tra le fiamme che vi ardevano.
Dio, proprio sulla terra creò l’uomo, perché con la sua moltiplicazione avesse supplito i troni perduti dagli Angeli ribelli, e satana tentò l’uomo e lo fece cadere, perché non avesse contrastato il proprio dominio. Non bisogna dimenticare che l’Angelo, anche caduto, non perde la sua natura angelica, ma si serve in male delle potenti forze di quella natura. Né bisogna dimenticare che Dio rispetta la libertà di una creatura ragionevole, e che volle anche dall’uomo una prova di amore come l’aveva voluta dagli Angeli, per la conquista dell’eterna felicità.
Nei suoi eterni disegni di misericordia, Dio aveva già decretato di redimere l’uomo, per i fini altissimi della sua gloria, mandando il suo eterno Figliuolo sulla terra. Ancora una volta satana aveva come sfidato Dio, impedendo che l’uomo avesse preso il suo seggio nel Cielo e il suo dominio sulla terra. E Dio, pur lasciandolo libero nella sua natura angelica, compì nell’uomo-Dio la sconfitta di satana. Era logico, quindi, che Gesù Cristo, compiuta la Redenzione, andasse anche nell’inferno per dichiarare vinto il regno di satana, e inaugurato anche sulla terra il regno di Dio.
Nel suo orgoglio stupidissimo, satana che aveva preteso di essere simile all’Altissimo ascendendo nei cieli, com’è detto nella Scrittura, si fece Dio sulla terra, facendosi adorare negl’idoli, e tentò Gesù Cristo nel deserto perché lo avesse adorato anche Lui, del quale ignorava l’entità, ma del quale sospettava la realtà, promettendogli i regni e le glorie della terra, quasi come cambio dell’adorazione che gli chiedeva scrutandolo: Se sei figlio di Dio di’ che queste pietre diventino pane, gettati giù dal pinnacolo, per vedere se gli Angeli gloriosi ti raccolgono essendo Figlio di Dio. E, confuso dalle risposte di Gesù, gli propose il baratto del proprio regno, per avere da Lui quella adorazione che, anche nel sospetto che fosse figlio di Dio, sospetto confermato dalle divine risposte di Gesù, doveva rappresentare la vittoria sua su Dio, il cui Figliuolo fatto uomo lo avrebbe adorato.
Era logico, dunque, che, dopo la morte, Gesù scendesse nell’inferno, per ripetere col trionfo della Passione e morte, somma adorazione di Dio, la parola con la quale l’aveva scacciato dal deserto: Va’ via satana, poiché sta scritto Dio solo adorerai, ed a Lui solo servirai.
Satana fuggì spaventato, ma allora cominciò la sua implacabile lotta alla Chiesa fondata da Gesù Cristo, al regno di Dio anche sulla terra. Ma, nonostante la lotta di satana, la vittoria di Gesù era completa, perché, fondando la Chiesa su Pietro, aveva solennemente proclamato che le porte dell’inferno non avrebbero prevalso contro di lei. Il regno di Dio sulla terra era indefettibilmente stabilito.
Il Profeta Osea aveva predetto il nome del Redentore vittorioso per la sua Passione e morte: O morte, io sarò la tua morte, e perciò Gesù discese nel Limbo, nel regno dei morti, per annunziare loro la salvezza, e trarli al Cielo, e per annunziare la loro resurrezione futura, della quale era pegno e primizia la sua gloriosa resurrezione, che pure annunciò loro, certamente. I giusti del Limbo, infatti, lo videro nell’anima divina separato dal corpo, com’era la loro anima, e quindi lo videro come predato dalla morte; ma Gesù, annunziando loro la salvezza, non si dichiarò preda della morte, ma promise loro la resurrezione, annunziando la sua gloriosa resurrezione.
Strappò così al demonio la sua preda, perché il demonio, facendo cadere l’uomo nel peccato, lo rese preda della morte, introducendola nel mondo. Satana, per indurre l’uomo al peccato, disse ad Eva che gli negava il consenso: Non morirete, mangiando il frutto proibito, ma sarete simili a Dio. Così predò l’uomo creato da Dio, immortale, inaugurando il regno della morte. Per questo il Profeta Osea, profeticamente fa soggiungere dal Redentore: O inferno, io sarò la tua distruzione. O inferno, cioè regno della morte, e non già, o inferno dei dannati che è eterno.
Gesù Cristo morendo e risorgendo primizia gloriosa della totale resurrezione dei morti, fu morte della morte, e distrusse il regno della morte, per sempre. Cancellò così il peccato e la pena che Dio comminò al peccato: Morte morieris... ricordati che sei polvere ed in polvere ritornerai.
Sac. Dolindo Ruotolo

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