2. L'orribile delitto di Erode Antipa nella morte del Battista. La degradazione dei balli
Erode, detto anche Antipa, era figlio di Erode, detto il Grande, e fratello di Archelao e di Filippo. Nella divisione del regno paterno gli era toccata la Galilea e la Perea, che governò come tetrarca, cioè come principe. Sposò prima la figlia di Areta, re dei Nabatei, e poi, ripudiatala, prese in moglie, contro ogni legge, la consorte di suo fratello Filippo, chiamata Erodiade, la quale era anche sua nipote. Per questo incestuoso adulterio fu rimproverato più volte, pubblicamente, come può supporsi, da san Giovanni Battista, il quale gli disse apertamente che non gli era lecito avere la moglie del proprio fratello. Egli, sdegnato ed anche sobillato da Erodiade, imprigionò il Battista, e l'avrebbe ucciso se non avesse temuto l'ira del popolo che lo stimava come un profeta.
La prigione dove lo rinchiuse si trovava a Macheronte nella Perea, all'Est del Mar Morto, fortezza che si elevava su di un monte alto 764 metri sul Mediterraneo, e 1.150 sul Mar Morto, circondata all'intorno da profonde valli.
Nel giorno natalizio di Erode si tenne a corte una gran festa, e in questa si esibì a ballare la figlia di Erodiade, chiamata Salomè. La danza piacque ad Erode, già preso dai fumi del vino, ed egli promise alla giovane con giuramento di darle qualunque cosa gli avesse domandato. Salomè andò a consultarsi con la madre e, insinuata da lei, domandò di avere allora stesso in uno dei piatti della mensa, la testa di Giovanni Battista. E terribile il solo pensiero di una così crudele domanda, fatta, per di più, nell'esultanza di un banchetto regale. Erode medesimo, pur essendo abituato alla crudeltà, ne fu rattristato, ma credette doveroso per un re non ritirare il giuramento fatto, e temette scapitare di autorità innanzi ai convitati mostrandosi umano, di modo che mandò allora stesso a decapitare san Giovanni nella prigione, e ne fece portare il capo alla fanciulla, la quale lo diede alla madre.
In poche parole semplici il Vangelo racconta questo fatto oltremodo truce, perché la stessa semplicità del racconto ne mostra tutta l'efferatezza. La festa evidentemente si celebrava in Macheronte stesso, nel grande palazzo che Erode il grande aveva fatto edificare per sé; tripudiava la corte scellerata, e gemeva l'innocente nel tenebroso carcere; ballava la giovane lasciva, e come premio domandava la sanguinante testa del profeta; in mezzo all'esultanza di un giorno natalizio appariva la morte, e quel giorno che avrebbe dovuto essere di regali elargizioni divenne giorno dell'efferata ed ingiusta condanna di un santo!
La fanciulla che avrebbe dovuto portare fiori alla festa vi porta la testa sanguinante di un Martire, e l'offre alla madre quasi dono smagliante del regale banchetto.
Erode continua a gozzovigliare e i suoi cortigiani continuano ad abbrutirsi, eppure quelle sale erano macchiate del sangue di un giusto! È difficile immaginare in un solo delitto un cumulo di tante scelleratezze! Ecco dove può condurre l'impurità, ed ecco di quali eccessi può essere capace una donna precipitata negli abissi della colpa! Erode era pessimo, eppure non giunse ad uccidere il Battista se non quando una donna perversa, lo spinse al crudele delitto!
Nella via del cielo non c'è un ostacolo più terribile quanto la passione impura, perché l'impurità è il capovolgimento delle aspirazioni dell'uomo: invece di tendere in alto, l'uomo tende in basso, verso l'abisso della carne; invece di cercare l'amore eterno, cerca l'amore sensuale, e si abbrutisce nei suoi desideri insaziati; in luogo di cercare la luce della Verità eterna, cerca le tenebre delle illusioni; s'agita, si confonde, decade, perde ogni delicatezza, diventa duro di cuore, insensibile al bene, incapace di compassione e di carità, empio verso Dio dal quale rifugge, e verso il quale concepisce persino sentimenti di avversione. È necessario custodire la purezza con estrema delicatezza, se si vuol conservare all'anima lo slancio del suo volo verso Dio e i beni eterni; bisogna fuggire le crapule e gli spettacoli mondani, nei quali si annida tanto spesso la morte di ogni delicato desiderio.
Quelli che s'illudono che ogni ballo possa rappresentare un'arte e possa essere, praticamente, immune da degradazione, guardino nel piatto ferale la testa recisa del Battista, e pensino che quel capo sanguinante è anche un simbolo della diminuzione della propria dignità cristiana, e ricorda quasi, diremmo, agli incauti, che è proprio la testa equilibrata e santa che è colpita a morte in certi balli, dai quali non si esce mai col capo a posto. Se si pensa poi alla degradante miseria morale dei balli moderni, nessuno potrà sconvenire che essi sono tribunali di delitto, dove si condanna a morte la purezza e la santità e dove è proprio il piacere delle movenze lascive che pronunzia questa infame sentenza.
Certe cose non possono coonestarsi con pretesti artistici; se si potesse vedere la turpitudine interna che si genera nell'anima mentre s'impazzisce nei ritmi delle danze, se si potesse scorgere la rovina, diremmo, dell'estetica spirituale, nessuno oserebbe parlar bene dei balli in nome dell'estetica. A confessione di persone, per nulla sospette di scrupoli, il corpo umano diventa un richiamo di erotismo e di abbrutimento nelle sue movenze ritmiche anche moderate; figuriamoci che cosa diventa quando col pretesto ritmico si martellano i sensi perché s'accendano di fiamme invereconde!
Erode, detto anche Antipa, era figlio di Erode, detto il Grande, e fratello di Archelao e di Filippo. Nella divisione del regno paterno gli era toccata la Galilea e la Perea, che governò come tetrarca, cioè come principe. Sposò prima la figlia di Areta, re dei Nabatei, e poi, ripudiatala, prese in moglie, contro ogni legge, la consorte di suo fratello Filippo, chiamata Erodiade, la quale era anche sua nipote. Per questo incestuoso adulterio fu rimproverato più volte, pubblicamente, come può supporsi, da san Giovanni Battista, il quale gli disse apertamente che non gli era lecito avere la moglie del proprio fratello. Egli, sdegnato ed anche sobillato da Erodiade, imprigionò il Battista, e l'avrebbe ucciso se non avesse temuto l'ira del popolo che lo stimava come un profeta.
La prigione dove lo rinchiuse si trovava a Macheronte nella Perea, all'Est del Mar Morto, fortezza che si elevava su di un monte alto 764 metri sul Mediterraneo, e 1.150 sul Mar Morto, circondata all'intorno da profonde valli.
Nel giorno natalizio di Erode si tenne a corte una gran festa, e in questa si esibì a ballare la figlia di Erodiade, chiamata Salomè. La danza piacque ad Erode, già preso dai fumi del vino, ed egli promise alla giovane con giuramento di darle qualunque cosa gli avesse domandato. Salomè andò a consultarsi con la madre e, insinuata da lei, domandò di avere allora stesso in uno dei piatti della mensa, la testa di Giovanni Battista. E terribile il solo pensiero di una così crudele domanda, fatta, per di più, nell'esultanza di un banchetto regale. Erode medesimo, pur essendo abituato alla crudeltà, ne fu rattristato, ma credette doveroso per un re non ritirare il giuramento fatto, e temette scapitare di autorità innanzi ai convitati mostrandosi umano, di modo che mandò allora stesso a decapitare san Giovanni nella prigione, e ne fece portare il capo alla fanciulla, la quale lo diede alla madre.
In poche parole semplici il Vangelo racconta questo fatto oltremodo truce, perché la stessa semplicità del racconto ne mostra tutta l'efferatezza. La festa evidentemente si celebrava in Macheronte stesso, nel grande palazzo che Erode il grande aveva fatto edificare per sé; tripudiava la corte scellerata, e gemeva l'innocente nel tenebroso carcere; ballava la giovane lasciva, e come premio domandava la sanguinante testa del profeta; in mezzo all'esultanza di un giorno natalizio appariva la morte, e quel giorno che avrebbe dovuto essere di regali elargizioni divenne giorno dell'efferata ed ingiusta condanna di un santo!
La fanciulla che avrebbe dovuto portare fiori alla festa vi porta la testa sanguinante di un Martire, e l'offre alla madre quasi dono smagliante del regale banchetto.
Erode continua a gozzovigliare e i suoi cortigiani continuano ad abbrutirsi, eppure quelle sale erano macchiate del sangue di un giusto! È difficile immaginare in un solo delitto un cumulo di tante scelleratezze! Ecco dove può condurre l'impurità, ed ecco di quali eccessi può essere capace una donna precipitata negli abissi della colpa! Erode era pessimo, eppure non giunse ad uccidere il Battista se non quando una donna perversa, lo spinse al crudele delitto!
Nella via del cielo non c'è un ostacolo più terribile quanto la passione impura, perché l'impurità è il capovolgimento delle aspirazioni dell'uomo: invece di tendere in alto, l'uomo tende in basso, verso l'abisso della carne; invece di cercare l'amore eterno, cerca l'amore sensuale, e si abbrutisce nei suoi desideri insaziati; in luogo di cercare la luce della Verità eterna, cerca le tenebre delle illusioni; s'agita, si confonde, decade, perde ogni delicatezza, diventa duro di cuore, insensibile al bene, incapace di compassione e di carità, empio verso Dio dal quale rifugge, e verso il quale concepisce persino sentimenti di avversione. È necessario custodire la purezza con estrema delicatezza, se si vuol conservare all'anima lo slancio del suo volo verso Dio e i beni eterni; bisogna fuggire le crapule e gli spettacoli mondani, nei quali si annida tanto spesso la morte di ogni delicato desiderio.
Quelli che s'illudono che ogni ballo possa rappresentare un'arte e possa essere, praticamente, immune da degradazione, guardino nel piatto ferale la testa recisa del Battista, e pensino che quel capo sanguinante è anche un simbolo della diminuzione della propria dignità cristiana, e ricorda quasi, diremmo, agli incauti, che è proprio la testa equilibrata e santa che è colpita a morte in certi balli, dai quali non si esce mai col capo a posto. Se si pensa poi alla degradante miseria morale dei balli moderni, nessuno potrà sconvenire che essi sono tribunali di delitto, dove si condanna a morte la purezza e la santità e dove è proprio il piacere delle movenze lascive che pronunzia questa infame sentenza.
Certe cose non possono coonestarsi con pretesti artistici; se si potesse vedere la turpitudine interna che si genera nell'anima mentre s'impazzisce nei ritmi delle danze, se si potesse scorgere la rovina, diremmo, dell'estetica spirituale, nessuno oserebbe parlar bene dei balli in nome dell'estetica. A confessione di persone, per nulla sospette di scrupoli, il corpo umano diventa un richiamo di erotismo e di abbrutimento nelle sue movenze ritmiche anche moderate; figuriamoci che cosa diventa quando col pretesto ritmico si martellano i sensi perché s'accendano di fiamme invereconde!
Sac. Dolindo Ruotolo
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