8. La parabola del debitore dei diecimila talenti
Per confermare questa verità Gesù raccontò la bella parabola del debitore dei diecimila talenti e di quello di cento denari. Diecimila talenti, se computati col talento attico di argento, usato in Palestina ai tempi di Gesù, equivalevano a circa 55 milioni, se computati col talento ebraico, equivalevano al doppio.
Il servo infedele dunque era debitore di una somma enorme, impagabile nonostante ogni suo sforzo. Simbolo bello questo del peccato diretto contro Dio, che non può soddisfarsi senza una misericordia infinita. Cento denari equivalevano a circa 86 lire, e stabiliscono nella parabola la proporzione dell'offesa fatta a noi in confronto di quella fatta a Dio.
Se il Signore è tanto misericordioso con noi da perdonarci ad un semplice atto di supplicante penitenza, anche noi dobbiamo essere misericordiosi verso chi è debitore verso la società, verso la Chiesa, o verso di noi di offese, o di danni.
Gesù condanna assolutamente la spietatezza verso i poveri peccatori, anche se questa spietatezza sembrasse giustificata dalla necessità di conservare l'ordine. La spietatezza non produce alcun bene, soffoca, opprime, toglie la libertà di rinsavire, inasprisce, ottenebra.
Bisogna dunque compatire e perdonare, poiché questo è l'esempio che ci dà Dio, e questo è il retaggio che Gesù Cristo ha lasciato alla sua Chiesa, perdonando sulla croce anche ai suoi crocifissori. Abbiamo, sì, orrore del peccato, riproviamolo, condanniamolo, ma abbiamo misericordia per il peccatore, pensando che anche Dio ci ha usato tante misericordie, assai maggiori di ogni nostra valutazione. Certe forme di zelo spietato non piacciono a Dio, e praticamente non giovano a nulla, poiché la durezza inasprisce e incancrenisce le piaghe. Se invece di essere spietati si pregasse per i poveri traviati, quanti frutti di penitenza si raccoglierebbero nella Chiesa!
Per confermare questa verità Gesù raccontò la bella parabola del debitore dei diecimila talenti e di quello di cento denari. Diecimila talenti, se computati col talento attico di argento, usato in Palestina ai tempi di Gesù, equivalevano a circa 55 milioni, se computati col talento ebraico, equivalevano al doppio.
Il servo infedele dunque era debitore di una somma enorme, impagabile nonostante ogni suo sforzo. Simbolo bello questo del peccato diretto contro Dio, che non può soddisfarsi senza una misericordia infinita. Cento denari equivalevano a circa 86 lire, e stabiliscono nella parabola la proporzione dell'offesa fatta a noi in confronto di quella fatta a Dio.
Se il Signore è tanto misericordioso con noi da perdonarci ad un semplice atto di supplicante penitenza, anche noi dobbiamo essere misericordiosi verso chi è debitore verso la società, verso la Chiesa, o verso di noi di offese, o di danni.
Gesù condanna assolutamente la spietatezza verso i poveri peccatori, anche se questa spietatezza sembrasse giustificata dalla necessità di conservare l'ordine. La spietatezza non produce alcun bene, soffoca, opprime, toglie la libertà di rinsavire, inasprisce, ottenebra.
Bisogna dunque compatire e perdonare, poiché questo è l'esempio che ci dà Dio, e questo è il retaggio che Gesù Cristo ha lasciato alla sua Chiesa, perdonando sulla croce anche ai suoi crocifissori. Abbiamo, sì, orrore del peccato, riproviamolo, condanniamolo, ma abbiamo misericordia per il peccatore, pensando che anche Dio ci ha usato tante misericordie, assai maggiori di ogni nostra valutazione. Certe forme di zelo spietato non piacciono a Dio, e praticamente non giovano a nulla, poiché la durezza inasprisce e incancrenisce le piaghe. Se invece di essere spietati si pregasse per i poveri traviati, quanti frutti di penitenza si raccoglierebbero nella Chiesa!
Sac. Dolindo Ruotolo
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