martedì 12 agosto 2014

12.08.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 18 par. 2-6

2. La vera grandezza innanzi a Dio, la piccolezza che sublima
La speciale considerazione di Gesù Cristo verso san Pietro nel pagamento del tributo e molto più le grandi parole con le quali precedentemente gli aveva promesso di farlo fondamento della sua Chiesa, aveva fatto supporre agli apostoli che fosse vicino il trionfo, ed aveva acceso in loro il desiderio di parteciparvi con posti eminenti. Gesù aveva più volte parlato ad essi della sua Passione, ma quelle parole non erano scese nei loro cuori, ed essi non le avevano neppure comprese nel loro profondo significato. Chi si trova in un avvenimento straordinario, infatti, in generale rifugge dall'idea dell'immolazione e sogna sempre trionfi. Guarda il termine e la meta senza guardare la strada che vi conduce e le difficoltà che s'incontrano.
Anche nelle cose comuni della vita avviene così: chi deve fare una gita in montagna, per esempio, si entusiasma della poesia del panorama e non riflette sull'asprezza della salita; una giovane che si sposa si entusiasma dell'abito, della carrozza, della festa, e magari dello sposo; pensa alla casetta propria, al dominio che vi eserciterà, alle dolcezze della vita, e non pensa alle difficoltà terribili del nuovo stato che abbraccia.
Gli apostoli stavano sempre in attesa di trionfi impressionanti, tali da umiliare i nemici del Signore. Seguivano Gesù con amore, ma pensavano pure al quid ergo erit nobis, cioè a quello che avrebbero avuto in seguito.
È probabile anche che l'ascesa dei tre prediletti sul Tabor nella notte della trasfigurazione, e l'emozione che avevano mostrato al loro ritorno, abbia fatto sospettare agli altri apostoli che qualche cosa di grande era avvenuto, o che avessero avuto qualche speciale mandato, quindi per introdursi presso Gesù e sapere di che si trattasse, proposero la domanda: Chi è il maggiore nel regno dei cieli? Gesù Cristo rispose chiamando a sé un pargolo che stava lì presso, un fanciullo dallo sguardo pieno d'ingenuità, che spirava candore, lo pose in mezzo ad essi e disse quelle profonde parole, fondamento di ogni grandezza vera nella Chiesa e nelle anime: In verità vi dico che se non vi cambierete e non diventerete come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli. Chiunque pertanto si farà piccolo come questo fanciullo, questi sarà il più grande nel regno dei cieli.
Gli apostoli parlavano del regno dei cieli intendendo alludere al regno del Messia come essi lo sognavano, e Gesù parlò del vero regno dei cieli, della via di Dio e della gloria eterna, unica meta ed unico scopo della redenzione. Tutto quello che è grandezza umana è nulla di fronte all'eternità, e per raggiungere le vette della verità e le altezze della virtù che conducono al Signore, bisogna farsi piccoli ed avere le virtù dei piccoli. I fanciulli, non ancora viziati da cattive inclinazioni, sono semplici, umili, senza invidia, senza pretensioni, senza livore, tutti della mamma e del babbo, abbandonati a loro e pronti ai loro cenni. Non ragionano che col ragionamento dei genitori, non giudicano che col loro giudizio, non confidano negli estranei, non li ascoltano, non li seguono. Rifulge in loro soprattutto la semplicità e l'abbandono, perché essi intendono o meglio sentono che la loro vita dipende da quella dei genitori e massimo da quella della mamma che li alimenta e li cura più direttamente.
Gesù Cristo, invitandoci ad essere come fanciulli, c'invita a questo abbandono filiale ed a questa piena fiducia nel Padre celeste e nella sua adorabile volontà. Per questo abbandono l'anima crede, spera ed ama; crede senza presumere di criticare le eterne verità, spera senza dubitare della divina bontà, ama apprezzando Dio come unica grandezza ed unica meta. Non si entra nella luce ineffabile degli eterni misteri senza avere un'anima semplice e senza prima fare un atto di fede illimitata ed incondizionata.
Non è la propria logica, la propria limitata ragione così piena di tenebre, lo strumento ottico, per così dire, che ci fa scorgere questo firmamento sublime. I ragionatori che, in realtà, ragionano tanto poco, i critici e gli ipercritici che vivono di sciocchezze, e spessissimo di fantasie, tutti ristretti in pochi scartafacci, come tarli che se ne alimentano, quelli che non sanno puntare il cannocchiale verso il cielo, ma verso le valli, non capiranno mai nulla del Signore. La logica, il ragionamento, la ragione, sono luci che si accendono dopo avere acceso la luce della fede con infantile semplicità.
Si vede la logica della fede quando si è creduto per grazia divina, non già si crede dopo aver visto la logica della fede.
Si ragiona quando la mente è piena della verità, ma non la si ricolma di luce ragionando col povero e ingarbugliato criterio umano; pretendere di vedere nel divino senza aver prima elevato l'occhio interiore al divino, per vederlo limpidamente, è lo stesso che pretendere di numerare le stelle nelle profondità dei cieli, senza prima averle affissate col telescopio.
Dio ai cosiddetti grandi del mondo, che viceversa sono infimi nelle loro visuali, non si rivela per delicato rispetto alla loro libertà; non li richiama in alto se essi non vogliono ascendervi; solo all'anima semplice ed infantile che è tutta aperta a Lui quasi corpo diafano, si rivela, perché la sua verità non vi trova ostacoli. Il sole non penetra un corpo opaco, lo illumina solo esternamente; se la sua luce e il suo calore lo volessero penetrare lo dovrebbero bruciare come fa il fuoco quando investe un corpo.

3. L'infanzia a cui allude Gesù non è fanciullaggine
L'infanzia alla quale c'invita Gesù non è la fanciullaggine irrequieta e stolta dei piccoli, i quali spesso fanno passare la poesia delle parole evangeliche, tanto sono ripugnanti, ma è l'infanzia, tersa come cristallo nel suo candore, che si lascia plasmare, guidare ed elevare da una potenza benefica che la domina unicamente per amore e per renderla come adulta nelle sue braccia. Egli invitandoci ad essere piccoli, dichiara Dio nostro Padre amorosissimo e ci esorta ad andare a Lui con la fiducia di figli che tutto sperano da Lui e che non cercano altri che Lui.
Oh, se si capisse la sublimità di questa piccolezza, quanto gli uomini sarebbero diversi da quelli che sono! Quello che ci uccide nello spirito è proprio quella pretesa grandezza che è elefantiasi e artrite dello spirito! Ci crediamo grassi e siamo infermi; l'adipe che si è formato in noi è la testimonianza che gli alimenti non sono diventati forza e vita! Siamo incapaci di gustare le soavità delle armonie celesti, perché siamo assordati dal fragore della materia.
È necessario impiccolirsi per far penetrare in noi la vita soprannaturale che non è adipe di gonfiamento umano, ma è forza di vita superiore. Sotto questo aspetto può intendere le
magnificenze di Dio più un'anima semplice che un profondo filosofo o un consumato teologo, come lo dimostra l'esperienza. Il filosofo si aggira nel labirinto delle proprie idee, il teologo fra i riflessi delle grandezze divine, l'anima semplice, nelle altezze luminose della verità, libera da ogni colorito umano.
La piccolezza che sublima spunta dalla umiltà e prospera nelle umili valli del conoscimento di se stessi. Bisogna persuadersi e convincersi della propria ignoranza per volgere a Dio lo sguardo avido di luce.
Chi si contenta della luce di una candela e la crede un sole non accenderà mai la lampada elettrica o non aprirà mai la propria finestra perché vi penetri la luce smagliante.
Se si valutasse veramente la conoscenza umana per quello che è, quale uomo non desidererebbe la luce divina? Per impiccolirsi basta misurarsi, non è necessario uno sforzo di virtù. La misura della nostra ragione, del nostro ingegno, del nostro sapere è veramente desolante! Bisogna uscire dalle pastoie di una ragione orgogliosa che è sempre miope e non vede di là di una spanna. Tutto il sapore della sapienza umana si potrebbe concentrare in un centimetro cubo! Oh, se sapessimo avere lo sguardo puro della semplicità e dell'umiltà!
4. La difesa dei piccoli e dei piccoli di spirito
Se è necessario farsi piccoli per entrare nel regno dei cieli, è chiaro che quelli che più facilmente vi entrano sono i piccoli innocenti, la cui anima candida si presta con facilità all'azione della grazia. Per questo Gesù Cristo, dopo avere additato la via dell'infanzia spirituale, prende con parola forte la difesa dei piccoli, affinché non siano scandalizzati. Chi si rende reo di questo delitto cade in tale abisso di male, che sarebbe meglio per lui essere gettato in mare con una grossa macina da mulino al collo, per non risalire mai più a galla. Chi accoglie,
infatti, uno dei piccoli, insegnandogli le vie di Dio, è ripagato dal Signore come se avesse accolto Lui stesso; quell'anima posseduta dalla grazia è tutta vivificata dalla vita di Gesù Cristo, e scandalizzarla è un delitto che equivale a quello consumato dagli Ebrei sul Calvario.
Gli angeli che custodiscono i piccoli poi vedono sempre la faccia del Padre celeste, cioè sono scelti fra le più alte gerarchie, tra quegli spiriti che contemplano più da vicino la gloria di Dio, il che significa che l'anima che custodiscono è di immenso valore.
Sono parole che devono farci tremare specialmente oggi che le insidie ai piccoli sono spaventosamente moltiplicate, e si giunge fino alla deportazione degl'innocenti nella Russia scellerata per addestrarli al male!
5. Gli scandali, oggi...
Le insidie continue ai piccoli sono gli scandali del mondo, scandali che oggi sono moltiplicati inverosimilmente coi maledetti cinematografi, e con la vita poco cristiana o addirittura disordinata delle famiglie. Si è presa l'abitudine di parlare di tutto e di tutti in presenza dei fanciulli; ogni luogo pubblico è una fucina di scandali, ogni compagnia è un attentato alla coscienza, è uno spettacolo di degradazione che fa profondamente gemere di angustia! Data l'umana libertà e dato che la terra è un campo di prova, è inevitabile che vi siano gli scandali nel mondo, ma chi ne è causa è sotto il peso di una terribile maledizione, perché la responsabilità degli scandali è
immensa. Tutto ciò che è occasione di scandalo deve eliminarsi radicalmente, senza misericordia, anche ciò che è di scandalo o di occasione di peccato per ciascuno di noi. Gesù Cristo porta il paragone della mano, del piede e dell'occhio scandaloso per dirci che tutto ciò che ci è indispensabile come la mano e il piede, o caro e prezioso come l'occhio, deve allontanarsi inesorabilmente da noi quando ci è occasione di scandalo.
Ci sono mille occasioni di scandalo che si danno ai piccoli ed a noi stessi, delle quali facciamo tanto poco conto: i libri, i quadri, le cosiddette opere d'arte a base di pornografia più o meno celata, le amicizie e i relativi discorsi. Un'immagine immodesta può determinare uno sconvolgimento interiore e distruggere d'un tratto tutto un lungo sforzo fatto per dominare i sensi; un'allusione impura in un discorso può suscitare una fiamma di erotismo morboso e moltiplicare le immagini turpi nell'interno della fantasia; uno sguardo di curiosità vana può determinare uno sconvolgimento nelle proprie aspirazioni, e quindi una rovina spesso quasi irreparabile.
Bisogna ricordare le parole di Gesù, e troncare, cavare, allontanare quello che ci scandalizza o che può essere occasione per scandalizzare gli altri.
Siamo tutti piccoli in questi campi e il più piccolo e vulnerabile è spesso proprio chi si crede tetragono a questi assalti; essi hanno più la caratteristica dell'infezione che della violenza; penetrano insensibilmente come microbi della tisi e a mano a mano soffocano il respiro delle cose divine, asfissiando l'anima con pretesi profumi di bellezza e di piacere. Una sola parola stolta contro la fede o la morale, può far deviare l'intelletto o il cuore e perciò bisogna essere estremamente vigilanti e non permettere che entri in noi il fermento che corrompe tutta la massa. In questo non si può transigere, e perciò bisogna inesorabilmente, diciamo inesorabilmente, distruggere tutto quello che ha un germe di corruzione.
Non distruggeresti tu anche un'opera d'arte che avesse il bacillo della peste? E come puoi voler conservare quella pretesa opera d'arte che ha per te o in sé il bacillo dell'impurità?
Tu distruggi qualunque carta che potrebbe darti una compromissione politica e non distruggi quella stampa che ti compromette con Dio e forse eternamente? Perché poi conservare quello che turba la pace e accende una insaziata brama di male? Che ti giova guardare mille volte quella nudità che ti abbrutisce, ti sconvolge, e ti lascia più vuoto di prima con una brama che vedendo non si sazia di vedere? Su di un oggetto sacro che ti muove a virtù, tu puoi fissare lo sguardo e riposare, perché vedendolo ti elevi e contempli le grandezze spirituali, ma su di un oggetto scandaloso, l'occhio stesso non riposa, passa da una zona all'altra con impetuosità e raccoglie solo un'agitazione insaziata mille volte, anche se mille volte lo vede. La carne non è oggetto di contemplazione, si vela anche quando è tutta esposta, porta l'occhio in un vortice, gli dà le vertigini, lo dissecca per così dire nelle ombre del peccato. Perciò la parola di Gesù Cristo è profondamente psicologica nella sua divina verità. Non si transige con queste miserie deturpanti l'innocenza dello sguardo dell'anima, si tronca, si recide, si brucia, e solo allora si ha il senso della liberazione, solo allora si respira, ed anche fisicamente si prova il sollievo che dà un'onda di aria salubre nell'arsura della febbre.

6. La pecorella smarrita
Gesù Cristo conferma le sue grandi parole in difesa dell'innocenza e contro lo scandalo, con un motivo fortissimo e decisivo: Egli è venuto a salvare ciò che era perduto, è disceso dal cielo per ridonarci l'innocenza originale, e gode nel ritrovare un'anima, come un pastore esulta nel ritrovare la pecorella smarrita. Come si può ardire di togliere l'innocenza ai piccoli, santificati dalla grazia, e come si può esporre al pericolo di perdizione l'anima propria, pecorella del buon Pastore?
La parabola della pecorella smarrita è tenerissima e manifesta l'amoroso piano della redenzione. Il Verbo di Dio, glorioso fra gli angeli suoi, pecorelle dei pascoli eterni, è disceso in terra per cercare l'uomo, pecorella smarrita. Egli ha verso ciascun peccatore la tenerezza che l'ha animato discendendo dal cielo, e quindi l'insidia tesa ad un'anima è per Lui pena di Passione, come è gioia di risurrezione la salvezza di un'anima. Come il Pastore che rintraccia la pecorella smarrita, prova in quel momento una gioia maggiore di quella che aveva per le pecorelle già salvate, così Egli esulta, e con Lui tutta la corte celeste, nella salvezza di un'anima.
E volontà di Dio che non perisca nessuno dei piccoli, e questa volontà santissima impone a ciascuno il dovere di salvarli. Piccoli sono tutti quelli che peregrinano in terra, perché la breve vita del tempo è appena l'infanzia della vita; piccole sono le anime chiamate alla fede, ancora deboli, che portano in loro la fragilità dell'infanzia spirituale; piccola è la ragione senza luce, la volontà senza forza, il cuore appena appena pulsante di amore; piccoli sono i fanciulli incapaci di difendersi contro le malvagità dei cattivi; tutta questa piccolezza deve essere tutelata e custodita, perché è volontà di Dio che nessuno perisca ma che tutti si salvino.
E necessario perciò formarsi per così dire una mentalità capace di ponderare l'enorme responsabilità di uno scandalo, e liberarci dalla leggerezza spaventosa con la quale si baratta l'anima per le cose più vili di questa terra.
È necessario liberarsi dalla stupida suggestione di credere una necessità la miseria, o un sintomo di superiorità e di spregiudicatezza il gettarsi da insani nel pericolo della morte eterna. Bisogna avere per l'anima almeno la cura che si ha per la salute del corpo e per gli organi più delicati del corpo. I fanciulli sono come la pupilla dell'occhio; pieni di luce, eppure facili ad essere offuscati dalla polvere.
L'affetto è delicato come il cuore, ricco di palpiti, ma che spezza tutta la sua vita se si arresta anche per poco; un affetto peccaminoso è l'arresto della vita del cuore che deve essere tutto di Dio. È volontà di Dio che ci salviamo tutti; dunque non si può trattare con leggerezza e inconsiderazione un affare così grave e importante, oggetto di una volontà precisa di Dio.
Sac. Dolindo Ruotolo

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