lunedì 11 agosto 2014

11.08.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 17 par. 6-7

6. La tassa per il tempio
Camminando insieme ai suoi discepoli per la Galilea, Gesù profetizzò ancora una volta la sua Passione, ed essi ne furono grandemente contristati, perché intuirono che annunziava qualche cosa di triste, ma non capirono perché parlasse così. Egli invece volle che incominciasse a penetrare in loro l'idea del sacrificio supremo che voleva consumare per la salvezza di tutti, perché l'ostilità dei suoi nemici si faceva sempre più manifesta e pericolosa. Questa ostilità e la propaganda fatta contro di Lui provocarono la domanda degli esattori del tributo del tempio. Ogni Israelita dall'età di 20 anni doveva pagare ogni anno mezzo siclo per il servizio del tempio. Il mezzo siclo equivaleva a circa 1,75 lire e veniva pagato da una doppia dramma, moneta greca che valeva circa 87 centesimi. La tassa veniva riscossa da appositi impiegati, il 15 del mese di Adar, corrispondente alla seconda metà di febbraio ed alla prima di marzo.
Fino ad allora per il rispetto che avevano di Gesù, i collettori non gliel'avevano domandato, ma data la propaganda a Lui contraria, ne avevano fatta richiesta a san Pietro, come al primo dei suoi discepoli. Pietro rispose che il Maestro l'avrebbe pagato, ed entrò nella casa dove Gesù si trovava per parlargliene. Ma Egli lo prevenne, e pur volendo pagare, mostrò di essere Dio, ed affermò la sua padronanza su tutto. I figli dei re non pagavano né il tributo che si riscuoteva sulle mercanzie, né il censo che era l'imposta che gravava sulle persone, sui campi, ecc. Ora Gesù, prendendo occasione da quest'uso, afferma solennemente che Egli come Figlio di Dio non dovrebbe pagare l'imposta per il tempio. Ma per non scandalizzare gli esattori, ignari della sua divinità e del suo diritto, la paga, pur mostrando con un miracolo il suo supremo e regale dominio su tutte le creature.
Ordina a Pietro di gettare l'amo, e ordina ad un pesce di portare nella bocca uno statere, cioè quattro dramme, per far pagare la tassa sua e quella di Pietro. Il pesce sente il dominio del suo Creatore e obbedisce lasciandosi prendere e, morendo, dona il prezzo dell'imposta per Gesù e per Pietro.
Era un segno della divina potenza del Redentore, e si può dire era una delicata immagine di quello che Egli avrebbe fatto per pagare a Dio il tributo di amore che l'uomo gli aveva negato. Egli obbedì e portò il prezzo dell'espiazione e del riscatto alle sue creature; si fece prendere dalla divina volontà, si donò per donare il prezzo della liberazione dal peccato, e morì donando questo prezzo di amore.
7. Per la nostra vita spirituale
Nella nostra vita spirituale molte volte siamo avvolti da tenebre e la fede vacilla. La natura prende il sopravvento, e l'anima si lascia attrarre dai beni terreni, cercando le soddisfazioni e i trionfi del mondo. Non si può uscire da questi stati di depressione spirituale senza elevarsi con Gesù sui monti della fede e della preghiera.
Credendo e pregando, il mondo ci appare tutto tenebre e Gesù tutto luce di verità e fiamma di amore.
Credendo e pregando ci sentiamo tratti all'osservanza della divina legge, ed intendiamo le vie di Dio che conducono all'eterna salvezza, soprattutto la via della croce.
Dobbiamo ascoltare Gesù, presentato dal Padre sul monte come il Legislatore della nuova alleanza, dobbiamo credergli ed obbedirgli. Qualunque altra voce che non sia eco fedele della sua è menzogna ed inganno.
La nostra natura può chiamarsi veramente lunatica: quanti capricci, quante passioni e quante miserie la rendono epilettica nel più stretto senso della parola! Siamo agitati quando diamo libertà ai sensi, e siamo preda di satana quando cadiamo nei peccati, e soprattutto in quelli d'impurità. Siamo trascinati allora nell'acqua e nel fuoco, nel gelo di ogni sentimento santo e nel triste ardore delle passioni ed abbiamo come retaggio il dolore irrequieto, che non ci fa trovare pace. Non basta ricorrere allora a rimedi umani, che non valgono nulla, bisogna andare a Gesù, perché Egli solo può liberarci, a Gesù vivente nella Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Il padre dell'epilettico
andò dai discepoli di Gesù, quando essi avevano poca fede, avevano quasi naufragato, e la loro azione non valse a nulla. Chi non fa parte della Chiesa cattolica è interamente naufragato e non può né far bene all'anima inferma né scacciare da essa il demonio.
Ci lamentiamo spesso del dominio della corrotta natura e di satana, e cadiamo in tante colpe degradanti, disperando di poterci emendare. Per vincere occorre fede, orazione e digiuno, fede per andare a Dio, orazione per parlargli filialmente, digiuno per dominare noi stessi. Digiuno di cibo e di mortificazione.
Una piccola rinunzia può determinare in noi un rinnovamento radicale e può darci in mano il primo anello di una lunga catena di grazie.
Si trasfigurò Gesù Cristo e parlò con Mosè ed Elia della sua passione; scese dal monte e l'annunzio ai suoi cari, guarì il lunatico e ne parlò ancora. Oh, quanta vita c'è nella meditazione della Passione, quanta luce di verità, quanta forza di sanità spirituale, quanta consolazione nelle afflizioni dell'anima!
Uniamoci alla Passione di Gesù Cristo con l'unione alla divina volontà nelle prove della vita, e paghiamo anche noi questo tributo di amore a Dio nel tempio dell'infinita sua gloria.
Non ci illudiamo con falsi miraggi d'infeconde aspirazioni alle povere cose della terra. La vita è una prova ed è un tributo di amore a Dio! Se non siamo capaci di dargli questo tributo, domandiamolo a Gesù Cristo nostro Salvatore, e cerchiamolo nel mare delle sue misericordie.
Dobbiamo anche noi trasfigurarci con una nuova vita, tutta orientata a Dio nella meditazione della sua parola e nell'unione con Gesù Cristo; dobbiamo guarire delle nostre miserie, e darci a Dio interamente. Solo così cammineremo dall'esilio alla Patria eterna.
Sac. Dolindo Ruotolo

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