5. La gioventù e le false ricchezze che l'allontanano da Gesù Cristo
La delicata carità di Gesù Cristo verso i fanciulli aveva attratto l'attenzione di un giovane che passava di là, il quale, affascinato da tanta dolcezza, si avvicinò a Gesù e lo chiamò Maestro buono, proprio per la bontà che mostrava coi piccoli, domandandogli che cosa dovesse fare di bene per ottenere la vita eterna. Gesù era tutto assorto nel Padre suo, infinita bontà, sommo bene, unica meta delle creature e, sentendosi chiamare buono e interrogare del bene, esclamò, quasi continuando nella sua interiore contemplazione di amore: Perché
m 'interroghi del bene? e secondo san Marco e san Luca: Perché mi chiami buono? Uno solo è buono: Dio, e non si deve stentare a trovare il bene, giacché Egli è il sommo bene, a cui deve tendere l'anima con tutte le sue forze. Gesù forse volle dare anche un ammonimento ai farisei, che con facilità si scambiavano titoli di onore, attribuendosi spesso quello che avrebbero dovuto dire solo a Dio. Ad ogni modo Egli volle indirettamente affermare che quel titolo gli poteva competere unicamente perché era anche vero Dio.
Il giovane, essendo ricco, era naturalmente ampolloso e amante dello straordinario e delle avventure. Questo è comune nelle anime che hanno poco fondamento di virtù, e che, entusiasmandosi in un momento per il bene, immaginano di dover intraprendere vie misteriose, eccezionali, e magari clamorose.
Il giovane aspettava sentirsi parlare di cose grandi, e si illudeva di essere capace di ogni eroismo, perché l'anima sua era tesa verso ideali vaporosi di grandezza spirituale, che, non essendo concreti, non gli offrivano alcuna difficoltà. A chi sogna una perfezione immaginaria sembra facile il martirio, perché in realtà non lo affronta, mentre si disorienta di fronte alle più normali rinunzie della vita. Gesù Cristo disse al giovane che egli doveva osservare i comandamenti. Una risposta che era per lui una delusione, poiché si aspettava l'esposizione di chi sa quali dottrine peregrine. Ma volle insistere, perché sospettò che il Redentore potesse alludere a speciali precetti emanati da Lui, e domandò quali comandamenti dovesse osservare. Gli scribi e farisei avevano estratto dalla Legge di Mosè 613 comandamenti, e forse il giovane pensò anche a questi. Gesù gli rispose accennandogli i comandamenti di Dio, e si fermò su quelli riguardanti il prossimo, perché i più facili ad essere manomessi dai ricchi. Tanto spesso, infatti, i nobili e i benestanti si contentano di qualche sterile pratica di religione, e non fanno conto del prossimo, commettendo con indifferenza ingiustizie, soprusi, disordini e mancanze di carità.
Il giovane rispose che quei precetti li aveva osservati fin dalla sua gioventù, e san Marco soggiunge che Gesù, miratolo, dopo questa risposta, lo amò; egli dunque aveva parlato con sincerità ed era un ricco timorato di Dio. Nel suo vago desiderio di seguire una via più perfetta, insistette a domandare che altro dovesse fare, e Gesù gli consigliò la rinunzia di tutto, il distacco completo dalla sua vita e la generosa carità verso i poveri, esortandolo a seguirlo. Ripugnava troppo a quel giovane il privarsi di tutto, avendo molti possedimenti, e perciò se ne andò contristato. Gesù ne fu addolorato grandemente, come traspare dall'insistenza con la quale disse che un ricco difficilmente sarebbe entrato nel regno dei cieli; Egli anzi, per esprimere questa difficoltà, si servì di un proverbio comune nel popolo ebreo:
E più facile che un cammello passi per la cruna di un ago.
Gesù Cristo non parlò propriamente dell'eterna salvezza, ma dell'entrata nel regno dei cieli, ossia della vita perfetta e santa. Gli apostoli forse capirono che Egli parlava della salvezza, come si rileva dal contesto, ma è evidente che la frase del Redentore si riferiva al discorso avuto col giovane sulla via più perfetta che quegli avrebbe voluto abbracciare. È evidente ancora che Gesù parlava dei ricchi che rimangono tali nell'anima, cioè attaccati alle loro ricchezze, egoisti, duri e mancanti di carità. Certo è difficile che un ricco, soprattutto se è giovane, si dia alla vita perfetta che è vita di sante e salutari rinunzie; il mondo stesso l'attanaglia nelle morse delle supposte esigenze e convenienze del proprio stato, tentando di formare quell'ibridismo religioso e mondano che purtroppo è comune nella nobiltà e nei ricchi. Dissimularselo sarebbe un volersi turlupinare.
Se si riflette che noi siamo per il cielo e che la maggiore gloria che vi conseguiremo dipenderà dai maggiori sacrifici che avremo fatti in vita, quale ricco e quale giovane potrà prendere alla leggera la parola di Gesù Cristo? Anche se per un ricco la salvezza eterna potesse essere relativamente facile, non sarebbe un danno immenso la privazione di un solo grado di gloria eterna?
Il giovane ricco aveva molte proprietà, e non si sentì l'animo di staccarsene, e la gioventù spesso crede di avere molta ricchezza di sentimento, di forza, d'intelligenza, e non segue la via della perfezione, credendola impossibile. Ama divertirsi, e nell'esuberanza delle sue aspirazioni s'illude facilmente, e scambia l'abisso per altezza. Deve darci da pensare quest'aberrazione, che può essere fatale all'eterna salvezza! La via della virtù non è facile, perché è rinunzia, ma non è impossibile, perché la si percorre con l'aiuto della grazia di Dio. Tutto sta a cominciare, ed a rimanere fedeli alle prime mozioni della divina bontà. Quanti giovani cominciano bene la vita, osservano la divina Legge e, quando giungono all'età delle passioni, si arrestano dinanzi alle rinunzie, e cadono nell'abisso dell'impurità e del male! Quanti giovani vorrebbero in quell'età apparire cristiani senza cessare di essere mondani, e volgono le spalle a Gesù, prendendo un atteggiamento da miscredenti che tradisce troppo la loro miseria morale! Inesperti ed ignoranti come sono, vanno cercando la giustificazione della loro bassezza, e abbracciano con stupida acquiescenza tutte le fandonie che i perversi fanno circolare contro la fede e contro la Chiesa, mostrandosi a tutti triste spettacolo d'incoscienza, di presunzione e d'inciviltà morale!
La delicata carità di Gesù Cristo verso i fanciulli aveva attratto l'attenzione di un giovane che passava di là, il quale, affascinato da tanta dolcezza, si avvicinò a Gesù e lo chiamò Maestro buono, proprio per la bontà che mostrava coi piccoli, domandandogli che cosa dovesse fare di bene per ottenere la vita eterna. Gesù era tutto assorto nel Padre suo, infinita bontà, sommo bene, unica meta delle creature e, sentendosi chiamare buono e interrogare del bene, esclamò, quasi continuando nella sua interiore contemplazione di amore: Perché
m 'interroghi del bene? e secondo san Marco e san Luca: Perché mi chiami buono? Uno solo è buono: Dio, e non si deve stentare a trovare il bene, giacché Egli è il sommo bene, a cui deve tendere l'anima con tutte le sue forze. Gesù forse volle dare anche un ammonimento ai farisei, che con facilità si scambiavano titoli di onore, attribuendosi spesso quello che avrebbero dovuto dire solo a Dio. Ad ogni modo Egli volle indirettamente affermare che quel titolo gli poteva competere unicamente perché era anche vero Dio.
Il giovane, essendo ricco, era naturalmente ampolloso e amante dello straordinario e delle avventure. Questo è comune nelle anime che hanno poco fondamento di virtù, e che, entusiasmandosi in un momento per il bene, immaginano di dover intraprendere vie misteriose, eccezionali, e magari clamorose.
Il giovane aspettava sentirsi parlare di cose grandi, e si illudeva di essere capace di ogni eroismo, perché l'anima sua era tesa verso ideali vaporosi di grandezza spirituale, che, non essendo concreti, non gli offrivano alcuna difficoltà. A chi sogna una perfezione immaginaria sembra facile il martirio, perché in realtà non lo affronta, mentre si disorienta di fronte alle più normali rinunzie della vita. Gesù Cristo disse al giovane che egli doveva osservare i comandamenti. Una risposta che era per lui una delusione, poiché si aspettava l'esposizione di chi sa quali dottrine peregrine. Ma volle insistere, perché sospettò che il Redentore potesse alludere a speciali precetti emanati da Lui, e domandò quali comandamenti dovesse osservare. Gli scribi e farisei avevano estratto dalla Legge di Mosè 613 comandamenti, e forse il giovane pensò anche a questi. Gesù gli rispose accennandogli i comandamenti di Dio, e si fermò su quelli riguardanti il prossimo, perché i più facili ad essere manomessi dai ricchi. Tanto spesso, infatti, i nobili e i benestanti si contentano di qualche sterile pratica di religione, e non fanno conto del prossimo, commettendo con indifferenza ingiustizie, soprusi, disordini e mancanze di carità.
Il giovane rispose che quei precetti li aveva osservati fin dalla sua gioventù, e san Marco soggiunge che Gesù, miratolo, dopo questa risposta, lo amò; egli dunque aveva parlato con sincerità ed era un ricco timorato di Dio. Nel suo vago desiderio di seguire una via più perfetta, insistette a domandare che altro dovesse fare, e Gesù gli consigliò la rinunzia di tutto, il distacco completo dalla sua vita e la generosa carità verso i poveri, esortandolo a seguirlo. Ripugnava troppo a quel giovane il privarsi di tutto, avendo molti possedimenti, e perciò se ne andò contristato. Gesù ne fu addolorato grandemente, come traspare dall'insistenza con la quale disse che un ricco difficilmente sarebbe entrato nel regno dei cieli; Egli anzi, per esprimere questa difficoltà, si servì di un proverbio comune nel popolo ebreo:
E più facile che un cammello passi per la cruna di un ago.
Gesù Cristo non parlò propriamente dell'eterna salvezza, ma dell'entrata nel regno dei cieli, ossia della vita perfetta e santa. Gli apostoli forse capirono che Egli parlava della salvezza, come si rileva dal contesto, ma è evidente che la frase del Redentore si riferiva al discorso avuto col giovane sulla via più perfetta che quegli avrebbe voluto abbracciare. È evidente ancora che Gesù parlava dei ricchi che rimangono tali nell'anima, cioè attaccati alle loro ricchezze, egoisti, duri e mancanti di carità. Certo è difficile che un ricco, soprattutto se è giovane, si dia alla vita perfetta che è vita di sante e salutari rinunzie; il mondo stesso l'attanaglia nelle morse delle supposte esigenze e convenienze del proprio stato, tentando di formare quell'ibridismo religioso e mondano che purtroppo è comune nella nobiltà e nei ricchi. Dissimularselo sarebbe un volersi turlupinare.
Se si riflette che noi siamo per il cielo e che la maggiore gloria che vi conseguiremo dipenderà dai maggiori sacrifici che avremo fatti in vita, quale ricco e quale giovane potrà prendere alla leggera la parola di Gesù Cristo? Anche se per un ricco la salvezza eterna potesse essere relativamente facile, non sarebbe un danno immenso la privazione di un solo grado di gloria eterna?
Il giovane ricco aveva molte proprietà, e non si sentì l'animo di staccarsene, e la gioventù spesso crede di avere molta ricchezza di sentimento, di forza, d'intelligenza, e non segue la via della perfezione, credendola impossibile. Ama divertirsi, e nell'esuberanza delle sue aspirazioni s'illude facilmente, e scambia l'abisso per altezza. Deve darci da pensare quest'aberrazione, che può essere fatale all'eterna salvezza! La via della virtù non è facile, perché è rinunzia, ma non è impossibile, perché la si percorre con l'aiuto della grazia di Dio. Tutto sta a cominciare, ed a rimanere fedeli alle prime mozioni della divina bontà. Quanti giovani cominciano bene la vita, osservano la divina Legge e, quando giungono all'età delle passioni, si arrestano dinanzi alle rinunzie, e cadono nell'abisso dell'impurità e del male! Quanti giovani vorrebbero in quell'età apparire cristiani senza cessare di essere mondani, e volgono le spalle a Gesù, prendendo un atteggiamento da miscredenti che tradisce troppo la loro miseria morale! Inesperti ed ignoranti come sono, vanno cercando la giustificazione della loro bassezza, e abbracciano con stupida acquiescenza tutte le fandonie che i perversi fanno circolare contro la fede e contro la Chiesa, mostrandosi a tutti triste spettacolo d'incoscienza, di presunzione e d'inciviltà morale!
Sac. Dolindo Ruotolo
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