3. Erode e san Giovanni Battista
Il movimento sempre più vivo e intenso intorno a Gesù e la fama di Lui attrassero l'attenzione di Erode, il quale credette o sospettò ch'Egli fosse Giovanni Battista risuscitato da morte. Questa supposizione nasceva in lui dall'apprezzamento che, malgrado tutto, faceva del carattere e della santità del Precursore.
Giovanni infatti, senza temerne la potenza e la crudeltà, non aveva esitato a rimproverargli il suo adulterio incestuoso, e l'aveva fatto con fermezza, ma senza trascendere nell'irruenza di un tribuno o di chi si crede superiore; traspariva dai suoi rimproveri, anzi, il rammarico che aveva di farli, e la premura con la quale li faceva, per la spirituale salvezza del re.
Tutto questo non dispiaceva ad Erode, il quale sapeva che Giovanni gli era politicamente innocuo, e che non avrebbe mai suscitato una ribellione contro di lui. Egli giungeva fino a consultarlo in tante cose, e gli piaceva sentirlo parlare; gli sembrava un tipo interessante, ma in un altro campo, diverso dal proprio, e quindi inconsciamente gli sembrava di guadagnare in prestigio mostrandosi benevolo con lui. C'era in Erode quel senso di soddisfazione di poter avvicinare il profeta con la libera padronanza di un re, e di poter ostentare quasi come un trionfo la propria deferenza che il Battista gli mostrava in quanto era pubblica autorità!
A differenza di Erode, Erodiade odiava a morte Giovanni, come sa odiare una donna e specialmente una donna corrotta. Conscia dell'illiceità del suo legame, ambiziosa fino all'eccesso della sua pretesa gloria regale, dispettosa e capricciosa come tutte le donne sensuali, truce nel fondo dell'anima sua, perché preda dell'orribile vizio che la consumava, riguardava Giovanni come un pericolo vero per lei, e temeva che presto o tardi avrebbe potuto piegare l'animo di Erode. Questo suo timore era accresciuto dal constatare che, nonostante il suo malvagio ascendente sul tetrarca, non le era riuscito di indurlo ad uccidere il Battista, e aveva solo potuto ottenere che lo tenesse carcerato nella fortezza di Macheronte. Ma anche nella prigione Giovanni le era di ostacolo nelle sue mire, giacché Erode andava a consultarlo, e lo difendeva dalle insidie che la perfida donna gli faceva tendere. Stando al testo greco, egli non solo faceva molte cose col suo consiglio, ma rimaneva agitato per molte cose che aveva fatte, cioè manifestava anche esternamente la preoccupazione e il rimorso che suscitavano in lui le parole del Battista, quando lo rimproverava; questo rendeva addirittura furiosa Erodiade, la quale s'era proposta di disfarsi di Giovanni ad ogni costo.
Un giorno propizio per lei fii quello della festa natalizia di Erode. Questi radunò in corte le persone più ragguardevoli della sua regione, ed offrì loro un banchetto.
Dire un banchetto è lo stesso che dire un'orgia, per la corte del tiranno; non si pranzava solo, ma si trascendeva e, tra i fumi del vino, si cadeva facilmente nell'abbrutimento. Nel banchetto entrò a ballare la stessa figlia di Erodiade, la quale con le sue pose e le sue movenze lascive sconcertò talmente Erode, già avvinazzato, e gli piacque tanto, ch'egli le giurò dinanzi a tutti di volerle dare in premio qualunque cosa avesse domandato, fosse pure la metà del suo regno. Potrebbe sembrare sproporzionata questa promessa ad un semplice giro di ballo, ma la donna nel ballo diventa così multipla nelle sue impure attrazioni da inebriare miseramente i sensi e la ragione.
La diabolica suggestività del ballo di una donna sta proprio in questa molteplice lascivia che emana da lei, e che la fa sembrare inesauribile nel suscitare la passione e il degradante diletto. L'impurità è di per sé stancante, perché è arsura e non sazietà dei sensi; ma la donna che balla dà l'illusione di un mutamento continuo, e di una bellezza sensuale che ha nuove risorse; il ritmo, poi, dei movimenti riveste di grazia la stessa sensualità, e par che, giustificandola con le pretese dell'arte, la renda più penetrante nei sensi, attenuando il rimorso della coscienza che, anche nei più cattivi, costituisce un freno ed una limitazione alla frenesia della carne.
La simpatia che suscita una ballerina moltiplica in chi l'ammira il desiderio dell'espansione del proprio sentimento; non si accontenta di applaudire: desidera di più, vorrebbe donare e donarsi e, non potendolo fare diversamente, ricorre all'offerta.
Lo sanno bene tutti quei poveri allocchi, che si sbancano per offrire un gioiello pregiato ad una donna, e che riguardano come una visione di cielo la visione della povera fogna stagnante, nella quale è riflesso, abissato e capovolto, un lembo illusorio di azzurro, che è infinitamente lontano.
Erode, avvinazzato com'era, si trovò in uno stato anche più deplorevole di frenesia sensuale e, nel fare la sua giurata promessa, non ponderò tutta la malignità di Erodiade e della figlia.
Un'adultera è sempre un'interessata venale al cento per cento; l'idealismo nell'adulterio è una chimera. L'uomo, notevolmente più sciosciammocca in questi campi, può illudersi di aver trovato un tesoro considerando la donna amata, ma la donna è calcolatrice anche quando sembra piena di dedizione e, se non calcola l'interesse materiale, calcola quello sensuale.
Erode s'era invaghito di Erodiade, ma questa s'era invaghita del regno di lui e dei maggiori vantaggi che sperava alla sua corte; astuta e maligna, fingeva un amore che era invece senso e calcolo, e la sua degna figlia la seguiva in questa via. L'unico ostacolo ai suoi progetti totalitari di asservire a sé il corrotto monarca era Giovanni, ed ella credette giunto il momento di disfarsene. Si può supporre che, ascoltando la promessa giurata del tetrarca, avesse fatto capire alla figlia di consultarla prima di rispondere; si può anche supporre che la figlia avesse intuito il desiderio materno; certo il consultarsi rivelò tra loro o un'intesa o un'identità desolante di venale interesse.
La donna indispettita o adirata perde ogni senso di pudore nell'ambiente nel quale si trova; diventa come isolata in se stessa, non sa pensare neppure che ci può essere chi l'ascolta e la biasima, va dritto al suo scopo prescindendo da qualunque conseguenza; non ragiona, è terribile, pur sembrando fredda e magari ponderata. Erodiade era come belva in agguato; la sua ira era vigilante per dare il balzo felino e colpire il suo nemico; non badò alla festa, al banchetto, ai convitati, all'orrore di ciò che faceva domandare: pensò solo che non doveva farsi sfuggire l'occasione propizia, e disse alla figlia di domandare la testa di Giovanni. La figlia si mostrò degna della madre, e non si contentò di domandare la morte del Battista, ma, per timore che Erode cambiasse idea, volle che subito, all'istante, le fosse portata la testa del profeta in un piatto, sapendo con ciò di far cosa graditissima alla madre, od obbedendo ad una sua esplicita ingiunzione.
Erode si turbò e si rattristò perché non avrebbe voluto far morire Giovanni ma pensò che non poteva venir meno alla parola data, e gli sembrò di sminuire il prestigio suo innanzi ai convitati; perciò allora stesso mandò un carnefice a decapitare il santo nel carcere, e gli ordinò di portarne il capo alla fanciulla, la quale lo diede alla madre. E terribile il considerare l'eccesso cui può giungere l'umana perfidia, ed è raccapricciante il pensare al momento nel quale il carnefice portò nel banchetto la testa insanguinata del Battista. Quegli occhi vitrei parlavano ancora, e quel sangue sparso rimproverava al tetrarca e ad Erodiade il loro delitto.
La perfida donna aveva voluto farlo tacere per sempre e non s'accorse che quel capo più che mai era eretto contro di lei! Erode poi con quell'atto si era definito per quel che era, e i convitati, abituati a simili crudeltà, avevano mostrato anch'essi la loro degradazione; si può dire che il Battista era andato per l'ultima volta, ancorché morto, a compiere la sua missione, e che col sangue innocente aveva riparato ancora una volta lo scandalo, smascherandolo.
Il Signore non gli aveva fatto torto; l'aveva reso eroe e martire, e l'aveva tratto così dall'oscurità della prigione, chiamandolo alla gloria. Agli occhi del mondo il Battista sembrò un sopraffatto, ma in realtà egli fu un vincitore, e si offrì come olocausto di amore al suo Re divino, preparandogli per l'ultima volta il cammino: si diminuì perché Egli fosse cresciuto, e sparì volentieri dal mondo per non essergli neppure involontariamente di ombra, data la sua notorietà e l'attaccamento che i discepoli avevano verso di lui.
Il movimento sempre più vivo e intenso intorno a Gesù e la fama di Lui attrassero l'attenzione di Erode, il quale credette o sospettò ch'Egli fosse Giovanni Battista risuscitato da morte. Questa supposizione nasceva in lui dall'apprezzamento che, malgrado tutto, faceva del carattere e della santità del Precursore.
Giovanni infatti, senza temerne la potenza e la crudeltà, non aveva esitato a rimproverargli il suo adulterio incestuoso, e l'aveva fatto con fermezza, ma senza trascendere nell'irruenza di un tribuno o di chi si crede superiore; traspariva dai suoi rimproveri, anzi, il rammarico che aveva di farli, e la premura con la quale li faceva, per la spirituale salvezza del re.
Tutto questo non dispiaceva ad Erode, il quale sapeva che Giovanni gli era politicamente innocuo, e che non avrebbe mai suscitato una ribellione contro di lui. Egli giungeva fino a consultarlo in tante cose, e gli piaceva sentirlo parlare; gli sembrava un tipo interessante, ma in un altro campo, diverso dal proprio, e quindi inconsciamente gli sembrava di guadagnare in prestigio mostrandosi benevolo con lui. C'era in Erode quel senso di soddisfazione di poter avvicinare il profeta con la libera padronanza di un re, e di poter ostentare quasi come un trionfo la propria deferenza che il Battista gli mostrava in quanto era pubblica autorità!
A differenza di Erode, Erodiade odiava a morte Giovanni, come sa odiare una donna e specialmente una donna corrotta. Conscia dell'illiceità del suo legame, ambiziosa fino all'eccesso della sua pretesa gloria regale, dispettosa e capricciosa come tutte le donne sensuali, truce nel fondo dell'anima sua, perché preda dell'orribile vizio che la consumava, riguardava Giovanni come un pericolo vero per lei, e temeva che presto o tardi avrebbe potuto piegare l'animo di Erode. Questo suo timore era accresciuto dal constatare che, nonostante il suo malvagio ascendente sul tetrarca, non le era riuscito di indurlo ad uccidere il Battista, e aveva solo potuto ottenere che lo tenesse carcerato nella fortezza di Macheronte. Ma anche nella prigione Giovanni le era di ostacolo nelle sue mire, giacché Erode andava a consultarlo, e lo difendeva dalle insidie che la perfida donna gli faceva tendere. Stando al testo greco, egli non solo faceva molte cose col suo consiglio, ma rimaneva agitato per molte cose che aveva fatte, cioè manifestava anche esternamente la preoccupazione e il rimorso che suscitavano in lui le parole del Battista, quando lo rimproverava; questo rendeva addirittura furiosa Erodiade, la quale s'era proposta di disfarsi di Giovanni ad ogni costo.
Un giorno propizio per lei fii quello della festa natalizia di Erode. Questi radunò in corte le persone più ragguardevoli della sua regione, ed offrì loro un banchetto.
Dire un banchetto è lo stesso che dire un'orgia, per la corte del tiranno; non si pranzava solo, ma si trascendeva e, tra i fumi del vino, si cadeva facilmente nell'abbrutimento. Nel banchetto entrò a ballare la stessa figlia di Erodiade, la quale con le sue pose e le sue movenze lascive sconcertò talmente Erode, già avvinazzato, e gli piacque tanto, ch'egli le giurò dinanzi a tutti di volerle dare in premio qualunque cosa avesse domandato, fosse pure la metà del suo regno. Potrebbe sembrare sproporzionata questa promessa ad un semplice giro di ballo, ma la donna nel ballo diventa così multipla nelle sue impure attrazioni da inebriare miseramente i sensi e la ragione.
La diabolica suggestività del ballo di una donna sta proprio in questa molteplice lascivia che emana da lei, e che la fa sembrare inesauribile nel suscitare la passione e il degradante diletto. L'impurità è di per sé stancante, perché è arsura e non sazietà dei sensi; ma la donna che balla dà l'illusione di un mutamento continuo, e di una bellezza sensuale che ha nuove risorse; il ritmo, poi, dei movimenti riveste di grazia la stessa sensualità, e par che, giustificandola con le pretese dell'arte, la renda più penetrante nei sensi, attenuando il rimorso della coscienza che, anche nei più cattivi, costituisce un freno ed una limitazione alla frenesia della carne.
La simpatia che suscita una ballerina moltiplica in chi l'ammira il desiderio dell'espansione del proprio sentimento; non si accontenta di applaudire: desidera di più, vorrebbe donare e donarsi e, non potendolo fare diversamente, ricorre all'offerta.
Lo sanno bene tutti quei poveri allocchi, che si sbancano per offrire un gioiello pregiato ad una donna, e che riguardano come una visione di cielo la visione della povera fogna stagnante, nella quale è riflesso, abissato e capovolto, un lembo illusorio di azzurro, che è infinitamente lontano.
Erode, avvinazzato com'era, si trovò in uno stato anche più deplorevole di frenesia sensuale e, nel fare la sua giurata promessa, non ponderò tutta la malignità di Erodiade e della figlia.
Un'adultera è sempre un'interessata venale al cento per cento; l'idealismo nell'adulterio è una chimera. L'uomo, notevolmente più sciosciammocca in questi campi, può illudersi di aver trovato un tesoro considerando la donna amata, ma la donna è calcolatrice anche quando sembra piena di dedizione e, se non calcola l'interesse materiale, calcola quello sensuale.
Erode s'era invaghito di Erodiade, ma questa s'era invaghita del regno di lui e dei maggiori vantaggi che sperava alla sua corte; astuta e maligna, fingeva un amore che era invece senso e calcolo, e la sua degna figlia la seguiva in questa via. L'unico ostacolo ai suoi progetti totalitari di asservire a sé il corrotto monarca era Giovanni, ed ella credette giunto il momento di disfarsene. Si può supporre che, ascoltando la promessa giurata del tetrarca, avesse fatto capire alla figlia di consultarla prima di rispondere; si può anche supporre che la figlia avesse intuito il desiderio materno; certo il consultarsi rivelò tra loro o un'intesa o un'identità desolante di venale interesse.
La donna indispettita o adirata perde ogni senso di pudore nell'ambiente nel quale si trova; diventa come isolata in se stessa, non sa pensare neppure che ci può essere chi l'ascolta e la biasima, va dritto al suo scopo prescindendo da qualunque conseguenza; non ragiona, è terribile, pur sembrando fredda e magari ponderata. Erodiade era come belva in agguato; la sua ira era vigilante per dare il balzo felino e colpire il suo nemico; non badò alla festa, al banchetto, ai convitati, all'orrore di ciò che faceva domandare: pensò solo che non doveva farsi sfuggire l'occasione propizia, e disse alla figlia di domandare la testa di Giovanni. La figlia si mostrò degna della madre, e non si contentò di domandare la morte del Battista, ma, per timore che Erode cambiasse idea, volle che subito, all'istante, le fosse portata la testa del profeta in un piatto, sapendo con ciò di far cosa graditissima alla madre, od obbedendo ad una sua esplicita ingiunzione.
Erode si turbò e si rattristò perché non avrebbe voluto far morire Giovanni ma pensò che non poteva venir meno alla parola data, e gli sembrò di sminuire il prestigio suo innanzi ai convitati; perciò allora stesso mandò un carnefice a decapitare il santo nel carcere, e gli ordinò di portarne il capo alla fanciulla, la quale lo diede alla madre. E terribile il considerare l'eccesso cui può giungere l'umana perfidia, ed è raccapricciante il pensare al momento nel quale il carnefice portò nel banchetto la testa insanguinata del Battista. Quegli occhi vitrei parlavano ancora, e quel sangue sparso rimproverava al tetrarca e ad Erodiade il loro delitto.
La perfida donna aveva voluto farlo tacere per sempre e non s'accorse che quel capo più che mai era eretto contro di lei! Erode poi con quell'atto si era definito per quel che era, e i convitati, abituati a simili crudeltà, avevano mostrato anch'essi la loro degradazione; si può dire che il Battista era andato per l'ultima volta, ancorché morto, a compiere la sua missione, e che col sangue innocente aveva riparato ancora una volta lo scandalo, smascherandolo.
Il Signore non gli aveva fatto torto; l'aveva reso eroe e martire, e l'aveva tratto così dall'oscurità della prigione, chiamandolo alla gloria. Agli occhi del mondo il Battista sembrò un sopraffatto, ma in realtà egli fu un vincitore, e si offrì come olocausto di amore al suo Re divino, preparandogli per l'ultima volta il cammino: si diminuì perché Egli fosse cresciuto, e sparì volentieri dal mondo per non essergli neppure involontariamente di ombra, data la sua notorietà e l'attaccamento che i discepoli avevano verso di lui.
Sac. Dolindo Ruotolo
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