3. La chiamata di san Matteo
Dopo aver guarito il paralitico, Gesù camminando passò vicino al banco di un pubblico esattore di gabelle che si chiamava Matteo ed anche Levi. Lo guardò, lo penetrò con la grazia, gli fece comprendere in un attimo quello che avrebbe dovuto dirgli in molte parole, lo attrasse, e dopo questo lavoro di grazia, che era stato quasi istantaneo, gli disse una sola parola: «Seguimi». Questo bastò perché Matteo, alzatosi dal banco e lasciato tutto, lo seguisse. Non fu un atto impulsivo o irriflessivo il suo, fu il frutto di una liberazione interna, della quale gli altri non poterono accorgersi. Gesù che con un comando aveva liberato il paralitico dal peso della carne, con un comando liberò Matteo dal peso del denaro; due cause di paralisi interna, due malanni veri della vita.
San Matteo doveva essere da un pezzo scontento della sua professione; di animo generoso, come può rilevarsi dal banchetto che fece per i suoi amici, gli ripugnava fare l'ufficio di aguzzino, ed essere esposto al disprezzo dei suoi connazionali, i quali riguardavano i pubblicani come angariatori del paese, a vantaggio di un potere straniero. Gesù lo colpì certamente in un momento di maggiore scoraggiamento interiore, perché la grazia nelle sue mirabili operazioni utilizza anche i nostri stati fisici o morali, e lo attrasse a sé senza altro invito che una sola parola, luminosa come il sole nell'anima di lui, che in un attimo gli additò la via della pace interna e della vera felicità.
Si lascia tutto per seguire Gesù; non si possono avere attacchi, non si possono avere preoccupazioni temporali assillanti lo spirito.
L'attacco alle cose terrene, e soprattutto al denaro, è praticamente una paralisi, perché non si può muovere sia chi ha i nervi inerti sia chi ha le mani inceppate e il corpo sotto un peso gravoso.
San Matteo non si preoccupò del suo banco di esazione, pensò solo a seguire Gesù. È probabile che non fosse solo al banco, perché un esattore pubblico non può essere solo; ma egli non pensò ad altro in quel momento, non pensò a dare la consegna dell'ufficio, s'era distaccato d'un tratto da ogni cosa terrena, correva a Gesù come a sua vita.
Chi tergiversa nel darsi a Dio, difficilmente raggiunge la meta; bisogna pure aver fiducia nel Signore e non pretendere di esaminare troppo minutamente le conseguenze materiali di una risoluzione generosa.
4. San Matteo offre un banchetto al quale invita Gesù e gli antichi amici
Fu tanta la gioia di san Matteo nell'essere chiamato da Gesù, e tanta la grazia interna che lo inondò, che egli, come ci attestano san Marco e san Luca, volle fare un banchetto solenne, al quale invitò i suoi antichi compagni di ufficio e i loro amici. Sperò di attrarre altri a Gesù, e forse volle dare un addio un po' spettacolare al suo ufficio, per mostrare che se ne era dimesso volontariamente ed irrevocabilmente. È profondamente psicologico che, dopo aver tutto abbandonato, egli mostrasse la sua gioia nell'averlo fatto.
Gesù era a tavola nella casa di san Matteo, circondato solo da pubblicani e da peccatori. Naturalmente l'addio solenne di Matteo al passato aveva fatto grido, e i farisei incuriositi erano penetrati anch'essi nella casa, scandalizzandosi un poco della compagnia in mezzo alla quale era Gesù. Essi credevano di mostrarsi santi, fuggendo e disprezzando i peccatori, e stimavano una nota di poca santità per Gesù il tollerare che dei peccatori gli si avvicinassero. Non osarono, però, rimproverarlo direttamente e ne parlarono ai discepoli in modo da farglielo sentire. Gesù con dolcezza piena di carità che contrastava tanto con la durezza farisaica, manifestò il motivo per il quale non disdegnava di stare tra i peccatori: Egli era il medico delle anime, ed era giusto che stesse fra gl'infermi per sanarli.
Con grande maestà poi ricordò una parola di Osea (6,6) e disse loro d'impararne il significato precisamente da quella scena che li scandalizzava: Dio vuole la misericordia e non il sacrificio, cioè vuole la pietà sincera che Si espande nella carità, e non la semplice immolazione di un animale al tempio, vuole la sua conoscenza più che gli olocausti, com'è soggiunto in Osea, cioè preferisce che si conosca il suo Nome e la sua verità, e che si cammini nelle sue vie, anziché si offra un olocausto per formalità e per giustizia legale soltanto. Ora quello che Dio voleva dal suo popolo Egli lo stava compiendo, perché usava misericordia ai peccatori, e si univa alla loro compagnia per renderli degni della divina misericordia e per istruirli nelle eterne verità, essendo venuto non a chiamare i giusti ma i peccatori. Gesù non intendeva dire che non voleva sacrifici nella vita, e quasi proclamare una legge di superficialità spirituale, tutt'altro! Voleva promulgare invece il giubileo della misericordia per i poveri peccatori, perché il sacrificio lo serbava per sé sul Calvario; voleva avvicinare i peccatori per guarirli e per salvarli.
Dopo aver guarito il paralitico, Gesù camminando passò vicino al banco di un pubblico esattore di gabelle che si chiamava Matteo ed anche Levi. Lo guardò, lo penetrò con la grazia, gli fece comprendere in un attimo quello che avrebbe dovuto dirgli in molte parole, lo attrasse, e dopo questo lavoro di grazia, che era stato quasi istantaneo, gli disse una sola parola: «Seguimi». Questo bastò perché Matteo, alzatosi dal banco e lasciato tutto, lo seguisse. Non fu un atto impulsivo o irriflessivo il suo, fu il frutto di una liberazione interna, della quale gli altri non poterono accorgersi. Gesù che con un comando aveva liberato il paralitico dal peso della carne, con un comando liberò Matteo dal peso del denaro; due cause di paralisi interna, due malanni veri della vita.
San Matteo doveva essere da un pezzo scontento della sua professione; di animo generoso, come può rilevarsi dal banchetto che fece per i suoi amici, gli ripugnava fare l'ufficio di aguzzino, ed essere esposto al disprezzo dei suoi connazionali, i quali riguardavano i pubblicani come angariatori del paese, a vantaggio di un potere straniero. Gesù lo colpì certamente in un momento di maggiore scoraggiamento interiore, perché la grazia nelle sue mirabili operazioni utilizza anche i nostri stati fisici o morali, e lo attrasse a sé senza altro invito che una sola parola, luminosa come il sole nell'anima di lui, che in un attimo gli additò la via della pace interna e della vera felicità.
Si lascia tutto per seguire Gesù; non si possono avere attacchi, non si possono avere preoccupazioni temporali assillanti lo spirito.
L'attacco alle cose terrene, e soprattutto al denaro, è praticamente una paralisi, perché non si può muovere sia chi ha i nervi inerti sia chi ha le mani inceppate e il corpo sotto un peso gravoso.
San Matteo non si preoccupò del suo banco di esazione, pensò solo a seguire Gesù. È probabile che non fosse solo al banco, perché un esattore pubblico non può essere solo; ma egli non pensò ad altro in quel momento, non pensò a dare la consegna dell'ufficio, s'era distaccato d'un tratto da ogni cosa terrena, correva a Gesù come a sua vita.
Chi tergiversa nel darsi a Dio, difficilmente raggiunge la meta; bisogna pure aver fiducia nel Signore e non pretendere di esaminare troppo minutamente le conseguenze materiali di una risoluzione generosa.
4. San Matteo offre un banchetto al quale invita Gesù e gli antichi amici
Fu tanta la gioia di san Matteo nell'essere chiamato da Gesù, e tanta la grazia interna che lo inondò, che egli, come ci attestano san Marco e san Luca, volle fare un banchetto solenne, al quale invitò i suoi antichi compagni di ufficio e i loro amici. Sperò di attrarre altri a Gesù, e forse volle dare un addio un po' spettacolare al suo ufficio, per mostrare che se ne era dimesso volontariamente ed irrevocabilmente. È profondamente psicologico che, dopo aver tutto abbandonato, egli mostrasse la sua gioia nell'averlo fatto.
Gesù era a tavola nella casa di san Matteo, circondato solo da pubblicani e da peccatori. Naturalmente l'addio solenne di Matteo al passato aveva fatto grido, e i farisei incuriositi erano penetrati anch'essi nella casa, scandalizzandosi un poco della compagnia in mezzo alla quale era Gesù. Essi credevano di mostrarsi santi, fuggendo e disprezzando i peccatori, e stimavano una nota di poca santità per Gesù il tollerare che dei peccatori gli si avvicinassero. Non osarono, però, rimproverarlo direttamente e ne parlarono ai discepoli in modo da farglielo sentire. Gesù con dolcezza piena di carità che contrastava tanto con la durezza farisaica, manifestò il motivo per il quale non disdegnava di stare tra i peccatori: Egli era il medico delle anime, ed era giusto che stesse fra gl'infermi per sanarli.
Con grande maestà poi ricordò una parola di Osea (6,6) e disse loro d'impararne il significato precisamente da quella scena che li scandalizzava: Dio vuole la misericordia e non il sacrificio, cioè vuole la pietà sincera che Si espande nella carità, e non la semplice immolazione di un animale al tempio, vuole la sua conoscenza più che gli olocausti, com'è soggiunto in Osea, cioè preferisce che si conosca il suo Nome e la sua verità, e che si cammini nelle sue vie, anziché si offra un olocausto per formalità e per giustizia legale soltanto. Ora quello che Dio voleva dal suo popolo Egli lo stava compiendo, perché usava misericordia ai peccatori, e si univa alla loro compagnia per renderli degni della divina misericordia e per istruirli nelle eterne verità, essendo venuto non a chiamare i giusti ma i peccatori. Gesù non intendeva dire che non voleva sacrifici nella vita, e quasi proclamare una legge di superficialità spirituale, tutt'altro! Voleva promulgare invece il giubileo della misericordia per i poveri peccatori, perché il sacrificio lo serbava per sé sul Calvario; voleva avvicinare i peccatori per guarirli e per salvarli.
Sac. Dolindo Ruotolo
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