sabato 5 luglio 2014

05.07.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 9 par. 5-6

5. La questione del digiuno
I farisei non dovettero essere contenti della risposta di Gesù, e dovettero anzi andar propagando con disprezzo la notizia che Egli stava a pranzo coi pubblicani. Certo si seppe di quel banchetto da alcuni discepoli di san Giovanni, i quali, abituati all'austerità del loro maestro, si scandalizzarono, che i discepoli di Gesù partecipassero ad una simile festa. Sembrò ad essi che i farisei dessero un esempio migliore digiunando, e che i discepoli del Signore fossero invece esempio di una vita più rilassata. Presero occasione da quel banchetto per notare quello che ad essi sembrava intollerabile nella vita dei discepoli di Gesù. Gesù diede loro una risposta sublime, dichiarando anche meglio che cosa aveva significato quel banchetto: nelle nozze si solevano fare sontuosi pranzi, ai quali partecipavano gli amici dello sposo; nessuno avrebbe potuto pretendere che gli amici avessero digiunato in quei giorni. Ora il pranzo offerto da san Matteo era un vero pranzo di nozze, poiché Egli, Sposo divino delle anime, aveva sposato a sé quel pubblicano convertendolo a Dio.
Non si trattava, dunque, di un banchetto soltanto, ma della festa nuziale della misericordia che stringeva a Dio un peccatore. Egli era venuto proprio per i peccatori, e tutta la sua dimora in terra era come una continua festa nuziale; perciò permetteva ai discepoli una minore austerità di vita. Il digiuno si fa per tutelare l'anima e per conciliare la misericordia di Dio; ora, essendo Egli coi discepoli, rappresentava la loro tutela più bella, ed era la stessa misericordia discesa in terra. Quando Egli sarebbe ritornato al Padre, allora i suoi discepoli avrebbero digiunato per implorare la misericordia di Dio sulle anime. Del resto un'austerità, come l'avrebbero voluta i discepoli di san Giovanni e i farisei, sarebbe stata fuori luogo per anime principianti, ed avrebbe potuto scoraggiarle ed allontanarle dal bene. Un'austerità in un'anima principiante è come una toppa di panno nuovo posta su di un vestito vecchio, o come vino nuovo posto in un otre vecchio; il panno nuovo non s'innesta bene sul vecchio, e ritirandosi lo strappa di più; il vino nuovo, ancora in fermento, rompe facilmente un otre vecchio, e produce la perdita dell'otre e del vino.


6. La formazione delle anime principianti nelle vie della virtù
Quale lezione nella formazione delle anime, e quante necessità di non pretendere di portarle ad altezze di perfezione senza procedere gradatamente, con bontà, con carità e con patema condiscendenza!
Non si può pretendere, per esempio, da un novizio una virtù consumata, ma si deve compatire la sua debolezza e portarlo mano a mano alle vette della santità. La pianta non produce subito il fratto, ma comincia con lo svilupparsi, cresce e poi dà il frutto. Chi è principiante ha bisogno invece di molto compatimento, e più che sentire il peso della vita che incomincia, deve sentirne le gioie.
Non è prudente sottoporre i principianti a rinunzie difficili, bisogna anzi dare ad essi l'impressione di avere scelto uno stato, se può dirsi così, anche di una certa agiatezza materiale. È in loro che bisogna far nascere a poco a poco l'amore alla penitenza e il desiderio del sacrificio, alimentandoli soprannaturalmente della scienza di Dio, cioè della sua parola.
Bisogna riconoscere che spesso si erra nella formazione delle anime, badando più alla disciplina esteriore che a quella interiore. Un seminarista, un novizio, un principiante non possono dare fiori e fratti di santità se prima non hanno radici ben profonde. Certi atteggiamenti di mortificazione, che sarebbero possibili in un'anima consumata nella virtù, possono diventare o un peso terribile o un'ipocrisia in un'anima principiante. Non si può pretendere di schiudere a forza un bocciolo, perché forzandolo ad aprirsi si sfronda; bisogna che la forza interna lo dischiuda, e che la sostanza assorbita dal suolo e la fecondazione lo mutino in frutto. È indispensabile ed urgente modificare certe idee in questo campo che è fondamentale nella formazione delle anime e specialmente dei ministri di Dio.
Un seminarista dev'essere addestrato dalla piccola età alla vita interiore, soprannaturale ed illuminata dalla Parola di Dio; questo penetra il suo cuore e lo disciplina anche esternamente. E falso il credere che i ragazzi siano incapaci di perfezione, e che solo la sferza o la severità li domi; è proprio il contrario. Se si nutre la vita interiore con la Parola di Dio e con la partecipazione illuminata e viva ai tesori della Chiesa, l'anima si trova come nei raggi del sole e prospera. Le disgraziate apostasie di anime consacrate a Dio hanno la loro ragione nella mancanza vera di formazione e di serietà nella vita spirituale. Oh, se si capisse che noi abbiamo il segreto, automatico quasi, per progredire nello spirito, nel tesoro eucaristico e nella dolcissima Mamma Maria! Oh, se si formassero le anime per alimentazione interna e non per impiastri o pannicelli caldi! Oh, se si desse loro la Parola di Dio, quella parola che si ha quasi timore di mettere nelle mani delle anime, presumendo di fare la lezione al Signore che ce l'ha data! Oh, se si facesse sentire alle anime la maternità di Maria Santissima, come sarebbe più facile vincerle, governarle, elevarle, e formarne fiori di santità.
Sac. Dolindo Ruotolo

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