venerdì 11 luglio 2014

11.07.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 19 par. 7

7. La felicità della rinunzia per amore di Dio. La verità del centuplo che frutta in questa vita
Prima di terminare questo capitolo, sentiamo la necessità d'insistere sulla profonda felicità di chi tutto lascia per Gesù Cristo, e sui frutti che la rinunzia produce in questa medesima vita. Abbiamo anzi per un giorno intero pregato e fatto pregare il Signore per avere lumi speciali in proposito, giacché è troppo amaro e desolante lo spettacolo che offrono tante anime consacrate a Dio, le quali riguardano come una sventura il loro stato, e si arrovellano in pene disperate, quando potrebbero godere di una pace patriarcale e profonda nelle mani di Dio. Le lacrime che versano, le ire che sentono contro se stessi e la società, lo stato di esasperazione cui giungono, desiderando vanamente la morte invece di orientarsi subito alla vita vera, l'avversione che nutrono verso quelli che li circondano e verso i propri parenti più intimi, quasi in cerca del responsabile di uno stato anormale, tutto questo non è che la feroce irrisione di satana che si proclama dominatore nuovo in un novello
Eden profanato nuovamente dal desiderio di cogliere e mangiare un frutto proibito, un frutto di morte! Dove mai si orientano quelle povere anime che si chiamano fallite, e che cercano avidamente l'aria che manca ai loro polmoni tra le esalazioni dei pantani del mondo?
Che cosa cercano questi cuori atrofizzati e inaciditi, che vorrebbero domandare in elemosina un sorriso beffardo della creatura, mentre potrebbero essere tra i sorrisi dell'eterno Amore?
Che cosa vogliono conseguire questi cuori invecchiati dalla brama del male, che in età già tarda cercano un nuovo innesto di vita, come poveri Voronoff disillusi66, e trovano solo l'innesto ghiandolare di una mutilata scimmia?
Quale ingiuria non fanno al Signore questi falsi testimoni, esploratori mendaci della terra promessa, che portano a spalla come frutti della terra benedetta i frutti della loro miseria, e pretendono mostrare la sterilità del fuoco sacro, ostentando la mota del loro cuore, tempio desolato, dove al posto dell'altare di Dio fu posto quello di Belial?
Che cosa dicono questi poveri infelici che vogliono trovare la logica nelle circonvoluzioni della follia e che dall'abisso delle tenebre del peccato levano le scarne ed infedeli mani, prima consacrate dall'amore, atteggiandosi a nuovi legislatori, e nuovi Mosè che, invece di promulgare la Legge di Dio, segnano sulle tenebrose tavole del traviato cuore la legge della più esosa schiavitù della carne?
Dove vanno questi esseri smarriti, che frugano fra le macerie dei sepolcri per trovarvi la scintilla della vita? Non si leva per essi, sulle plaghe desolate, dove errano, sulle valli agghiacciate, rimbombanti dei laceranti scrosci delle valanghe che rovinano, sui crepacci aperti sotto i loro piedi, dove mugola il vento della tempesta, sulle scoscese e strapiombanti rocce alle quali sono sospesi in cerca di emozioni, una voce amica, patema, anzi materna che gridi dalla vetta da essi smarrita e li chiami perché ritrovino la via?
Vorremmo avere la voce dei profeti, voce ricalcata sulle grandi visioni della verità che essi avevano, per mostrare alle anime smarrite la via che percorrono e per additare loro quella che è loro vera felicità; vorremmo essere in questo momento come riflettore potente dell'eterno Amore, per illuminare la notte profonda di queste creature infelici, che molte volte con le loro mani stesse aprono i vestiboli delle tenebre eterne, e picchiano alle porte di satana per avere almeno la vita dei sensi, affogando miseramente nella tabe dei morti!
Esse si proclamano infelici, e disperate cercano chi almeno le compatisca; si voltano d'ogni intomo come navicella nel vortice e, quando tendono l'orecchio per ascoltare una voce amica, ascoltano il muggire della tempesta, e più disperate odiano tutto e tutti, anticipando il coro spaventoso delle maledizioni eterne verso le quali vanno come legni di naufragio tra il mulinare del vortice!
Le lacrime di Geremia non sono sufficienti a piangere su tanta sventura, purtroppo non rara tra le anime elette alla felicità, le sole che nell'esilio potevano respirare l'aria della Patria, le sole che nell'intelletto potevano ricevere la luce eterna, e nel cuore l'ineffabile amore che non tradisce mai. Come mai siede solitaria sulle sue rovine l'anima prima arricchita di grazie? Come mai è schiava quella che era sovrana, ed è sottoposta al tributo colei che era affrancata? Il nemico ha steso la mano sopra ciò che le era più caro, ed essa ha veduto entrare nel santuario del suo cuore quelli che non avrebbero dovuto toccarne neppure il vestibolo. Un fuoco di concupiscenza è nelle sue ossa, una rete è tesa ai suoi piedi, il giogo delle sue
iniquità s'è rinnovato, ed essa è calcata nel pressoio delle sue disperate angustie!
Fugge l'anima infedele all'amore, come avesse alle spalle l'incendio
Fugge l'anima infedele all'amore, fogge come chi ha alle spalle l'incendio; grida, invoca aiuto e guata se stessa come se fosse in fiamma; eppure basterebbe che si fermasse un momento solo, e mirasse quello da cui fogge, per vedere non più un incendio distruttore ma un'aurora rutilante, promessa di un giorno di eterna luce!
Che cosa è in realtà la rinunzia che Gesù Cristo domanda alle anime che volontariamente gliela promettono? Siamo sempre pellegrini, e non dobbiamo dimenticare che questa terra è valle di lacrime; tutto quello che possiamo avere è sempre un fiore pieno di spine; tutto quello, invece, a cui rinunziamo per amore fiorisce nell'amore. La casa è angusta, anche se fosse una reggia, perché il posto del pellegrino è sempre ristretto; le mura non dilatano il cuore, lo restringono, e la rinunzia della casa fatta per amore dà all'anima la libertà di spaziare nel desiderio dell'eterna dimora. La cella che si abita con amore diventa cento volte più larga, più alta, più luminosa; è il vestibolo del posto che ci è assegnato nel regno eterno, dove la meditazione quotidiana ci fa spaziare, dove il cuore sospira e si sazia.
Che cosa sarebbe per noi una casa cento volte più bella di quella che abbiamo? La stamberga sarebbe un palazzo, la piantina che ne adorna l'entrata e sembra che pianga anch'essa, cisposa, con le foglie ingiallite dell'umido, sarebbe invece un giardino; le pareti lichenose, chiazzate di muffa, sarebbero affrescate da belle scene... Null'altro! Non si potrebbe desiderare di meglio, e chi lasciasse la stamberga per il palazzo farebbe la sua fortuna. Ora guarda la cella dove cerchi veramente Dio: è senza angustia, poiché le mura e la soffitta confinano col cielo eterno; non è ornata ma Tadorni tu con le mirabili scene che ti rappresenta la fede nella meditazione; quelle mura le diresti bianche quasi per ricevere tante proiezioni di vita. Più è piccola e più si fa grande, poiché lo spirito in quella povertà si dilata, e in quella piccolezza si fa gigante.
Nella casa del mondo potresti trovare un pianoforte, qui trovi le armonie dei canti dell'anima, accompagnati non da un misero accordo, ma da campane osannanti, da luci accese di aurore e di tramonti, da gioiosi gorgheggi di uccelli, e persino delle lontane voci del povero mondo, dei venditori, dei chiassoni, degli arruffoni, che giungono a te come gemiti di infelicità, accordi minori e dissonanze squillanti che fanno risaltare il canto dell'anima tua.
Non è un modo di dire di Gesù, è la verità; tu hai trovato il centuplo per la casa lasciata per suo amore.
Nella casa del mondo sei in gabbia, perché tutto ci rende schiavi,
nella casa di Dio sei libero, anche se avesse la grata;
quel cancello non chiude te, ma il mondo;
non è il ferro della tua prigione,
ma è quello della prigione del mondo;
tu spazi nella vita,
esso s'agita nella morte!
Questa è la realtà!
La famiglia religiosa
Tu lasci per amore di Gesù i fratelli, le sorelle, il padre, la madre, la moglie o i figli; considera qual è il centuplo che puoi aspettarti: fratelli più numerosi, aventi un sol pensiero con te, incapaci di sfrattarti e di tradirti, sorelle nell'amore
dello Sposo divino che è padre di tutti, e nell'amore di Maria Santissima Mamma incomparabile...
Tu m'interrompi, e guardi con pessimismo queste ricchezze di affetti, perché ti sembra di sperimentare l'opposto!
Non è un difetto della promessa di Gesù ma è una lacuna del tuo cuore, chiamato ad un amore soprannaturale e non già alle misere espansioni della fantasia. Se i tuoi fratelli di spirito fossero lontani dall'anima tua, se fossero anche cattivi, tu li riguarderesti come fratelli infermi, e il tuo amore soprannaturale si sazierebbe di carità, unica fratellanza vera che fiorisce nel cielo. E se neppure questo ti fosse possibile per la solitudine morale o materiale che ti circonda, tu troveresti i fratelli e le sorelle del cielo nel coro dei santi, dove la fratellanza è gioia eterna della famiglia immortale.
Considera in realtà che cosa sono nella vita i fratelli e le sorelle, salvo qualche eccezione rara che può trovarsi solo nel campo dello spirito. Spesso non c'è elemento più disunito quanto quella della propria parentela: la diversità di carattere, di aspirazioni, di interessi, di vita può stabilire profonde divergenze ed anche profonde scissure tra quelli che sono più vicini. Se formano famiglia a parte sono concentrati nella loro famiglia, se non la formano sono attratti dal loro egoismo. E poi, anche se sono fusi nell'amore, declinano, e ad uno ad uno spariscono dalla scena del mondo, lasciandoci in retaggio la desolazione.
Tutto invecchia, fuorché la famiglia religiosa, dove continuamente fiorisce la vita e dove l'elemento giovane è fuso col vecchio, in una sola aspirazione comune, che trascende ogni interesse terreno.
La famiglia del mondo
Che cosa sarebbero la moglie, il marito, i figli nella vita? Basta dare uno sguardo al mondo per convincersene. La poesia diventa prosa affannosa, gl'ideali si sfrondano, le bellezze si sfiorano, le miserie s'accrescono, le responsabilità si moltiplicano, le amarezze s'accumulano, e quello che di lontano può apparire felicità da vicino è solo, come dice san Paolo, tribolazione della carne. Tu invece consacrandoti a Dio lasci la moglie e sposi la Chiesa, lasci il marito e sposi Gesù, rinunzi ai figli, e formi una generazione spirituale cento volte più bella e più feconda. Questa è la verità. L'invidia con la quale il mondo guarda quelli che hanno rinunziato a tutto per amore di Dio è testimonianza eloquente del centuplo che hanno trovato. Satana può illudere gl'incauti cuori che non hanno in realtà rinunziato a nulla, perché non hanno seguito Gesù con amore, ma non potrà distruggere queste verità che sono esperienza di vita.
Le cosiddette rinunzie dei religiosi
Chi non segue Gesù e cammina nelle vie dell'amore senza avere il cuore acceso di amore non raccoglie il bene dello spirito, e si capisce che riguarda come una sventura la perdita dei supposti beni della carne; chi non ha dato ma s'è creduto derubato, non prova le dolcezze dell'amore divino, che superano ogni dolcezza; chi va cercando il mondo nel chiostro o nel Sacerdozio è logico che non ve lo trovi, e rimanga deluso ed esasperato. Il fanciullone che non ama lo studio, non crede di aver fatto un guadagno nell'aver lasciato il giocattolo per lo studio. Giuda, che era ladro e sfruttatore, non poteva trovare in Gesù il riposo della sua anima; fu infelicissimo e finì per tradirlo. Un'anima consacrata a Dio, che miseramente tradisce i suoi doveri, s'infanciullisce nel più stretto senso della parola, diventa banale, irrequieta, reagente, impaziente, disperata, ed allora s'intende bene che, non seguendo Gesù, non trova il centuplo; se guardasse almeno con serietà la vita e ne considerasse la realtà qual è, non si perderebbe in tante stranissime pazzie, che fanno pena e muovono a sdegno.
Gesù elencò tutte le rinunzie che, fatte per seguire Lui, cioè per amore vero, per il suo nome, per la sua gloria, danno il centuplo: la casa, i fratelli, le sorelle, il padre, la madre, la moglie, i figli e i campi. Egli parlava degli apostoli del Vangelo, di quelli che si danno tutti a salvare le anime per far conoscere il suo Nome, e nessuno potrà negare che in tutti i tempi le sue parole siano verità certissima. Essi infatti, invece della casa hanno la Chiesa ed il mondo, invece dei fratelli, delle sorelle, della moglie e dei figli, hanno la famiglia cattolica, invece dei campi, delle misere proprietà terrene, cariche di noie e di affanni, hanno la ricchezza della provvidenza.
Chi si dona a Gesù con vero spirito di apostolo, per propagare, difendere e riparare l'onore del suo Nome, trova veramente il centuplo in questa vita, ed ha la dolce speranza, che può dirsi certezza, di trovare la vita eterna. Sfidiamo chiunque a smentirci! Chi conosce da vicino le anime scontente del loro stato nobilissimo di amore divino sa che non sono quelle che hanno lasciato tutto, ma quelle che hanno voluto trarre il centuplo dalla corona dell'amore; sono i miseri Giuda che seguono il Maestro per il piatto, il posto, le comodità, il benessere, e non trovando né questo né il Re d'amore si disperano miseramente come Giuda!
Gettano via anche quello che hanno raccolto, non godono neppure il frutto della loro avidità traditrice, si soffocano e rimangono senza respiro sul vuoto orribile della loro miseria morale!
Chi scrive queste pagine vuol rendere testimonianza a Gesù Cristo, e lo fa con animo riconoscente e osannante al Signore. La sua vita è stata tutta un intreccio di tribolazioni amarissime, che a volte hanno fatto piangere chi ne è stato semplice spettatore; si sarebbe detto il più infelice dei sacerdoti, e tale l'hanno creduto quelli che non l'hanno avvicinato. Egli per amore del Nome di Gesù e per la Chiesa ha perduto veramente tutto, anche nello stato che aveva abbracciato con immenso amore, per Dio solo; eppure può proclamare a fronte alta che non poteva ricevere un centuplo più pieno.
Se si volesse valutare poi il valore di una croce, di un dolore, di una privazione, di uno stato di obbrobrio e di povertà, esso non sarebbe cento volte, anche incomparabilmente di più, di ogni guadagno materiale e di ogni ricchezza anche morale?
Chi può dire le ricchezze interiori, nascoste a tutti e sconosciute ai profani, che Gesù dona a chi per suo amore è immolato e ridotto come un verme?
Chi può dire quale fioritura producano le croci nella vita di un sacerdote?
Chi può dire di quante dolcezze sono sparse le stesse amarezze, tonico della vita soprannaturale, addolcito dalla croce del Redentore?
Non siamo fanciulli nelle vie di Dio, per carità non siamo come ragazzaglia che apprezza solo ciò che è futile e non sa guardare che al proprio egoismo marcio!
Siamo seri, almeno seri nella vita e, guardando la meta a cui si corre con tanta velocità, non ci perdiamo a cercare le farfalle sotto l'arco di Tito.
Anche se si credesse di avere sbagliato via, che importerebbe? Non si sarebbe mutato la reggia per il carcere, ma il carcere per la reggia, e si potrebbe, anzi si dovrebbe rimanere pieni di riconoscenza a Dio d'essersi trovati per scambio col manto di re e con la corona di regina sul capo. Non si può e non si deve fare a Dio l'ingiuria di mostrare come sventura lo stato più nobile a cui Dio possa chiamare un'anima, e invece di perdersi nelle miserie di stupide aspirazioni di terra, bisogna supplicare Dio a renderci degni di Lui, ed a plasmarci il cuore a nuovo con la sua grazia.
L'infelicità di chi torna indietro...
Il fatto dimostra che tutti quelli che abbandonano il loro stato privilegiato finiscono per essere davvero i più infelici di tutti; essi dunque passano dalla ricchezza alla povertà e, coi gridi della loro pena, a volte spaventosamente disperata, mostrano di avere lasciato il centuplo e di essere caduti nella più squallida miseria! Sono precisamente questi poveri traviati quelli che erano i primi e diventano gli ultimi, sono i falliti della vita proprio perché hanno disconosciuto il beneficio di Dio, sono i poveri inebetiti che si sono scimuniti appresso alle faville di un misero amore umano, e che non sanno apprezzare più i tesori che hanno ricevuti. Sono còme quei poveri barbari dell'America primitiva, che, attratti dal luccicare di uno specchio, davano oro per quell'inutile pezzo di vetro.
Un povero sacerdote traviato od una povera suora infedele portano in loro le stimmate dell'infelicità, anche quando appaiono contenti alle anime superficiali, e testimoniano essi stessi, senza volerlo, della realtà dei beni che hanno perduto.
Il magnificat del sacerdote
Allorché Maria, accogliendo il messaggio dell'angelo, divenne Madre di Dio, corse ai monti per comunicare la grazia alla famiglia di sant'Elisabetta, ed elevò al Signore quel cantico mirabile di riconoscenza e di amore che risuona sempre sulla terra: Magnificat anima mea Dominum. Questo deve essere il grido di un sacerdote, elevato al più alto principato, e quasi formato nuova creatura da misericordie specialissime dello Spirito Santo. Deve terminare l'ingratitudine nera dei poveri traviati, che per giustificare la loro degradazione, tentano offuscare lo splendore della loro dignità...
L'anima mia ti glorifica, o Signore, perché mi hai fatto sacerdote, tutta la mia vita esulta in te, Dio mio Salvatore, perché
sono sublimato dalla tua potenza. Non meritavo tanta grazia, e tu hai guardato solo la mia piccolezza, per colmarmi di benedizioni e rendermi veramente beato nella vita presente e nella futura. Mi hai fatto grande dandomi il tuo stesso potere, e mi hai fatto ministro del tuo Santo Nome per chiamarmi alla più alta santità. Non posso più respirare che in quest'atmosfera di cielo; ho le ali robuste della tua carità per dimorare sulle altissime rocce, e se scendo nella mefitica valle del mondo, dove tutto è esalazione acidula di carne, rimango soffocato!
Mi hai fatto grande perché io effonda la tua misericordia di generazione in generazione su quelli che ti temono; mi hai dato la tua potenza perché levi il mio braccio e disperda la superbia del mondo con l'umiltà della tua croce; come potrei tendere il braccio verso gli abissi, ed esaltare la miseria della mente traviata o dei sensi sconvolti? Hai elevato in me la piccolezza umana, e come potrei degradarla? Mi hai saziato di beni eterni, e come potrei sospirare a quelli della terra? Mi hai ricevuto come tuo servo prediletto, e come potrei abbrutirmi fino a diventare servo del peccato?
Misericordia del mio Dio, l'anima mia ti glorifica, piena di riconoscenza per il dono che mi hai fatto, ed il mio cuore, di cui tu sei geloso, esulta solo nel tuo amore. Guarda la mia piccolezza e la mia fragilità, e sostienimi con la tua grazia, perché io ti sia fedele; rettifica i miei apprezzamenti, perché io riguardi te solo come mio sommo bene, effondi in me il tuo Spirito, perché io viva di amore; rendimi fiamma, perché io accenda tutti del tuo amore; chiudimi nel silenzio solenne della tua magnificenza, perché ascolti Te solo ed ami Te solo, cantando le tue lodi, immolando la Vittima divina, effondendo la grazia nelle anime come sole splendente, e consumando la mia vita per Te solo!
Magnificat anima mea Dominum: l'anima mia ti glorifichi; ti lodi il mio essere fatto quasi tutto anima, solo anima, perché debbo ignorare la carne e debbo essere per la purezza
come corpo glorioso nella tua Chiesa. Esulti il mio spirito in te, mio Salvatore, perché Tu solo sei e devi essere tutta la mia esultanza, essendo Tu solo la mia porzione e la mia eredità. La grandezza di cui mi hai rivestito non può insuperbirmi, perché è regale dignità che adorna un umile servo; la potestà che mi hai data non può rendermi tracotante, perché è potestà di amore che disperde le miserie e solleva al fasto del tuo trono le anime umili; le ricchezze che mi hai donate non mi gonfiano, perché sono effluvi della tua carità che sostengono i miseri nelle vie dello spirito; non sono tesori di terra, ma tesori di cielo, non sono monete, ma stille di Sangue divino; non sono gioielli ma gemme di grazie; non sono distesa di campi ma distesa di cieli, non sono covoni di messe ma corone di anime!
L'anima mia ti glorifica e ti ringrazia, ti esalta e ti loda, gemendo di pena per tante ingratitudini con le quali ho ripagato il tuo amore, e proponendo di corrisponderti e di amarti con tutte le mie povere forze! Fa' che io sia come angelo, e se vedi spuntare in me un sol germe di mondo, castigami; fammi sentire la tua mano divinamente gelosa di me, affinché sotto le percosse dell'amor tuo io riprenda il mio volo nelle altezze celesti e ti glorifichi lacrimando, cercando il tuo Cuore, serrandomi al tuo petto, nascondendo la mia vita tutta in Te: Magnificat anima mea Dominumì
Sac. Dolindo Ruotolo

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