giovedì 29 maggio 2014

29/30.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 16 par. 3

3. Separazione momentanea di Gesù dagli apostoli. Le pene che essi incontreranno nel mondo, e la loro consolazione
Gesù Cristo, nel suo infinito amore, parlava quasi confusamente, perché i suoi apostoli non si fossero eccessivamente afflitti della sua dipartita dal mondo. Voleva che l'avessero intuito, ma quasi non aveva il cuore di dirlo loro apertamente; all'accenno di una cosa dolorosa faceva succedere quello di un annunzio confortante, o a quello confortante faceva succedere una previsione poco lieta, affinché il loro spirito non si fosse troppo fermato su ciò che poteva contristarli. Dopo aver perciò loro annunziato la venuta dello Spirito Santo, soggiunse misteriosamente: Ancora un poco e mi vedrete, e di nuovo un altro poco e non mi vedrete perché io vado al Padre. Egli, voleva dire: Ecco, io sono con voi, ma per poco, perché verrà la Passione dolorosa, e non mi vedrete più. Morirò, ma per poco, e di nuovo mi vedrete dopo la risurrezione nella dimora che farò sulla terra prima d'andare al Padre.
Guardando poi più lontano, com'è chiaro dal contesto, Egli volle preannunziare alla Chiesa quei periodi tristissimi nei quali sarebbe stata come abbandonata, e consolarla con la promessa della gioia. Ma gli apostoli non capirono in che senso parlava, e si domandarono fra loro che cosa significassero quelle parole. Gesù non ascoltò fisicamente quel loro domandarsi a vicenda che cosa volessero dire le sue parole, ma conobbe con la sua scienza divina che volevano interrogarlo, e li prevenne con una spiegazione generale prima, per non contristarli a causa della sua morte imminente, e poi con una spiegazione più particolare, nella quale emergevano per loro più i motivi di consolazione che quelli del dolore. Egli disse: In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete e il mondo godrà; voi sarete, sì, in tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gaudio. Quante lacrime, infatti, essi fecero, e quanti gemiti amarissimi, quando Egli fu catturato, fu condannato a morte, e spirò sul patibolo infame! I suoi nemici invece esultarono, sembrando loro di averlo vinto per sempre, e menarono trionfo della sua morte. Ma le cose mutarono radicalmente dopo la sua risurrezione, poiché la gioia degli apostoli allora fu immensa, ed il livore dei suoi nemici fu terribile.
Con una similitudine Gesù poi volle consolare il loro cuore, mostrando il frutto che avrebbero cavato dai loro dolori: La donna quando partorisce è afflitta perché è giunta l'ora sua, ma quando ha dato alla luce il bambino non si ricorda più del dolore per la gioia eh 'è nato al mondo un uomo. Essi avrebbero sofferto per la sua morte, associati in questo almeno alla sua immolazione, ma avrebbero poi avuto l'immensa gioia non della nascita temporale di un uomo, ma della rinascita spirituale dell'uomo, ed avrebbero capito così luminosamente il disegno di Dio, da non avere più bisogno d'interrogarlo in proposito. Avrebbero capito soprattutto di avere in Lui il mediatore divino presso il Padre, e di non dover più temere per la loro insufficienza perché con la preghiera fatta in suo nome avrebbero avuto ogni aiuto per compiere la loro missione.
Essi infatti fino ad allora non avevano capito il suo ufficio di mediatore presso il Padre, e non avevano domandato nel suo nome la vittoria sui nemici del bene e sull'Inferno. Ma dopo la sua risurrezione l'avrebbero capito, ed avrebbero avuto la gioia di sentirsi sostenuti nella loro debolezza. Per un'anima che compie una missione difficile da parte di Dio, non c'è gioia più completa quanto quella di sentirsi abbandonata a Lui e sostenuta dalla sua grazia. Per gli apostoli, intimi e familiari di Gesù, questa gioia sarebbe stata immensa, perché avrebbero capito di potersi appellare a Dio in nome di Colui che tanto li aveva amati, ed avrebbero avuto la certezza di essere esauditi.
Vi ho detto queste cose affinché abbiate pace in me
Gesù insiste ancora nei motivi che avranno di consolarsi dopo la sua dipartita dal mondo: essi ora sentono pena a non capirlo sempre, ed a sentirsi come smarriti innanzi a tanti misteri; ma dopo la sua risurrezione Egli avrebbe loro parlato senz'oscurità del Padre, ed essi si sarebbero sentiti così familiari con Dio, e pieni di tanta potestà soprannaturale, da non aver quasi più bisogno di operare per Lui, loro Maestro e loro Mediatore, sentendosi in Lui come mediatori di grazia.
Evidentemente Gesù alludeva all'esercizio del potere sacerdotale che loro aveva dato, e che sarebbe stato in loro completo dopo la sua risurrezione. Avrebbero ascoltato da Lui le ultime sue istruzioni, senza velo di simboli, avrebbero conosciuto apertamente la rivelazione dell'eterna verità, ed avrebbero operato come Lui, nella sua potestà, sentendosi vicini a Dio, amati da Dio come figli, e come familiari del suo amore.
Dopo averli consolati, in modo da attenuare la tristezza dell'annunzio della sua dipartita dal mondo, Gesù spiega loro che cosa avesse voluto dire con quelle parole: Ancora un poco e non mi vedrete, soggiungendo: Uscii dal Padre e venni al mondo; abbandono di nuovo il mondo e vado al Padre. Uscii dal Padre, e non dal nulla, ma uscii dalla sua fecondità, come suo Verbo, e venni al mondo per incarnarmi, mandato da Lui per compiere la sua volontà. Ora poi compiuto ciò che Egli vuole, ritornerò a Lui, e per questo non mi vedrete più.
Queste parole Gesù le disse con tale accento di penetrante verità, che gli apostoli ne furono compresi. Ebbero un lume novello su ciò che Egli era, e vedendosi risposti all'interrogazione che non avevano avuto il coraggio di fargli, esclamarono: Ecco che tu ora parli chiaramente e non dici nessuna parabola. Adesso sappiamo che tu sai tutto e che non hai bisogno che alcuno t 'interroghi; per questo crediamo che tu sei uscito da Dio. Parlarono così in un momento di entusiasmo, non tanto per le parole che Gesù aveva loro detto, quanto per quello che avevano sentito nell'anima.
Psicologicamente, infatti, ci sono dei momenti d'intensa luce nello spirito quando si controlla la verità di ciò che a stento crediamo, anche per una constatazione piccola in sé. L'anima passa dallo smarrimento subcosciente alla gioia, e per la gioia che prova, dà un peso anche maggiore a ciò che controlla. Nell'esitazione che aveva nel credere si faceva guidare dal proprio giudizio, e nella luce che controlla si fa parimente guidare dal suo giudizio, perché giudica grande quella luce. Il suo atto di fede allora non è frutto di grazia, ma frutto d'un ragionamento, e dura poco. Alle prime tenebre nuovamente s'eclissa, e subentrano in lei le tenebre. Non crede a Dio, in altri termini, ma a se stessa ed alla propria convinzione momentanea.
Tale fu l'atto di fede degli apostoli, e per questo Gesù che ne conosceva la debolezza soggiunse: Adesso voi credete? Ecco viene l'ora, anzi è già venuta, che vi disperderete ciascuno nel suo luogo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Essi infatti in quella medesima notte se ne fuggirono cercando un rifugio presso persone amiche, e lo lasciarono solo nel grande combattimento. Gesù non era solo, era col Padre, essendo una cosa con Lui, ma la solitudine nella quale l'avrebbero subito lasciato gli apostoli gli era particolarmente penosa, giacché Egli li amava di amore infinito. Per questo amore che aveva per loro esclamò: Vi ho detto queste cose affinché abbiate pace in me. Nel mondo sarete angustiati, ma confidate: lo ho vinto il mondo. Il suo accenno alla loro infedeltà era per Lui di secondaria importanza; Egli la compativa, e se aveva parlato l'aveva fatto non per rimproverarli, ma per eccitarli ad avere fiducia in Lui. Quello di cui si preoccupava era la loro angustia e le persecuzioni che avrebbero avute nel mondo; ma non dovevano scoraggiarsi e dovevano confidare in Lui, vincitore del mondo. Avrebbero affrontato un nemico già vinto da Lui, e passato il momento del loro smarrimento, dovevano essere fermi nella lotta, e compiere la loro missione con la grazia di Dio.
Sac. Dolindo Ruotolo

martedì 27 maggio 2014

27/28.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 16 par. 2

2. Nelle persecuzioni è necessario aver fede ed appoggiarsi unicamente a Dio
Le persecuzioni sono il pane quotidiano della Chiesa in tutti i secoli, perché il demonio ed il mondo non cesseranno mai di odiarla. È proprio questo che mantiene nella Chiesa: lo Spirito di Dio. Le persecuzioni sono come il vento che rimesta l'aria nella sua vigna, fa cadere le foglie morte, e porta il polline sui fiori perché fruttifichino. Senza le lotte non crescono gli eroi ed i santi e, bisogna confessarlo, le regioni che sono più pacifiche in ordine alla Chiesa sono le più sterili di santi. L'America, per esempio, ha prodotto i santi solo nel Messico, dove infuriò ed infuria la persecuzione. Nel resto dei suoi stati liberi, pacifici e tolleranti, la vita cristiana finisce quasi per mimetizzarsi con quella del mondo, ne prende il colore, il carattere, lo spirito, e nello splendore di una comoda pace non prospera.
Gli uffici sacri della Chiesa, che sono come gli organi della sua vita, diventano dei ministeri più o meno burocratici, che non danno sangue di vita, ma regolano quasi le funzioni o, diremmo, la toletta dell'epidermide del suo corpo. Ogni atto della mirabile organizzazione della Chiesa è funzione vitale solo nelle lotte: allora diventa parola d'ordine del combattimento, esortazione alla virtù, invito all'unità, alla fiducia, alla preghiera, ed allora solo penetra i cuori con l'amore materno che è la sua suprema funzione tra le creature di Dio.
Le persecuzioni vengono nella Chiesa per purificarla, e le impediscono il connubio col mondo, ogni volta che la vita dei suoi sacerdoti e dei suoi figli la mette in questo pericolo mortale. Esse sono come la scarica violenta che si sprigiona dagl'ibridi contatti dei fedeli con la terra, sono come la reazione sua stessa a ciò che la mette in pericolo di deviare, giacché sono provocate quasi sempre da quegli atti di energia coi quali essa pone un limite alle pericolose endosmosi dello spirito del mondo nella sua vita. I cattivi non si preoccupano di una vita cristiana che condiscende alle loro miserie, ma reagiscono a quella che le contrasta, diventano così strumento nelle mani di Dio per accrescere e per purificare la vita dei cristiani, e concorrono alla santificazione dei buoni, all'eliminazione dei cattivi, ed all'emenda dei colpevoli, loro malgrado.
Le persecuzioni potevano costituire un argomento di scandalo per gli apostoli e per i loro successori, per i primi fedeli e per quelli che nei secoli avrebbero abbracciato la fede, e per questo Gesù le preannunziò. Il predirle indicava chiaro ch'Egli ne conosceva la natura e la portata, e che le permetteva per altissimi fini di amore.
Egli aveva già detto ai suoi cari che il mondo li avrebbe odiati (15,18) e dopo averlo annunziato loro, perché non si fossero scandalizzati e disorientati per quell'odio, predisse loro anche le persecuzioni che avrebbero avute da quelli medesimi che rappresentavano l'autorità costituita, e soggiunse: Vi cacceranno dalle sinagoghe, anzi viene già l'ora nella quale chi vi ucciderà penserà di rendere omaggio a Dio.
Non sarebbe stato possibile né un'intesa né un compromesso con quelli che rappresentavano in Israele il pubblico potere religioso; bisognava aspettarsi di essere cacciati dalle sinagoghe come eretici pericolosi, e di essere persino uccisi come falsi profeti. Tutto questo sarebbe avvenuto perché il potere religioso aveva con ostinata protervia rifiutato di riconoscerlo come Figlio di Dio, ed aveva rinnegato la luce che veniva dai Libri Santi, restringendone il significato alle proprie idee.
L'opposizione aperta e violenta del potere religioso doveva costituire per gli apostoli la più dura prova, giacché essi, timorati com'erano di Dio, vi avevano avuto fede, e lo riguardavano ancora com'espressione della divina autorità. Per questo Gesù soggiunse: Vi ho detto ciò affinché quando verrà quel tempo vi ricordiate che io ve l'ho detto. L'avveramento della profezia doveva costituire per essi un argomento di verità, per credere alla sua divina Parola, e incoraggiarli a non temere l'urto delle autorità, le quali, proprio perché rinnegavano la verità, non rappresentavano più quella di Dio.
Verrà l'ora nella quale chi vi ucciderà crederà di dar gloria a Dio
La pena e l'angustia d'essere perseguitati dal medesimo potere religioso fu propria degli apostoli, giacché essi rappresentavano il passaggio dall'Antico al Nuovo Testamento; ma può dirsi anche di quelle anime che avendo una missione nella Chiesa, si vedono contrastate dalla medesima sua autorità. Questa per dovere, e logicamente, ha il diritto d'assicurarsi della verità di una missione particolare, e dello Spirito che muove certe anime; quindi la sua opposizione è da lodarsi, e non autorizza minimamente alla rivolta; ma ciò non toglie che l'anima che la subisce provi uno spasimo grande, tanto più atroce quanto più è sincero il suo amore alla Chiesa e la sua sottomissione all'autorità. Essa è stretta nel torchio, poiché da una parte il Signore non cessa di operare, e dall'altra l'autorità, col suo atteggiamento ostile o poco benevolo, la getta nei più assillanti dubbi.
È questa la prova suprema che Dio dà quando opera in un'anima più direttamente, ed è un segno di quest'operazione quando la prova produce nell'anima una maggiore sottomissione ed obbedienza, ed una fiducia piena nel Signore.
L'anima si sottomette, obbedisce, prega, dubita di sé e spera contro la speranza, come Abramo, certa di Dio che tutto può, abbandonata a Lui, pronta alla sua volontà, e nel medesimo tempo pronta a rinunziare a tutto ciò che passa in lei, qualora così piaccia positivamente a chi le rappresenta Dio.
Sono pene amarissime, certo, ma sono pene feconde di beni immensi per lo sviluppo stesso di ciò che Dio vuole. Un'opera santa che passa per questa trafila prende salde radici proprio nella Chiesa e si dilata nei secoli. Così avvenne per la devozione al Sacro Cuore di Gesù, prima ripudiata dall'autorità, e ripudiata in modo tanto assoluto e definitivo, da provocare l'ingiunzione di non parlarne più: Negative et amplius fu la risposta della Sacra Congregazione quando le fu riproposta la questione della devozione al Sacro Cuore, e quella espressione equivaleva a quest'altra: Si riprova questa devozione e s'ingiunge di non parlarne più. In realtà proprio allora Dio apriva il solco fecondo nella vigna della Chiesa, e vi affondava col dolore e la contraddizione il granello che doveva diventare un grande albero.
Annunziando le persecuzioni che dovevano venire dall'autorità, Gesù Cristo soggiunge: Aon ve ne ho parlato prima perché ero con voi. Egli ad ogni opposizione dell'autorità rispondeva direttamente, e confermava la sua risposta coi miracoli; raccoglieva Egli solo quelle opposizioni, e le ribatteva con la sua divina autorità. Ma dopo la sua dipartita dal mondo quelle opposizioni si sarebbero rivolte contro gli apostoli, ed Egli lo preveniva loro perché non se ne fossero estremamente accorati, ed avessero confidato in Dio.
Il Consolatore verrà a sostenere gli apostoli
Nel dire Gesù: Non ve ne ho parlato prima perché ero con voi, significò esplicitamente ch'Egli era per lasciarli soli nel mondo, e questo turbò profondamente gli apostoli. Avevano sentito parlare di tradimento, di pericolo imminente, di persecuzioni e di morte, e il solo pensiero di rimanere senza il Maestro li sconcertò. Capirono che E avrebbero tolto violentemente dal mondo e, senza pensare al disegno di Dio, se ne angustiarono fino a scoraggiarsi. Per questo Gesù, richiamandoli alla verità, soggiunse: Ed ora vado da Colui che mi ha mandato, e nessuno di voi mi domanda: Dove vai tu? Ma perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore.
Egli voleva dire loro: Io non sarò sopraffatto dall'umana iniquità, ma volontariamente mi offrirò alla morte, e me ne andrò a Colui che mi ha mandato. Ora voi, invece di preoccuparvi delle insidie che mi tendono gli uomini, perché non sollevate lo sguardo in alto, e non guardate al Cielo dove io vado per voi? Vi rattristate come se con la mia morte tutto dovesse finire, e non pensate che invece tutto allora si compirà e si svilupperà? Io però vi dico in verità: è bene per voi che io me ne vada, cioè che io muoia, e con la mia morte vi meriti la grazia dello Spirito Santo che deve sostenervi e sviluppare tutto il disegno di Dio. Se io non me ne vado, il Paraclito non verrà a voi, e se me ne andrò lo manderò a voi. Morirò, ma salirò al cielo dopo la mia morte, e dal cielo vi manderò lo Spirito Santo. Non vi preoccupate di trovarvi soli innanzi al mondo, innanzi al sinedrio ed al demonio, in una lotta impari alle vostre forze, poiché lo Spirito Santo che verrà in voi riporterà Egli stesso una triplice vittoria sul mondo: convincendolo che è schiavo del peccato proprio perché non ha creduto in me; convincendolo che io sono il giusto per eccellenza, il vero Figlio di Dio, sedente nella gloria eterna, e convincendolo che io sono il Redentore, vincitore di satana e giudice eterno.
L'opera di santificazione, che lo Spirito Santo compirà farà emergere l'opera mia e glorificherà la fede che si ha in me, negli splendori della verità e della santità. Con questo sarà fatto giudizio del mondo che non ha creduto in me, e risalterà la gravità del peccato di quelli che hanno rifiutato la verità per le loro passioni. Lo Spirito Santo riprenderà il mondo di giustizia, testimoniando della mia giustizia e della mia santità dopo che me ne sarò andato al Padre, e non mi vedrete più. Allora si capirà che cosa è la vera giustizia, e si pondererà il delitto commesso nel togliermi dalla terra. Infine lo Spirito Santo riprenderà il mondo di giudizio, mostrando con le meraviglie della grazia che il demonio è già giudicato, ossia ch'è stato vinto, e che il suo regno tenebroso è finito nelle anime che credono in me.
Gesù parlò oscuramente agli apostoli, perché non poteva in quel momento esporre loro tutto il cammino doloroso che li aspettava nel loro ministero; Egli però volle prevenirli del trionfo che avrebbero riportato per lo Spirito Santo. Essi, soli innanzi ad un mondo prepotente, avrebbero avuto la forza di rimproverarne l'incredulità, di testimoniare di Lui come Figlio vero di Dio, risorto da morte e asceso al Cielo, e di sgominare il regno di satana, già vinto dalla croce.
Gesù Cristo non li abbandonava, ma andava al Padre per sostenerli più fortemente con la virtù e la grazia dello Spirito Santo; non li lasciava in balìa del sinedrio, quasi fossero dei sopraffatti, convinti d'aver seguito un'illusione, ma per lo Spirito Santo dava loro la forza di rimproverarne l'incredulità, di attestare la verità, e di mostrare coi miracoli e le conversioni che il demonio era stato vinto già. Gli apostoli, infatti, e san Pietro a capo di essi, dopo la discesa dello Spirito Santo parlarono al popolo ed al sinedrio con libertà piena, rimproverando proprio la loro incredulità, mostrando la divinità e la santità del Redentore, e dissipando, con le meraviglie che operarono, le menzogne di satana che avevano allontanato gli animi dalla verità.
In ogni tempo della vita della Chiesa lo Spirito Santo continua a rimproverare il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio attraverso le parole del Papa e del sacerdozio. Il mondo incredulo è confuso dalla luce della verità che rifulge nella Chiesa per la continua assistenza dello Spirito Santo; è condannato nelle sue ingiustizie con l'inesorabile giudizio che traccia infallibilmente la via del bene; la Chiesa infatti addita l'eterna meta cui aspiriamo, sulle orme del Redentore ch'è asceso al Cielo per prepararci il premio. Il mondo infine è sgominato dalla potenza divina, che, attraverso i doni dello Spirito Santo, mostra quanto sia effimera la potenza di satana. Per l'assistenza dello Spirito Santo la Chiesa è un faro di luce in mezzo al tenebrìo del mondo, segna le vie della verità e della giustizia, e vince le mene di satana, il perenne vinto anche dalle più piccole manifestazioni della sua vita. La Chiesa condanna la miscredenza, che presume di vivere in un positivismo tutto materiale, e glorifica la fede che non vede e crede, condanna chi non crede in Gesù, e crede in Gesù vivo e vero, benché invisibile, che siede alla destra del Padre e vive nell'Eucaristia; la Chiesa condanna il regno di satana, e condannandolo mostra che satana non è un re ma un vinto, e che tutto ciò che opera nel mondo è obbrobrio che ne mostra la viltà.
Gli apostoli non capirono quello che Gesù diceva loro, e rimasero perplessi. Capirono solo che dovevano compiere una missione; ma, piccoli ed incolti com'erano, provarono uno scoraggiamento grande, non sapendo come avrebbero potuto attuarla. Il pensiero poi che il Maestro divino li lasciava, li rattristava grandemente, perché erano come figliolini attaccati alle vesti materne. Che cosa potevano annunziare al mondo? A che cosa si riduceva la dottrina che avevano ascoltata? La loro mente era confusa ed il loro spirito, anche inconsciamente, desiderava delle chiarificazioni. Per questo Gesù soggiunse:
Molte cose ho ancora da dirvi, ma non ne siete capaci adesso. Venuto però che sia quello Spirito di verità, v 'insegnerà tutta la verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso ma vi dirà quanto ha inteso, e vi annunzierà le cose che dovranno succedere. Egli mi glorificherà, perché prenderà ciò che è mio e ve lo annunzierà. Tutto ciò che ha il Padre mio è mio; perciò vi ho detto che prenderà ciò che è mio e ve lo annunzierà.
Gesù voleva dire: Voi desiderate sapere che cosa dovrete dire al mondo, e vi preoccupate della vostra missione. Io in realtà non vi ho detto ancora tutto, ed ho molte altre cose da rivelarvi, ma voi non sareste ora capaci di comprenderle. Vi manderò lo Spirito Santo ed Egli v'insegnerà tutta la verità. Egli non farà una nuova economia di provvidenza salvatrice, né verrà per fondare qualche cosa di diverso da quello che ho fatto già io, non vi parlerà da se stesso, ma vi dirà quanto ha inteso, cioè vi dirà quanto io ho detto e ve lo spiegherà, e vi annunzierà le cose che dovranno succedere, dicendovi quello che io non ho potuto ancora annunziarvi, e dandovi lo spirito di profezia. Voi così non sarete confusi né per ciò che avete visto ed ascoltato né per ciò che vi avverrà.
Vi scoraggiate nella vostra missione, ma non siete voi che dovrete glorificarmi, quasi semplici testimoni di un fatto storico; lo Spirito Santo mi glorificherà in voi illuminandovi su tutto ciò che vi ho detto, e vi darà la luce di sapienza perché mi glorifichiate innanzi al mondo; la vostra missione, in altri termini, è soprannaturale, e voi con la vostra fede diffonderete in tutti la luce della fede, e con la vostra vita mi glorificherete amandomi ed accendendo i cuori di amore. Lo Spirito Santo procede da me, e riceve da me con la natura divina la sapienza divina per istruirvi.
Vi dissi già che Egli procede dal Padre (15,26), ma ora vi aggiungo che procede anche da me, perché tutto ciò che ha il Padre è mio; il Padre gli comunica la natura divina, e gliela comunico anche io; procede dal Padre e da me come da unico principio, e riceve dal Padre e da me la natura divina, la scienza, ecc. Egli dunque mi glorificherà solennemente non solo per ciò che ho compiuto come uomo, ma mi glorificherà come Dio: prenderà ciò che è mio e ve lo annunzierà, ossia vi annunzierà la verità della mia natura divina, di quella natura ch'Egli riceve da me come dal Padre, e vi farà intendere luminosamente che io sono veramente Figlio di Dio.
Sac. Dolindo Ruotolo

lunedì 26 maggio 2014

26.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 14 par. 4

4. Credere attivamente osservando la Legge di Dio, farsi vivificare dallo Spirito Santo
Non bisogna supporre che per far vivere in noi Gesù Cristo basti uno sterile atto di fede o una più sterile invocazione fatta a fior di labbra. Per molte anime infatti la vera e profonda pietà potrebbe prendere l'aspetto di una poesia più o meno fantastica, o rivestire il carattere di un idealismo più o meno vaporoso. La pietà vera è via, verità e vita', è via che ci conduce a Dio ed all'eternità, è fondata saldamente sulla verità divina, ed è vita di Gesù Cristo. La nostra vita dev'essere nascosta con Gesù Cristo in Dio, e dobbiamo vivere noi, ma non noi, sebbene Gesù Cristo in noi, come dice in una sintesi mirabile san Paolo.
Per far vivere in noi Gesù Cristo è necessario amarlo praticamente, osservando i suoi comandamenti, e per far questo è
necessaria la grazia. La grazia viene a noi dallo Spirito Santo, e perciò Gesù Cristo, dopo aver parlato del Padre e di Lui stesso, Figlio del Padre, accenna allo Spirito Santo, che realizza la nostra unione con Lui e ci rende glorificazione di Dio. Essendo poi Egli il nostro mediatore presso Dio come Verbo Incarnato, e potendoci Egli solo ottenere la grazia per amarlo e per osservare i suoi comandamenti, soggiunge: Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Paraclito, affinché rimanga sempre in voi lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede né lo conosce; voi però lo conoscerete perché abiterà con voi e sarà in voi. Paraclito significa difensore, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore, incitatore, colui che dà l'impulso; ora Gesù Cristo era per gli apostoli e per le anime tutte il difensore perché le liberava dalle insidie di satana, l'avvocato come dice san Paolo perché mediatore loro presso Dio, il consolatore perché effondeva in loro il balsamo della sua carità, l'intercessore, perché sempre vivente in preghiera per loro, l 'esortatore come Maestro divino, l'incitatore e colui che dà l'impulso, come nostro aiuto, nostro esempio e nostra vita. Egli quindi, come primo Paraclito, dovendo andare via dal mondo, e dovendo lasciare gli apostoli, promette loro un altro Paraclito, un'altra persona della Santissima Trinità, cioè lo Spirito Santo, che doveva essere per loro intimamente, e nella Chiesa ch'Egli fondava, difesa, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore, incitamento al bene ed impulso di vita novella nelle debolezze della natura.
Gesù Cristo promette questo altro Paraclito perché rimanga nelle anime che lo riceveranno e nella Chiesa ch'Egli vivificherà, e perché sia conservato integro il patrimonio della fede e la Chiesa viva nel perenne splendore dell'infallibile verità.
Lo Spirito di verità che il mondo rifiuta
E questo quello che distinguerà la Chiesa dal mondo e i cristiani dai mondani: lo Spirito di verità che il mondo non
può ricevere. Il mondo è spirito di menzogna e di malvagità; odia la verità e non la vuole conoscere; appare per quello che è, ripieno dello spirito satanico aggressivo, violento, crudele, calunniatore, scandalizzatore, ossia diametralmente opposto allo Spirito Santo, e quindi è chiaro che non potrà né vederlo né conoscerlo.
I cosiddetti grandi della terra hanno tutti, più o meno, i caratteri opposti allo Spirito Santo, ed in realtà sono obbrobrio e miseria, nonostante le loro apparenze gloriose; i fedeli invece, i veri fedeli, dovranno essere contrassegnati dallo Spirito di Dio, ed esserne ripieni.
Perché Gesù promise un altro Consolatore?
A primo aspetto sembra quasi che Gesù Cristo prometta agli apostoli un altro Paraclito, per sostituire la sua presenza in mezzo a loro durante la sua assenza; Egli infatti soggiunge: Non vi lascerò orfani, tornerò a voi. Ancora un poco di tempo e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. Intanto è certo che Gesù, anche senza la sua presenza visibile, rimase e rimane nella Chiesa; anzi Egli è in Essa vivo e vero nell'Eucaristia, ed Egli stesso dice: Io vivo e voi vivrete, vivo nell'Eucaristia, e voi vivrete di me in questo Sacramento di amore. Ora se Gesù rimase e rimane nella Chiesa, perché promise un altro Paraclito. E perché disse che non avrebbe lasciato orfani i suoi apostoli, ma sarebbe ritornato a loro?
Letteralmente Gesù alluse al suo ritorno visibile dopo la sua risurrezione ed alla fine del mondo; consolò gli apostoli della sua morte, dicendo che sarebbe ritornato, e consolò la Chiesa militante, che nelle sue lotte l'avrebbe visto quasi assente, dicendo che sarebbe ritornato vivente nella sua gloria, per darle il possesso solenne della eterna vita: Mi vedrete perché io vivo e voi vivrete. Nella gloria della sua risurrezione gli apostoli l'avrebbero riconosciuto meglio come Dio, ed avrebbero capito ch'Egli è nel Padre, come avrebbero capito che Egli è il Redentore, e gli uomini in Lui trovano la vita, ed Egli in loro dimora per donarla. Nell'ultimo giorno sarebbe apparso evidente il fulgore della sua divinità a tutte le genti, e la Chiesa, suo Corpo mistico, completa nella sua santità e nei suoi eletti, sarebbe apparsa congiunta a Lui come membro al corpo, ed Egli congiunto a Lei come capo al corpo.
Gesù Cristo doveva eclissarsi dagli apostoli con la sua morte e sepoltura, e doveva eclissarsi anche dopo la risurrezione con la sua ascensione al cielo. Gli apostoli non l'avrebbero più avuto come Maestro visibile, e non avrebbero più goduto della sua presenza sensibile, e perciò Egli promette loro lo Spirito Santo come maestro interiore di verità, e come consolatore intimo nel terreno cammino.
Egli parla ad essi e parla a tutta la Chiesa, promette loro il suo ritorno dopo la risurrezione, e promette alla Chiesa il suo ritorno non solo nel giudizio finale, ma in una novella effusione di misericordie e di grazie, in un trionfo grandioso che ne farà sentire la presenza, ne farà apprezzare la grandezza, e farà vivere talmente di Lui Sacramentato, da sentire che Egli è in noi e noi in Lui. In questa grande effusione di grazie e in questo trionfo Egli, sfigurato dagli errori del mondo persino nell'animo di tanti fedeli, sarà riconosciuto come Dio veramente: In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio; e sarà riconosciuto per la maggiore diffusione della vita eucaristica: Conoscerete che voi siete in me ed io in voi. Il trionfo sarà preparato dallo spirito di verità, in opposizione allo spirito del mondo, perché ci sarà grande luce di verità nella Chiesa, una maggiore comprensione della fede per i dottori che la illumineranno di nuovi fulgori, per la grazia dello Spirito Santo.
Una bella predizione?
Questo che diciamo risponde all'attesa della Chiesa fin dai suoi primordi.
La Chiesa, tra le sue pene e le sue prove, ha aspettato sempre ed attende tuttora un trionfo smagliante del suo Redentore anche nel mondo; Essa attende quasi una nuova Pentecoste, una nuova effusione di grazia e di amore, una clamorosa vittoria sul mondo, una grandiosa dilatazione del regno di Dio, che sia pratica glorificazione dei tesori della redenzione nelle anime, e soprattutto dell'Eucaristia. Questa vittoria non sarà un'affermazione di prestigio politico, non deriverà da onori e da beni temporali, ma sarà un'affermazione di vita interiore in unione con Gesù Sacramentato, una potente affermazione della forza che può dare lo Spirito Santo, nelle glorie della santità e del martirio, un fervore nuovo nell'osservanza dei precetti e dei consigli evangelici, uno splendore di smagliante purezza, di umiltà, di carità, di vita interiore e soprannaturale, un rifiorire mirabile della vita religiosa, un ripopolarsi dei chiostri deserti, diventati ora covi di profanatori ladri, di soldati, di uffici pubblici, di ritrovi e persino di case di peccato.
Sarà anche una rifioritura ammirabile della vita mistica, in elevazioni superiori a quelle avute in ogni tempo, e Gesù Cristo si manifesterà alle anime elevate così in uno splendore di luce tanto grande, da renderle monumento vivo di amore e tempio della Santissima Trinità.
E questo il trionfo che la Chiesa attende e che avrà dalla bontà di Dio in mezzo a lotte anche più aspre di quelle sostenute nel passato. Gesù lo espresse in poche parole dicendo: Chi ha i miei comandamenti e li osserva, mi ama. L'amore dunque dovrà essere pratico ed operativo per essere palpito vivo di santità. E chi mi ama sarà amato dal Padre mìo, cioè sarà oggetto di particolari grazie dello Spirito Santo, ch'è Amore infinito. Ed io lo amerò - soggiunse Gesù - e gli manifesterò me stesso; lo amerò comunicandomi a lui nella mia vita di amore eucaristico, e gli manifesterò me stesso nelle elevazioni dell'amore mistico.
Sugli errori circa la salvezza e la
santificazione
Gli apostoli credevano che Gesù dovesse invece manifestarsi gloriosamente e politicamente al mondo, in un'affermazione di dominio temporale, ed erano certi che tutta l'opposizione che gli faceva il sinedrio si sarebbe conclusa in uno smacco vergognoso. Ora, sentendo parlare di una manifestazione sua all'anima, nel misterioso silenzio dell'amore, se ne stupirono, e perciò Giuda, chiamato Taddeo o Sebbeo, gli domandò a nome di tutti: Signore, come avviene che manifesterai te stesso a noi e non al mondo? Questo apostolo capì che Gesù parlava di una manifestazione interiore alle anime, e non supponendo che potesse parlare di altri fuori che loro, chiese che cosa fosse avvenuto di nuovo per cui Egli riduceva il suo trionfo ad una semplice illuminazione fatta nell'intimità del loro piccolo gruppo.
Per questo Gesù ritornò sul grande concetto di un trionfo interiore di Dio nelle anime, e soggiunse: Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui. Ecco in sintesi luminosa l'essenza del trionfo di Dio: abitare da Re trionfante, con la magnificenza della sua gloria, Uno e Trino, nell'anima che amandolo compie la sua volontà e gli si dona.
Dicendo questo, Gesù guardò quegli eretici illusi, che avrebbero preteso di stabilire con Lui e con Dio un'intimità di grazia senza compiere il bene, e che avrebbero preteso glorificarlo con una sterile fede e con una tracotante fiducia; perciò, ad eliminare ogni equivoco soggiunse: Chi non m 'ama così, non osserva la mia parola, e quindi chi non osserva la mia parola non mi ama; ora la parola mia, che v'impone di amare osservando i miei comandamenti, non è mia ma del Padre che mi ha mandato', non è un modo di vedere qualunque o un'opinione, ma risponde al medesimo disegno di Dio nella salvezza delle anime; è un comando di Dio, una Legge che non può né avere eccezione né essere deformata da pensiero umano.
Rispondendo all'apostolo Giuda Taddeo, Gesù proclamò un grande principio, che da solo basta a dissipare le oscure nebbie degli errori protestanti sulla salvezza e sulla santificazione, e da solo c'impegna ad essere veramente anime amanti di Dio:
Il trionfo di Dio in noi non consiste in uno sterile trionfo di misericordia, che ci trascina, inerti e lerci come siamo, nel suo regno; ma è un trionfo di amore che risponde al nostro amore, e ci rende capaci di operare soprannaturalmente o, come dicono i Teologi, ci abilita a fare atti deiformi. Si noti l'abisso che corre tra la verità e l'errore; questo afferma l'inutilità di operare il bene, anzi l'utilità di operare il male, presumendo così di glorificare la grazia che salva, e la verità invece proclama che Dio, andando incontro all'anima che l'ama ed osserva fedelmente i suoi comandamenti, abita in lei nella gloria della sua Trinità, e produce in lei un organismo soprannaturale che, soprannaturalizzando l'anima, l'abilita a fare atti deiformi.
La vita cristiana, infatti, è una partecipazione alla vita stessa di Dio, ed è evidente che Egli solo la può conferire; ora Egli ce la conferisce venendo ad abitare nelle anime nostre e dandosi interamente a noi affinché possiamo rendergli i nostri ossequi e lasciarci docilmente guidare da Lui a praticare le disposizioni e le virtù di Gesù Cristo. Questa mirabile abitazione della Santissima Trinità in noi si attua quando noi amiamo Gesù, e noi lo amiamo principalmente quando gli chiediamo perdono dei nostri peccati attraverso il sacramento della Penitenza e quando ci comunichiamo eucaristicamente con Lui sacramentato. Andiamo a Lui per amore, e perché lo amiamo il Padre ci ama; siamo da Lui attivati soprannaturalmente, e diventiamo tempio vivo della Santissima Trinità che vivendo in noi rende deiformi le nostre azioni con la grazia. Dio ci adotta come figli, non per una semplice finzione giuridica, com'è l'adozione legale, ma elargendo a coloro che credono nel suo Verbo la divina filiazione: Dedìt eis potestatem fìlios Dei fieri, his qui credunt in nomine eius, diede il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome (Gv 1,12). Questa filiazione non è nominale ma effettiva: Ut fìlii Dei nominemur et simus, affinché siamo chiamati figli di Dio (1Gv 3,1) noi entriamo in possesso della divina natura: divinae consortes naturce. Questa vita divina è certamente in noi soltanto una partecipazione e una somiglianza, che fa di noi non degli dèi, ma degli esseri deiformi; ma è anche una realtà, una vita nuova, non uguale, ma simile a quella di Dio.
Dio ha per noi la premura e la tenerezza di un padre, e si dà a noi abitando nei nostri cuori. Dio ci si dà come amico, ci comunica i suoi segreti, e ci parla non solo per la Chiesa, ma anche interiormente per mezzo del suo Spirito; tutto sta, da parte nostra, nell'acconsentire ad aprire la porte all'Ospite divino.
È ciò che ci attesta l'Imitazione di Cristo, quando parla delle frequenti visite dello Spirito Santo alle anime interiori, le sue dolci conversazioni con loro, le consolazioni e le carezze di cui le colma; la pace che fa regnare in loro, e la stupenda familiarità con cui le tratta (Imitazione II libro 1,1). Dio rimane in noi come il più potente collaboratore', opera in noi e supplisce alla nostra impotenza per mezzo della grazia attuale; c'illumina sul nostro ultimo fine e sui mezzi per conseguirlo, ci suggerisce buoni pensieri, ispiratori di opere buone, ci dona la forza e ci rende capaci di volere e di eseguire le nostre risoluzioni, ci fortifica per renderci vittoriosi nelle tentazioni, ci sorregge nelle stanchezze della natura e ci aiuta a perseverare nel bene. Noi non siamo mai soli, anche quando, privi di consolazioni, ci crederemmo abbandonati; la grazia di Dio sarà sempre con noi, a patto che noi consentiamo a lavorare con lei. Appoggiati a Dio, onnipotente collaboratore in noi, saremo invincibili, perché tutto possiamo in Colui che ci conforta.
L'anima deve pregare con le voci liturgiche della Chiesa
Dio, venendo in noi e santificandoci, ci trasforma in un tempio santo, ornato di tutte le virtù. Egli, Uno e Trino, sorgente infinita di vita divina, vuol farci partecipare alla sua santità; l'anima diventa un sacro recinto riservato a Dio, e si santifica, sol che con umiltà e filiale abbandono si lasci portare dalla sua grazia, donandosi a Lui veramente. Essa deve donarsi a Dio in una piena e soave schiavitù di amore, che in realtà è somma libertà, perché infrange d'un colpo tutti i ceppi della natura; deve vivere in Dio adorandolo, umiliandosi e operando per suo amore nel pieno compimento della sua volontà; deve pregare per conversare con Lui, e pregare con le voci liturgiche della Chiesa, che sono come la lingua viva e particolarmente efficace di questa santa città dove abita Dio; deve proclamare il proprio nulla non per avvilirsi nelle opprimenti pene dell'agitato scoraggiamento, ma per abbandonarsi all'infinita misericordia di Dio confidando. L'amore dell'anima a Dio che abita in lei dev'essere penitente nel rammarico di averlo offeso, riconoscente nella gratitudine dei benefìci avuti, intimo nell'amicizia che fa riguardare più che propri gl'interessi della sua gloria, e generoso fino al sacrificio, fino all'oblio di sé ed alla rinunzia della propria volontà, per sottomettersi ai suoi precetti, ai suoi consigli, ed alle sue speciali disposizioni nella nostra vita. Chi pensa a questo solo, ossia che è tempio vivo della Santissima Trinità, veramente, e che ha Dio nel cuore, come può violare questo tempio e peccare? Come può profanare il proprio corpo ed abbrutirsi?
Siamo tempio vivo della Santissima Trinità
Non sapete - dice san Paolo (1Cor 3,16-17) - che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno violerà il tempio di Dio, Dio lo sperderà, poiché santo è il tempio di Dio che siete voi. Bastano queste parole a raccogliere in Dio la nostra vita, a farci desiderare la perfezione che è il decoro del nostro tempio vivo, ed a tenerci stretti nella carità, poiché tutti siamo come cappelle del tempio di Dio, uniti, per così dire, dalle linee d'una stessa architettura, dalle linee luminose dei disegni del suo amore. Che cosa orribile è un'anima in disgrazia di Dio, che cosa ripugnante è un tempio vivo insozzato dall'impurità!
Nessuno concepisce un tempio senza pulizia, senza decorazioni, senza altare, deserto, desolato, privo di campane, di organo, di voci osannanti nella preghiera, di lampade, di ceri, di fiori. Tanto meno può concepirsi un tempio diruto, sporco, profanato, dove risuonano frastuoni assordanti, bestemmie, ire, risse e dove si fa scempio della Legge di Dio.
Non sarebbe un tempio ma un covo.
Ora guardiamo l'anima nostra, tempio vivo della Santissima Trinità, e vediamo se possiamo macchiarla di peccato, tenerla muta nella preghiera, desolata nell'offerta quotidiana di quanto ha, senza fiori di virtù, senza cantici di amore a Dio, senza luce di fede e senza splendori di speranze eterne, che sono come le grandi finestre aperte in alto sul limpido azzurro del cielo. Basta questa sola considerazione per renderci vigilanti ed accorti, e per impedire qualunque profanazione volontaria dell'anima nostra. Se viene satana a tentarci di orgoglio, l'anima nostra pensi con amore alla preghiera del pubblicano, e dica dal fondo del suo tempio vivo: Sii propizio a me povero peccatore. Se satana ci tenta di avarizia, pensiamo che dobbiamo essere generosi con Dio nel tempio consacrato alla sua gloria. Se ci tenta d'impurità, consideriamo che siamo consacrati dal Battesimo e dai Sacramenti, e che ogni colpa è come un cumulo di lordure gettate nel luogo santo. Se ci scuote il sistema nervoso e ci spinge ad irrompere contro il prossimo, pensiamo al silenzio di pace e di carità che è richiesto dal luogo santo che è in noi. Se ci tenta di gola, consideriamo quale orrore sarebbe gozzovigliare nella casa di Dio, accanto all'altare. Se ci spinge all'invidia o cerca d'immobilizzarci nell'accidia, pensiamo che il tempio è luogo di carità e di preghiera, è luogo che unisce tutti innanzi a Dio col vincolo dell'amore, e che ci unisce al Signore col vincolo della religione. Il pensiero che siamo tempio di Dio può farci santi veramente, eliminando da noi il peccato, facendoci elevare in alto sino a Dio, e spingendoci nelle grandi vie della perfezione e dell'amore. Questo pensiero è il più atto ad offrirci a Dio in una perfetta schiavitù di amore, poiché niente è più direttamente e completamente dedicato a Lui quanto un tempio. Che cosa ammirabile potersi mettere la mano sul cuore e dire: sono tempio della Santissima Trinità, tutto dedicato alla sua gloria! Sono di Dio, debbo esserlo sempre, non posso dissacrare una volta sola il mio cuore dedicato a Lui! Egli è il mio dolce padrone, io sono il suo servo, io sono il suo schiavo d'amore, ma la mia servitù mi nobilita e la mia schiavitù mi rende figlio della piena libertà, e dà all'anima mia un volo grande di amore.
Sac. Dolindo Ruotolo

domenica 25 maggio 2014

25.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 15, par. 5

5. Per la nostra vita spirituale
Uniti nell'amore fraterno che ignora divisioni, gelosie e partiti, siamo testimoni di Cristo nel mondo apostata
Gesù Cristo non lasciò ai suoi cari alcuna illusione sulla difficoltà del loro ministero e sui sacrifici che importava, ma diede loro il cibo della vita che doveva unirli a Lui e la grazia singolarissima dello Spirito Santo; e questo bastava a renderli forti contro il mondo che lo odiava. Noi non siamo in condizioni diverse dagli apostoli, poiché se essi subirono l'urto del mondo pagano, noi subiamo quello del mondo moderno, apostata e neo-pagano, immensamente più perverso. Dobbiamo attingere la forza dalla Santissima Eucaristia, ed implorare la grazia e i doni dello Spirito Santo. Se vogliamo veramente vincere, siamo uniti a Gesù come i tralci alla vite, e facciamo rifluire in noi il suo Sangue divino; siamo uniti in un sol corpo nella vera carità, e mostriamoci intransigentemente fedeli alla dottrina ed ai comandi di Gesù Cristo.
Dobbiamo serrare le nostre fila, evitare ogni divisione, ed essere tutti compatti contro il male che avanza e dilaga come un torrente impetuoso. Non possiamo e non dobbiamo offrire nessun punto debole al nemico, e tanto meno offrire quelle malaugurate divisioni, gelosie e partiti, che si mettono praticamente a servizio del male.
Dobbiamo essere uniti come una sola famiglia alla mensa dell'amore, e dobbiamo essere vivificati dal medesimo Spirito d'infinito Amore che ci faccia essere testimonianze vive di Gesù Cristo in mezzo alle tenebre del mondo apostata. La nostra sapienza non può essere quella umana, meschinissima luce che indaga le cose terrene col misero barlume cecuziente della ragione, ma dev'essere la sapienza dello Spirito Santo che ci fa conoscere e scrutare le stesse verità. Il nostro intelletto non dev'essere acume di ragione ma acume di fede; il nostro consiglio non dev'essere prudenza della carne ma luce dello Spirito Santo; la nostra fortezza non dev'essere irruenza di audacia ma eroismo d'immolazione, la nostra scienza deve sollevarci dalle condizioni terrene alle eterne, coordinando tutto alla gloria di Dio; la nostra pietà dev'essere amore che conversa col Signore, temendo il suo Nome con profonda umiltà, e confidando nella sua bontà con pieno abbandono.
Oggi purtroppo anche sulle nostre fila, in uniforme di cattolici, piombano i bombardieri della morte
È questo lo spirito cristiano che deve animarci, e che dobbiamo attingere dalla vita eucaristica di Gesù Cristo e dalleffusione dello Spirito Santo; è questo lo spirito soprannaturale col quale dobbiamo affrontare il mondo che è stoltezza, tenebre, malignità, viltà estrema di opportunismo, effimera confusione di cognizioni senza nesso e senza scopo, crudeltà, empietà e tracotanza.
Non dobbiamo cedere al mondo né credere trascendenti i suoi miseri progressi, che sembrano cose altissime, e sono come i paracadutisti, che in guerra vengono dall'alto unicamente per disseminare la morte, sembrano quasi angeli volanti e sono demoni di distruzione. Il mondo ha i suoi voli, ma sono voli d'interdizione, che seminano il cammino di insidie, e fanno scendere dalle sue altezze il gas che asfissia e la bomba che rovina.
Siamo cristiani integri e totalitari, siamolo oggi più che mai, oggi che spesso vengono anche nelle nostre fila i bombardieri distruttori della verità in uniforme di cattolici, ed i nemici della fede in veste di religiosità vana, misera idolatria dell'orgoglio e dei sensi.
Sac. Dolindo Ruotolo

25.05.2014 - Commento alla prima lettera di Pietro cap. 3, par. 2

2. Per la nostra vita spirituale.
La famiglia e il matrimonio...
L’esortazione di S. Pietro alle mogli ed ai mariti cristiani è di grande importanza specialmente per i nostri tempi, nei quali le famiglie sono disgregate e vanno sempre più disgregandosi, per lo spirito del mondo che le avvelena, e per lo spirito di apostasia che praticamente vi regna. Sotto questo aspetto si può affermare che il Sacramento del matrimonio, col quale Gesù Cristo ha voluto consacrare le basi di una famiglia, perché in essa germogliassero i figli del regno di Dio sulla terra e nel Cielo, è il Sacramento meno compreso e più profanato. Le grazie che sono annesse a questo Sacramento, che S. Paolo ha dichiarato grande in Gesù Cristo e nella Chiesa, sono completamente ignorate e dissipate da quelli che lo ricevono.
La preparazione a un Sacramento di capitale importanza, per la vita di quelli che lo contraggono e per la società, è completamente negativa. Il conferimento di questo Sacramento, del quale gli stessi sposi sono i ministri col loro libero consenso, e che perciò dovrebbe avere un carattere sublimamente sacro, è ridotto ad una dissipata funzione mondana, dove manca il più piccolo riguardo religioso. La coscienza dei doveri, che impone il Sacramento agli sposi, si riduce alla sterile lettura degli articoli del codice civile, che non danno e non possono dare il sentimento di una responsabilità di coscienza innanzi a Dio.
È necessario che le anime, per seguire l’insegnamento di San Pietro che è un riepilogo dei doveri familiari della moglie e del marito, considerino la realtà del matrimonio come si presenta oggi, dolorosamente, e come dev’essere innanzi a Dio. E prima di tutto il matrimonio è una missione nella vita, e suppone come primo fondamento l’orientamento dell’anima alla volontà di Dio, e quindi la preghiera fervorosa per conoscere la volontà di Dio. Invece, quasi sempre le anime si lasciano guidare unicamente da un principio tutto umano, materiale ed egoistico. Cercano la loro sistemazione materiale nel mondo, lasciandosi guidare dal capriccio della passione, quasi sempre egoistica e materiale.
Manca in questa importante decisione non solo il fare appello al Signore per conoscere la sua volontà, ma anche il farsi guidare dai genitori e da qualche saggio Sacerdote che regola la coscienza. Si cerca la sposa o lo sposo nei luoghi dove non si raccolgono molte volte che i rifiuti della società: nei teatri, nei cinema, nelle sale da ballo
0 nei ritrovi mondani. La determinazione alle nozze, in questi casi, può essere la sensualità ed il peccato.
È dalla scelta dello sposo o della sposa che dipende il buon principio di un matrimonio ordinato e santo, quando la scelta è fatta nella luce di Dio. Alla scelta segue il fidanzamento che dovrebbe essere la conoscenza scambievole, la ponderazione di doveri e delle responsabilità che si abbracciano, e soprattutto lo scambievole aiuto spirituale con la frequenza dei Sacramenti, con la preghiera e con una seria accurata cognizione del Catechismo e dei doveri del matrimonio. Invece i fidanzamenti si riducono moltissime volte a scambi di leggerezze riprovevoli, od anche a contese banali che scindono
1 cuori anziché unirli in Dio con santi propositi.
Non bisogna dimenticare che i fidanzati sono quasi sempre giovani inesperti e superficiali, specie oggi che la gioventù è più educata al male ed alla corruzione che al bene, alla serietà, ed alla considerazione del Sacramento che riceve sposandosi.
Si va alle nozze con un fasto tutto mondano, senza considerazione del Tempio di Dio, ci si va con poca modestia, circondati da gente familiare o amica che si presenta in Chiesa con lo stesso contegno, in una dissipazione di chiacchiere vane, come se stesse a teatro. In un ambiente di dissipazione si uniscono tutti in sale o alberghi per il simposio, e gli sposi partono per il viaggio di nozze, e profanano il primo giorno del loro matrimonio in luoghi più o meno corrotti e certamente dissipanti l’anima, proprio quando dovrebbe essere più raccolta in Dio.
Al ritorno del deprecabile viaggio di nozze, gli sposi si trovano nella loro casa, dove in armonia di amore scambievole debbono compire la loro grande missione. Ed è proprio allora che le esortazioni di San Pietro debbono regolare i loro rapporti familiari, se non si vuole mutare la casa in un inferno di dissensioni.
La donna in famiglia
La moglie, aiuto dato da Dio all’uomo fin dalla creazione, e sottoposta all’uomo dopo il peccato originale, come pena espiatrice del peccato, dev’essere soggetta all’uomo, non subendone la prepotenza, ma per amore di Dio. Nella casa la moglie è aiuto materiale dell’uomo, ma molto più aiuto spirituale. La moglie deve compire nella casa un apostolato vero e proprio, per indurre il marito ad una vita veramente cristiana. Deve perciò farsi rispettare e amare non con apparenze seduttrici, ma con la sua virtù.
Siccome il mondo, specialmente oggi, è pieno di scandali che trascinano facilmente gli uomini a desideri ed azioni perverse che distruggono l’integrità e la pace delle famiglie, la donna deve presentarsi al marito sempre decorosamente ordinata e composta, in modo da non suscitargli ripugnanza. Questo potrebbe facilmente convergere gli occhi su altre donne, con pericolo di traviamento. Il decoro., unito alla virtù, incute nell’uomo il rispetto e l’amore per la propria moglie.
Se la donna ricorre a ritrovati mondani per essere gradita al marito, a sfoggio di vesti o di vanità che, in fondo, costano a lui sacrifici di danaro, possono suscitargli nell’anima una reazione dispettosa, o possono attrarlo a considerare con desiderio concupiscente altre donne ornate mondanamente con esibizioni impure. Non è la vanità esagerata della moglie che può indurre il marito al rispetto ed alla fedeltà. Perciò la parola di San Pietro è di salutare ammonimento per le donne: Il vostro ornamento non sia quello esteriore, che consiste in acconciature di riccioli, e nella bardatura di ori, o nello sfoggio di vesti, ma quello interiore, cioè il vostro io, la vostra anima santa e pura, nascosta nel cuore col tesoro incorruttibile della dolcezza e della calma dello spirito. Questo è ciò che ha grande pregio innanzi a Dio.
Dunque, il grande segreto, per mantenere l’armonia di amore tra la moglie e il marito, è la profonda virtù dell’anima della moglie che rifulga dalla sua vita, nella dolcezza e nella calma, e che tutela la pace nella casa. Per formarsi alla virtù soda, S. Pietro esorta le mogli ad ispirarsi all’esempio delle donne sante, e cita per esempio Sara. È un mezzo efficace per imparare a vivere santamente.
È sommamente deprecabile per una donna il leggere romanzi, e il frequentare spettacoli e conversazioni futili, che guastano l’anima e corrompono il cuore. I romanzi sono la falsificazione della vita, e gli spettacoli presentano al pubblico esempi di donne guaste e corrotte, in una cornice di seduzione che affascina e trae al vizio. Non si può negare che le supposte artiste del cinema, del teatro e della televisione sono donne leggere, a dir poco, corrotte, viziose, che vengono chiamate dive con parola blasfema, mentre sono in realtà demoni, nel più stretto senso della parola, fomentatrici di adultèri, adultere esse stesse non raramente, divorziate più volte, cariche di peccati di scandalo, corruttrici della società, profanatrici sulle scene, dove si presentano, del sacro concetto del matrimonio.
I mariti...
Dalle mogli S. Pietro passa ai mariti, che sono con la moglie il fondamento della famiglia. Bisogna anche riconoscere che oggi di mariti veramente buoni e secondo Dio ce ne sono pochissimi. Chi ha esperienza della vita presente deve convenire che i mariti sono in uno stato deplorevole di corruzione, e sono il tormento delle povere mogli. Violenti, le maltrattano; lontani da Dio, sono infedeli, adùlteri e giungono fino a delitti che fanno inorridire. Egoisti fino all’eccesso, non curano i figli, e sperperano i frutti del loro lavoro in vizi. Lontani dall’essere educatori dei loro figli, ne sono lo scandalo e li portano al male. Bestemmiatori moltissime volte, portano la maledizione nella casa, e la mutano in un inferno. Dediti all’ubbriachezza, si comportano come folli; dediti al giuoco, vi portano la miseria; lontani dalla Chiesa e dai Sacerdoti si riducono come belve *.
Chi conosce la società moderna ed ha familiarità con lo stato delle famiglie dovrà convenire che noi non esageriamo presentando così i mariti. Con poche parole S. Pietro esorta i mariti; parole rivolte ai mariti cristiani ai quali scriveva, ma che sono un monito per i mariti di tutti i tempi, se si approfondiscono nella luce dello Spirito Santo che le ispirava: Vooi, o mariti, convivete saggiamente con le mogli, che sono come un vaso più fragile. In quella parola saggiamente, c’è tutto un programma di vita coniugale dei mariti con le mogli: Saggiamente, da uomini ragionevoli, senza trascendere come folli contro di loro; saggiamente, secondo la legge di Dio e non secondo i capricci della passione impura; saggiamente, considerando i sacrifici ai quali è soggetta una moglie nella maternità e nel governo della casa, e per questo l’Apostolo soggiunge di riguardarle come un vaso più fragile, non per debolezza, come si è detto nel commento letterale, ma per delicatezza di costituzione, specialmente nella maternità, che esige per loro riguardi particolari e delicatezza nel trattarle.
Perciò soggiunge ancora: — trattandole con rispetto — non come serve, o, peggio, come schiave, rispettandone soprattutto le esigenze spirituali, e vivendo con loro la vita spirituale, poiché anch’esse sono eredi assieme con loro della grazia della vita soprannaturale. Lungi dall’ostacolarle nella vita spirituale, devono essere coi mariti un’anima sola nella preghiera, avendo detto Gesù che dove sono due o tre congregati nel suo nome Egli è in mezzo a loro, e le loro preghiere sono efficaci per ottenere grazie.
È, dunque, un dovere per i mariti pregare con le mogli, andare a Messa e comunicarsi con loro, recitare insieme il Rosario. È questa comune preghiera che la rende efficace per ottenere grazie per l’anima, il corpo e per il bene della famiglia. Se questo languisce, è proprio perché il marito, la moglie e i figli, quando vi sono, non pregano insieme.
Anche quando i figli sono infanti, è di somma utilità alla loro formazione il tenerli vicini o star vicino alla loro culla quando si prega. La dolce e cadenzata voce della preghiera è per loro un’armonia che li acquieta, o, se si vuole, è una ninna nanna che li addormenta, lasciando in loro una soave impressione, proprio come s’imprime la musica su un disco di grammofono con tanti piccoli graffi, che diventano musica quando vi passa sopra la punta metallica.
È una cosa importantissima per la formazione dei piccoli, i quali, coinè mostra l’esperienza, svegli nei primi albori dell’intelligenza, ripetono come una nenia l’armonia di quelle sante parole che non capiscono ancora e non sanno pronunziare. La mamma che tiene al petto il figlioletto, ed il babbo che lo tiene in braccia e lo vezzeggia, dicendogli: sii buono, ama Dio, ama Maria, sii dolce, sii calmo..., ed alterna queste buone parole con un sospiro di preghiera, imprime sull’anima innocente un segno di bontà e di pace che ne calma il sistema nervoso, e che rinasce a misura che il piccolo cresce, come piccolo germoglio che si sviluppa e fiorisce.
Le prime impressioni sono quelle che rimangono fortemente nelle anime innocenti, e ne formano il carattere, educandolo alla bontà. Mostrare all’infante una bella immagine del Crocifisso o della Madonna richiamando l’attenzione sua sulle piaghe di Gesù, sulle spine del suo capo, sulla bellezza di Maria, significa formare quel piccolo cuore alla tenerezza, alla compassione, alla dolcezza. Questa pedagogia, diciamo così, infantile, è frutto dello spirito di preghiera dei genitori, che nella santa armonia del marito e della moglie, raccolti innanzi a Dio, rende efficaci le loro orazioni.
Dalle raccomandazioni fatte alla moglie ed ai mariti, S. Pietro passa con logica illazione a quelle fatte per tutti; dalla pace familiare a quella sociale, e come riepilogando in un senso più generale le sue esortazioni, esclama: Insomma, siate tutti concordi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, umili. Sono le virtù necessarie per noi che viviamo insieme, a qualunque classe sociale apparteniamo. Con la concordia siamo uniti; con la compassione ci sopportiamo e ci aiutiamo; amandoci come fratelli abbiamo un comune legame con Dio che è nostro Padre; con la misericordia ci perdoniamo a vicenda, con l’umiltà di cuore evitiamo ogni sopraffazione nostra sugli altri, ogni orgogliosa pretesa di comandare. Queste virtù armonizzano le anime che vivono insieme come una grande famiglia, con uno stesso ideale cristiano.
Ma nella società ci sono anche i cattivi, e tra i cristiani ci sono pure contrasti, per l’umana debolezza e fragilità; ed allora ci vuole grande virtù di pazienza, e quindi non rendere male per male, vendicandosi dei torti ricevuti, non reagire con le ingiurie alle ingiurie, il che moltiplica i contrasti e attizza le dissensioni. Bisogna rispondere con le benedizioni a chi ci insulta o ci maledice, seguendo fedelmente i precetti del Vangelo.
S. Pietro allude a quelli che perseguitano i cristiani, ma anche noi in ogni tempo, possiamo essere contrastati nel bene che facciamo e lo si vede nella storia dei Santi, che nel loro apostolato sono stati sempre osteggiati. Servi di Gesù Cristo, dobbiamo imitarlo e andare
avanti nel fare il bene, senza temere contraddizioni e minacce, confidando in Lui, trionfatore delle insidie degli uomini e dei demoni.
Quando sull’anima sorge un disegno di bene
Per la nostra vita spirituale, qui è opportuno, applicando le esortazioni di S. Pietro, a quelli che sono perseguitati facendo del bene, considerare come deve regolarsi un’anima che forma un disegno di bene, o ha, dal Signore, una missione nella Chiesa e nelle anime per divina ispirazione. Bisogna anzitutto tener presente che un disegno di bene può sorgere nell’anima da circostanze umane, che sembrano accidentali, e sono come... il canovaccio rozzo sul quale Dio ricava il suo disegno.
Così la violenta sgarbatezza di un sagrestano verso un fanciullo, fa sorgere a S. Giovanni Bosco l’idea di raccogliere i fanciulli in un oratorio ed educarli al bene. Era un’idea naturale sorta dalla compassione del Santo per un fanciullo maltrattato da un violento. L’idea dilatandosi nell’anima, nel cuore e nella stessa fantasia, divenne un progetto, un programma di apostolato, che richiedeva l’aiuto divino e l’abbandono filiale a Lui per svilupparsi. Il Santo pregò e ricorse a Dio per intercessione di Maria SS., come suo aiuto particolare. Di qui la devozione e l’appello filiale a Maria ausiliatrice, rifugio suo nell'operare.
L’idea divenne progetto, il progetto un programma, il programma, elaborato con la preghiera, divenne disegno di Dio, per la grandiosa opera che voleva affidargli. Il disegno di Dio apparve, agli uomini impigriti nella loro vita giornaliera dalla ricerca del proprio comodo, apparve una pazzia, ed ecco le prime opposizioni al santo proposito che era diventato disegno di Dio, ecco le persecuzioni che dovevano eliminare dal proposito e dal disegno ogni inframettenza di umano concorso, di umana soddisfazione, di umana prudenza, che sono sempre di ostacolo allo sviluppo del bene, e concentrano l’anima maggiormente nell’aiuto di Dio e nella protezione materna di Maria.
Il progetto di un’opera buona attraverso gli ostacoli ed i dolori si purifica dell’elemento umano e cresce nelle stesse tempeste come grano che sotto la raffica della neve non può svilupparsi in alto, e si sviluppa nella sua. radice, rendendo, poi, più fecondo lo svilupparsi in alto, ai primi raggi del sole di primavera. Questo è il processo di tutte le opere buone che compiono le anime sante.
Ci sono, poi, dei disegni di Dio che non nascono da umane circostanze, ma sono una vera missione che Dio dà ad un’anima, come avvenne ai Profeti, od a quei Santi fondatori di ordini religiosi che ebbero da Dio direttamente o dalla Madonna l’ispirazione ed il comando di una particolare fondazione, come quella per la redenzione degli schiavi, quella dei sette Servi di Maria ecc. Queste missioni divine, fatte per il bene della Chiesa, per illuminare la sua dottrina, per scuotere le anime intorpidite dal rilassamento spirituale, incontrano maggiori ostacoli, che degenerano in vere persecuzioni da parte dei medesimi buoni, che in buona fede pensano di fare opera di zelo nel contrastare un bene che ad essi apparisce male.
La Chiesa stessa, come avvenne per la devozione al Cuore di Gesù, può intervenire negativamente contro queste speciali missioni di Dio, può ostacolarle per le stesse supreme Autorità, come avvenne per la « Somma teologica » di S. Tommaso d’Aquino e per la teologia morale di S. Alfonso de’ Liguori. Sono fatti storici innegabili, che possono mettere le anime ad un duro cimento.
Anche nelle opposizioni ad una missione di Dio, le opposizioni e le persecuzioni sono permesse dal Signore, per purificare le anime che l’hanno da ogni inframettenza umana, e per vivificarle nel dolore, rendendole vittime di amore per la salvezza delle anime. Non sempre, infatti, giunge presto l’ora di Dio, e può anch’essa venire preceduta dall’ora di satana e dalla potestà delle tenebre, come disse Gesù a quelli che lo catturarono per crocifiggerlo. La stessa persecuzione e la medesima potestà delle tenebre serve a compire il disegno di Dio,
come lo compì Gesù, compiendo la Redenzione proprio con la sua immolazione, trionfando del peccato e della morte.
L’esortazione di S. Pietro alle anime che soffrono per fare il bene, è preziosa ed è una grande luce sia per chi sviluppa un’opera buona, sia per chi ha una missione da Dio per la Chiesa e per le anime. Ed ecco come debbono regolarsi queste anime:
Perseguitate, non debbono rendere male per male, né ingiuria per ingiuria, ma debbono rispondere con la benedizione, con la pazienza e col perdono. Non debbono reagire, ma cercare la concordia con tutti nella vera carità, compassionando le debolezze di quelli che le contrastano. Anziché concepire astio per quelle categorie di persone che le contrastano, come potrebbe accadere coi Sacerdoti, con le suore o con le persone pie, devono amare tutti come fratelli e sorelle con grande misericordia, e con profonda umiltà, tanto gradita a Dio; debbono credersi meritevoli di ogni ingiuria e di ogni contraddizione.
Nelle contraddizioni e nelle persecuzioni è facile parlare con gli altri per difendersi, e nel parlare è spontaneo incolpare gli altri e metterli in cattiva luce anche con parole esagerate. Ma ecco le parole di S. Pietro che, citando il Salmo 34, ammonisce le anime contrariate nel bene e quelle perseguitate: Raffrenare la lingua e le labbra dal parlare ingannevole, schivare il male e fare il bene, rimettendo tutto a Dio, cercare la pace ed inseguirla, cioè correrle appresso anche quando i persecutori non la vogliono, sicure di avere su di loro, come predilette di Dio, lo sguardo del Signore e la sicurezza di essere esaudite da Lui.
Se le anime contrariate e perseguitate parlano con risentimento, possono fare esse stesse la propaganda di quello che si dice contro di loro. Temendo le conseguenze della calunnia che subiscono, e volendosi difendere, aggravano la loro situazione penosa e non se ne accorgono. La loro animosità nel difendersi con esuberanti parole le fa credere ree, perché si crede sempre più alla calunnia che a chi se ne difende, ed allora la calunnia si propaga, l’anima deve contentarsi di una conveniente difesa della verità, ma con dolcezza e riserbo, e smentire le accuse che le si fanno vivendo santamente, perché questa è la più bella difesa che può fare di quello che compie per la gloria di Dio e per le anime.
L’esempio di Gesù
Lo sappiamo; per regolarsi così, applicando le parole di S. Pietro alla propria vita tribolata, ci vuole un grande eroismo, e la natura vi può ripugnare; ma ecco un motivo luminosissimo che S. Pietro suggerisce ai tribolati: l’esempio di Gesù Cristo che li sprona ed il suo grande trionfo che incoraggia e conforta le anime che soffrono facendo il bene ed obbedendo al volere di Dio, che vuole che compiano una missione e seguano fedelmente la sua volontà.
Se infatti, — dice S. Pietro — piace al volere di Dio che si abbiano sofferenze e contraddizioni, è meglio soffrire facendo del bene, che commettendo il male. Poiché anche il Cristo, una volta per sempre, a causa dei peccati nostri, giusto per gl’ingiusti, per condurci a Dio, ucciso quanto alla carne, ma vivificato quanto allo spirito, sussistendo in questo spirito, si recò a proclamare la salvezza anche agli spiriti che si trovavano in carcere... Risorto, poi, dalla morte salì al Cielo ed è alla destra del Padre, ed a Lui sono sottoposti Angeli, Potestà e Virtù.
Ecco l’argomento sommo per le anime tribolate e perseguitate: esse soffrono, è vero, ma non subiscono la sofferenza come chi è sopraffatto; la soffrono operando mirabilmente con la stessa sofferenza, unite a Gesù Cristo che non fu ridotto all’impotenza come voleva il Sinedrio, non fu radiato dai viventi quando fu crocifisso, ma proprio allora, messo in Croce come un malfattore, vinse il peccato, e, ucciso, vinse la morte. Rimase esanime nel sepolcro, ed apparve ridotto all’impotenza assoluta, quando si pose sulla tomba un grande masso, e lo si suggellò; ma l’anima sua, separata dal corpo per la morte, non fu inerte. Lo si era ucciso perché finalmente non parlasse più, come faceva in vita, annunziando il compimento della Redenzione predetta dai Profeti, e l’anima sua, attiva più di prima, discese all’inferno, al limbo, o, come lo chiamavano gli Ebrei, al seno di Abramo, nello sceol, e proclamò la salvezza anche a quegli spiriti santi che erano nel carcere.
Vivendo sulla terra, annunziò la salvezza ai peccatori che erano nel carcere del corpo, per salvarli dalla morte eterna; morto, l’anima suà continuò la predicazione nel Limbo, ed annunziò in una fulgida luce di verità il compimento della salvezza a quelle anime che furono incredule sulla terra, come lo furono gli uomini al tempo di Noè. Essi non credettero al castigo annunziato da Noè, finché, vedendolo compiuto con la morte sterminatrice, si pentirono, ed attesero la Redenzione liberatrice.
I contemporanei di Gesù non credettero alla misericordia che Egli annunziò conversando con i peccatori, ma alla morte di Gesù i viventi si pentirono, e i morti uscirono dalle loro tombe quando nell’oscurità del sole e nel terremoto della terra, videro in quei segni la realtà del compimento della Redenzione. Morti da giusti e chiusi nel carcere del Limbo, tra le pene della purificazione, sentirono la parola viva dell’anima del Crocifisso, che annunziò loro la salvezza. Né bastò questo trionfo della predicazione a Gesù, che era stato crocifisso perché tacesse; nel silenzio della morte, Egli, al terzo giorno, risuscitò a vita immortale; rivisse sulla terra per quaranta giorni, per confermare la salvezza che aveva predicata; ascese al Cielo con la sua umanità gloriosa: la quale sedette alla destra del Padre, e nella sua stessa umanità gloriosa è dominatore divino degli Angeli, e di quelli che nella natura angelica erano splendore di potenza che domina e di virtù di attività che operano nel creato. Era questa la corona splendida dell’umanità che Egli aveva assunta e nella quale aveva patito.
La prova a cui furono sottoposti gli Angeli
Infatti, è opinione dei teologi, che trova conferma in queste parole di S. Pietro, è opinione che Lucifero e gli Angeli che lo seguirono nella ribellione alla prova, alla quale furono sottoposti gli Angeli tutti per meritare l’eterna gloria, si ribellarono perché fu loro rivelata l’umanità che avrebbe assunto il Verbo di Dio, e furono invitati ad adorarla.
L’uomo come natura è inferiore agli Angeli; ora, Lucifero, il più splendente degli Angeli, superbo della sua bellezza, non considerando, da stolto, la divina logica di quella prova di fedeltà e di amore che Dio richiedeva per elevarlo nell’eterna gloria e nell’eterna felicità con un merito personale, che l’avrebbe resa più bella e più nobile, si ribellò, rifiutando di adorare la divina umanità del Verbo di Dio. Con lui si ribellarono quelli che, nei cori delle Potestà e delle Virtù, si inorgoglirono della potenza del loro spirito e del dominio che avevano sulle cose create.
I primi consideravano l’umanità che avrebbe assunta il Verbo di Dio come inferiore alla loro potenza, i secondi come inferiore al loro dominio sulle mirabili forze ed armonie delle cose create, e seguirono Lucifero nella ribellione. Infedeli nella prova, rifiutarono la grazia con la quale Dio li aveva creati, e, come pianeti distaccati dal sole, presuntuosi di bastare a loro stessi perché, illuminati, credettero che lo fossero per propria luce. Si oscurarono proprio come un pianeta staccato dal sole, divennero orribili, come pianeti che perdono ogni bellezza ed ogni fecondità. Rifiutando di adorare l’umanità che avrebbe assunta il Verbo di Dio, eterna Sapienza e luce di verità eterna, rimasero senza luce di verità e furono bugiardi, padri di menzogna.
Erano stati creati puri spiriti, ma, riconcentrati e immersi nel loro orgoglio, divennero sozzamente impuri. Erano stati creati liberi, perché liberamente avessero meritato la gloria, e profanarono quel dono di libertà che doveva espanderli in Dio con un atto di fedeltà e di amore, come loro merito, e, diremmo, come prezzo della loro grandezza, che doveva farli soddisfatti del premio eterno, come felicità conquistata; e, nella disperata rabbia che suscita l’orgoglio che fallisce e non riconosce di fallire, sempre potenti nella loro attività di natura, ebbero ed hanno sete di volgerle al male, e divennero maligni.
Non potevano negare la realtà e la grandezza di Dio, e ne tremarono e ne tremano, « contremiscunt », ma, incapaci volontariamente di adorazione che sarebbe stata amore e pace, lo odiano; impotenti a fargli del male, si rivolgono con furore contro le sue creature, ebbri di sconvolgere le loro leggi se creature materiali, e di depravare il loro spirito se creature ragionevoli e libere. Ecco perché alla creazione del primo uomo e della prima donna, satana irruppe contro di loro con la menzogna e con la tentazione.
II Verbo di Dio si fece uomo, e satana non lo riconobbe, ma lo sospettò; non aveva voluto riconoscerlo nell’eterna luce nella quale Dio lo mostrò agli Angeli come prova, per renderli capaci del merito, e non lo riconobbe nell’umana carne. Cercò saperlo; ardì persino di tentarlo nel deserto, ma fu vinto dalla parola di Dio, con la quale Gesù lo confuse; parola illuminante dell’eterno Verbo, ma sfolgorata nella sublime veste dell’umiltà nell’assunta umanità; ribelle, non capì la divina sublimità di Colui che si era fatto obbediente al Padre, ed obbediente in sudditanza a Maria SS. ed a S. Giuseppe.
Stolto nella penetrante intuizione della propria natura angelica, tentò glorificarlo nella potenza con la quale lo scacciava dai corpi, ma Gesù lo costrinse a tacere, non volendo che lo proclamasse colui che non aveva voluto riconoscerlo e adorarlo nella prova cui fu sottomesso da Dio. Sentiva la maestà dolcissima di Gesù, ma non lo amava. Quel raggio di luce divina lo sconvolgeva. Avrebbe voluto conoscere finalmente se era Dio, perché odiando Dio aveva voluto irrompere contro di Lui, ma era scacciato dalla potenza, e fuggiva. Lo volle porre alle strette ed entrò in Giuda perché lo avesse tradito e consegnato alla morte, sperando in una sua clamorosa rivelazione. Ma gli fallì la prova, perché Gesù non si manifestò, ma si lasciò catturare.
Giuda, invaso da satana, sperava anch’egli di porlo al cimento ed alla sua prova, perché non credeva più in Lui, e la confessione di S. Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente, lo aveva irritato. Volle provare se era Dio, e trarne un guadagno materiale; ma, quando lo vide condannato, ritornò sul concetto che era solo un uomo giusto, e si disperò, perché per sentimento umano non voleva giungere a tanto. Satana suscitò la perversità del Sinedrio contro Gesù, ma la pazienza di Lui lo confuse ancora una volta. La confessione, che Gesù fece innanzi al Sommo Sacerdote della sua divinità, suscitò in satana l’odio, e spinse il Sinedrio a incrudelire contro di Lui.
Ancora sperava satana in una manifestazione clamorosa per irrompere contro di Lui, Verbo di Dio umanato, ma il Cuore di Gesù sprizzava amore e dolcezza. Il maligno sospettò che fosse Dio, il Redentore, e cercò d’impedire la Passione sconvolgendo la moglie di Pilato perché avesse impedito che quel giusto fosse condannato. Ma Gesù era Dio umanato per redimere l’uomo, e satana si sfogò contro di Lui per l’odio che aveva contro Dio, e Gesù patì e morì, compiendo la Redenzione.
Satana allora avrebbe dovuto riconoscere la propria stoltezza nel non capire la prova logica ed amorosa a cui Dio aveva sottoposto Lui e gli Angeli. Noi stessi, chi sa, potremmo dire con rammarico: perché una prova che doveva finire in una rovina? E siamo stolti, non intendendo che era una prova logica e mirabile per spiriti nobilissimi e liberi, che dovevano meritare e conquistare l’eterna felicità, l’eterna visione ed unione con Dio, con una prova di amore.
Era logico, per la delicatezza divina verso creature libere, che non erano ancora elevate col lume della gloria, capace di renderle beate. Incapaci di questa visione, fu logico che Dio presentasse loro ciò che era, nei suoi eterni decreti di amore, il Verbo umanato perché lo avessero adorato. In questo solo potevano dare una prova amorosa di obbedienza e di fedeltà, capace di far loro meritare il premio della gloria eterna.
D’altra parte, non avendo il lume della gloria, non potevano affisarsi nel Verbo eterno senza rimanere offuscati dal suo infinito splendore, ed allora fu presentato loro velato dall’umana carne che avrebbe assunta. Questo stesso velame poteva dar loro un merito di fede nell’adorazione. Ma l’orgoglio vinse Lucifero ed i suoi seguaci, e, logicamente, invece del lume della gloria, ebbero la fitta tenebra dell’orgoglio, che li staccò anche dalla luce naturale che avrebbero potuto avere di Dio col lume della loro intelligenza angelica.
Le anime che soffrono per fare il bene...
Le anime che soffrono per fare il bene, e sono perseguitate sono unite alle sofferenze di Gesù Cristo, ed hanno parte ai suoi trionfi. Dunque, voleva dire S. Pietro con un argomento luminosissimo: Se piace al volere di Dio che voi soffriate, voi siete uniti a Gesù Cristo e questo è per voi conquista di eterno trionfo.
O anime cristiane, non vi sgomentate delle pene che soffrite dal mondo e nel mondo per la vostra fede, e per la pratica della vostra fede; non vi fate vincere dalla viltà e dal rispetto umano. Ringraziate Dio se le vostre sofferenze nel corpo o nell’anima sono gravi, perché vi portano al trionfo pieno sull’inferno, sul mondo e sulla carne, ed al trionfo dell’eterna felicità. Unitevi a Gesù nei vostri dolori, alla pazienza di Gesù, senza lamentarvene; alla perfetta unione sua alla volontà del Padre, senza ribellarvi; alla sua piena immolazione senza considerarvi come disgraziate nel mondo, quando siete predilette da Dio, perché la misura della vostra felicità eterna è data proprio dai vostri dolori nella vita mortale.
Non senza ragione Gesù Cristo, risorgendo e salendo al Cielo, volle portare nella sua gloriosa umanità le piaghe delle sue mani, dei suoi piedi e del suo costato; per quelle piaghe morì, e per quella del Cuore consumò fino all’ultima stilla la sua offerta al Padre. Quelle piaghe erano e sono, in eterno, il titolo del suo trionfo; e le stimmate dei vostri cuori saranno, in eterno, il titolo glorioso della vostra conquista, il prezzo scintillante nei fulgori dell’amore col quale abbiamo sofferto uniti a Gesù; il prezzo della vostra felicità, come sono fulgenti le piaghe di Gesù Cristo, prezzo della vostra salvezza. S. Tommaso d’Aquino, alla questione se Gesù Cristo sia disceso anche nell’inferno dei dannati, risponde affermativamente: per confondere i dannati. Noi preferiamo dire che vi discese per glorificare Dio, anche là, dove la sua infinita realtà e gloria era manomessa e disconosciuta, e forse, molto più, per giustificare innanzi ai demoni la prova alla quale Dio li aveva sottoposti quando erano angeli, e decaddero per il loro orgoglio e per la loro colpa.
Ci pare logico e conveniente che, avendo ristabilito la gloria di Dio col sacrificio della Croce, usando misericordia, la ristabilisse anche nell’inferno mostrandone la giustizia. Nella sua Passione, infatti, Gesù Cristo aveva mostrato, nei suoi ineffabili dolori, che potevano sembrare spietati da tutti i punti di vista, quanto Dio fosse stato giusto, e come in Lui crocifisso, si erano come abbracciate la giustizia e la misericordia, essendo gli attributi divini una sola e semplicissima cosa, divinamente armonica e splendente, benché noi teologicamente li distinguiamo per nostra intelligenza.
Non è da escludersi una nota di misericordia nella discesa di Gesù Cristo all’inferno dei dannati. Sappiamo, infatti, dalla Teologia, che le pene dei dannati, pur essendo gravissime e senza speranza, sono in un certo modo temperate, non essendo strettamente proporzionate alle colpe, che hanno in sé qualche cosa d’infinito, perché dirette contro Dio infinito.
Non possiamo dire se Gesù Cristo abbia portato loro un sollievo, ma certo il Verbo di Dio che si era incarnato per usare misericordia agli uomini e distruggere il peccato, potette usare ai demoni e ai dannati un ultimo atto di misericordia, dando loro un motivo di pentimento, che essi nella loro ostinazione e nel loro orgoglio rifiutarono. Schiacciati com’erano dalla infinita maestà dell’anima di Gesù, che, anche fuori del corpo era unita alla Divinità, pur rifiutando di pentirsi, dovettero riconoscerlo, e piegarono il ginocchio, come dice S. Paolo, non come chi adorando si riconosce peccatore e si pente, ma come chi è prostrato da una forza divina che lo vince.
Discendendo nell’inferno dei dannati e dei demoni, Gesù Cristo dovette lasciare nei demoni, almeno, l’impressione della sua potenza, e la grandezza della sua vittoria per la Croce, e per questo i demoni fuggono quando si fa dai Sacerdoti il segno della Croce, o quando spruzzano l’acqua santa, che riceve la sua efficacia dai meriti del Sangue di Gesù Cristo. Quell’acqua per loro non è refrigerante, e per questo ne rifuggono come da un bruciante tormento, che diminuisce o paralizza la loro malefica potenza. Cacciati da nobili sfere del firmamento cui dovevano presiedere, furono relegati sulla terra, minuscolo astro di fronte agli astri, e ne presero possesso come assoluti dominatori. Si direbbe che si trovarono quasi a loro agio tra i cataclismi che avvenivano nello sviluppo primitivo della terra (essendo essi spiriti di disordine) tra le fiamme che vi ardevano.
Dio, proprio sulla terra creò l’uomo, perché con la sua moltiplicazione avesse supplito i troni perduti dagli Angeli ribelli, e satana tentò l’uomo e lo fece cadere, perché non avesse contrastato il proprio dominio. Non bisogna dimenticare che l’Angelo, anche caduto, non perde la sua natura angelica, ma si serve in male delle potenti forze di quella natura. Né bisogna dimenticare che Dio rispetta la libertà di una creatura ragionevole, e che volle anche dall’uomo una prova di amore come l’aveva voluta dagli Angeli, per la conquista dell’eterna felicità.
Nei suoi eterni disegni di misericordia, Dio aveva già decretato di redimere l’uomo, per i fini altissimi della sua gloria, mandando il suo eterno Figliuolo sulla terra. Ancora una volta satana aveva come sfidato Dio, impedendo che l’uomo avesse preso il suo seggio nel Cielo e il suo dominio sulla terra. E Dio, pur lasciandolo libero nella sua natura angelica, compì nell’uomo-Dio la sconfitta di satana. Era logico, quindi, che Gesù Cristo, compiuta la Redenzione, andasse anche nell’inferno per dichiarare vinto il regno di satana, e inaugurato anche sulla terra il regno di Dio.
Nel suo orgoglio stupidissimo, satana che aveva preteso di essere simile all’Altissimo ascendendo nei cieli, com’è detto nella Scrittura, si fece Dio sulla terra, facendosi adorare negl’idoli, e tentò Gesù Cristo nel deserto perché lo avesse adorato anche Lui, del quale ignorava l’entità, ma del quale sospettava la realtà, promettendogli i regni e le glorie della terra, quasi come cambio dell’adorazione che gli chiedeva scrutandolo: Se sei figlio di Dio di’ che queste pietre diventino pane, gettati giù dal pinnacolo, per vedere se gli Angeli gloriosi ti raccolgono essendo Figlio di Dio. E, confuso dalle risposte di Gesù, gli propose il baratto del proprio regno, per avere da Lui quella adorazione che, anche nel sospetto che fosse figlio di Dio, sospetto confermato dalle divine risposte di Gesù, doveva rappresentare la vittoria sua su Dio, il cui Figliuolo fatto uomo lo avrebbe adorato.
Era logico, dunque, che, dopo la morte, Gesù scendesse nell’inferno, per ripetere col trionfo della Passione e morte, somma adorazione di Dio, la parola con la quale l’aveva scacciato dal deserto: Va’ via satana, poiché sta scritto Dio solo adorerai, ed a Lui solo servirai.
Satana fuggì spaventato, ma allora cominciò la sua implacabile lotta alla Chiesa fondata da Gesù Cristo, al regno di Dio anche sulla terra. Ma, nonostante la lotta di satana, la vittoria di Gesù era completa, perché, fondando la Chiesa su Pietro, aveva solennemente proclamato che le porte dell’inferno non avrebbero prevalso contro di lei. Il regno di Dio sulla terra era indefettibilmente stabilito.
Il Profeta Osea aveva predetto il nome del Redentore vittorioso per la sua Passione e morte: O morte, io sarò la tua morte, e perciò Gesù discese nel Limbo, nel regno dei morti, per annunziare loro la salvezza, e trarli al Cielo, e per annunziare la loro resurrezione futura, della quale era pegno e primizia la sua gloriosa resurrezione, che pure annunciò loro, certamente. I giusti del Limbo, infatti, lo videro nell’anima divina separato dal corpo, com’era la loro anima, e quindi lo videro come predato dalla morte; ma Gesù, annunziando loro la salvezza, non si dichiarò preda della morte, ma promise loro la resurrezione, annunziando la sua gloriosa resurrezione.
Strappò così al demonio la sua preda, perché il demonio, facendo cadere l’uomo nel peccato, lo rese preda della morte, introducendola nel mondo. Satana, per indurre l’uomo al peccato, disse ad Eva che gli negava il consenso: Non morirete, mangiando il frutto proibito, ma sarete simili a Dio. Così predò l’uomo creato da Dio, immortale, inaugurando il regno della morte. Per questo il Profeta Osea, profeticamente fa soggiungere dal Redentore: O inferno, io sarò la tua distruzione. O inferno, cioè regno della morte, e non già, o inferno dei dannati che è eterno.
Gesù Cristo morendo e risorgendo primizia gloriosa della totale resurrezione dei morti, fu morte della morte, e distrusse il regno della morte, per sempre. Cancellò così il peccato e la pena che Dio comminò al peccato: Morte morieris... ricordati che sei polvere ed in polvere ritornerai.
Sac. Dolindo Ruotolo

sabato 24 maggio 2014

24.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 15, par. 4

4. L'Eucaristia e la grazia dello Spirito Santo, forza nelle persecuzioni e nei combattimenti che si incontrano per fare il bene
L'apostolato, che è carità eminentemente spirituale, non si può fare senza venire in urto col mondo, poiché sta agli antipodi del suo spirito e delle sue aspirazioni.
Il mondo odia i ministri e i servi di Gesù Cristo, perché prima di tutto ha odiato ed odia Lui.
Ignora Dio, ed ignora il Redentore, ma la sua ignoranza è colpevole, perché rifiuta la parola di Dio, disprezza i segni che Egli ha dato della sua verità, e finisce per odiare anche Dio stesso. Gesù Cristo, parlando agli apostoli dell'unione che dovevano avere con Lui per amare Dio e il prossimo e per fare l'apostolato, parlò anche delle persecuzioni che il mondo avrebbe loro fatte, per dire che l'Eucaristia doveva essere la loro forza in quegli aspri cimenti. Egli sintetizzò in poche parole le varie fasi delle persecuzioni dirette contro di essi, e contro la Chiesa nei secoli: prima l'odio contro di loro, e quindi l'avversione al sacerdozio ed alla Chiesa, odio simile a quello avuto contro di Lui, che si sarebbe manifestato nell'opposizione al divino ministero, nell'irruenza, nella violenza e nella morte. Poi quest'odio sarebbe divenuto rinnegamento formale della sua divinità e della sua missione, in un razionalismo miscredente e persecutore, che avrebbe ignorato Colui che l'aveva mandato, negandone i miracoli e la dottrina. Ed infine l'odio sarebbe diventato guerra aperta a Dio: Hanno odiato me e il Padre mio.
Gli apostoli sarebbero stati avversati per il nome di Gesù, e i loro nemici li avrebbero perseguitati rinnegandone la divina missione; questo sarebbe stato il seguito della persecuzione scatenata contro di Lui dai Giudei; la Chiesa sarebbe stata ugualmente perseguitata, e si sarebbero così doppiamente avverate le parole della Legge, cioè dell'Antico Testamento (Sai 68,5): Mi odiarono senza motivo. Avevano odiato Lui senza ragione, ed avrebbero odiato allo stesso modo gli apostoli e la Chiesa. In quest'irruzione di odio satanico, la forza degli apostoli e della Chiesa sarebbe stata l'unione con la sua vita, per cui sarebbero stati una sola cosa con Lui, e la pienezza dei doni e delle grazie dello Spirito Santo, che li avrebbe resi capaci di compiere la missione loro affidata. Per questo Gesù soggiunse: Quando poi sarà venuto il Paraclito che io manderò dal Padre, Egli mi renderà testimonianza, e voi pure mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Lo Spirito Santo avrebbe fortificato gli apostoli, perché avessero attestato quello di cui erano stati testimoni oculari e, diffondendosi nella Chiesa, avrebbe perpetuato l'annunzio del Vangelo in tutti i secoli, confermandone la verità con la vita stessa della Chiesa e coi carismi e doni dei quali l'avrebbe sempre arricchita.
La venuta dello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio
Annunziando la venuta dello Spirito Santo, Gesù Cristo disse che sarebbe stato mandato da Lui e dal Padre, e con questo disse chiaramente che lo Spirito Santo procedeva da Lui e dal Padre. Egli espresse proprio l'opposto di quello che gli eretici, negatori della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, pretesero dedurre dalle sue parole. Teologicamente infatti, nelle Persone divine la missione, ossia l'essere mandata l'una dall'altra, indica proprio la processione di una dall'altra, o per generazione, come avviene nel Figlio, o per spirazione, come avviene nello Spirito Santo. Gesù, quindi, dicendo che avrebbe mandato lo Spirito Santo dal Padre, disse chiaro che lo Spirito Santo procedeva da Lui e dal Padre, come notano sant'Ilario (Lib. Vili de Trinitate) e sant'Agostino (Lib. IV de Trinitate c. 20); ed implicitamente disse che procedeva per unica spirazione, essendo Egli una sola cosa col Padre.
Soggiunse, è vero: Lo Spirito di verità che procede dal Padre, ma sottintese sempre: Io manderò, e quindi sottintese che procedeva anche da Lui. Egli del resto com'è detto nel capitolo seguente chiarissimamente (16,13), protestò che tutto ciò che aveva il Padre lo aveva anche Lui, e quindi che lo Spirito Santo procedeva dal Padre e da Lui. In questo capitolo disse che lo Spirito Santo procedeva dal Padre, e nel seguente disse che riceveva da Lui: De meo accipiet. Ora in Dio non c'è altra ragione di ricevere che il procedere, e quindi ricevere significava procedere. Dai due testi perciò risulta chiaro che lo Spirito Santo procede dal Padre e riceve dal Figlio, ossia procede dal Padre e dal Figlio.
Gli apostoli dovevano rendere testimonianza a Gesù Cristo, attestando da testimoni oculari quello che avevano visto ed udito. Ma la loro testimonianza sarebbe stata vana senza una conferma divina, e questa l'avrebbe data lo Spirito Santo coi doni e coi carismi. Gli apostoli avrebbero attinto la forza per operare dalla Santissima Eucaristia, e per Gesù Cristo avrebbero avuto la pienezza delle grazie dello Spirito Santo. Essi avrebbero così resistito alle persecuzioni e all'odio del mondo e, pur subendo dolori, angustie e morte ad imitazione del Maestro divino, avrebbero compiuto la loro missione.
Sac. Dolindo Ruotolo

venerdì 23 maggio 2014

23.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 15, par. 3

3. L'Eucaristia, Sacramento di amore nella carità verso il prossimo
L'Eucaristia è Sacramento di amore a Dio nel sacrificio e nella dedizione dell'anima alla divina volontà, ed è Sacramento di amore al prossimo nella carità che s'immola e si dona per amore di Dio. Per questo Gesù, dopo aver parlato dell'amore e della dedizione a Dio, ritornò sul suo grande precetto di amare il prossimo e disse: Questo è il mio comandamento: che vi amiate l'un l'altro come io ho amato voi. Egli questo comandamento l'aveva già dato, e l'aveva chiamato nuovo (13,34) per il mondo, dilaniato dalle vendette e dall'odio; ora volle determinarne la portata, ed esclamò: Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici.
Amarci come Gesù ci ha amati
Dobbiamo amarci come Gesù ci ha amati; Egli ci ha dato il massimo segno di amore immolando per noi la sua vita, e donandola interamente nella Santissima Eucaristia, e noi dobbiamo essere disposti anche al supremo eroismo della carità, e donarci alle anime come aiuto, sostegno, consolazione e sollievo morale e materiale. Attraverso gli atti dell'amore fraterno dobbiamo donare noi stessi, quasi in un'Eucaristia di carità. Non bastano gli atti esterni, né basta un soccorso dato freddamente, quasi fosse come tassa.
Occorre dare negli atti di condiscendenza il nostro pensiero e il nostro giudizio, negli atti di bontà il nostro cuore, negli atti di compatimento la nostra sensibilità, negli atti di solidarietà i nostri interessi, negli atti di beneficenza il frutto della nostra vita di lavoro, sempre per Dio, solo per Dio: perché dalle creature non dobbiamo attenderei nulla, neppure il riconoscimento del beneficio e la gratitudine.
La carità è il vero e l'unico segreto della uguaglianza e della fraternità umana; poiché nell'atto in cui si espande e si esercita, riguarda il prossimo come amico, come fratello, come parte della propria famiglia, e lo ama.
La carità non guarda il fratello dall'alto in basso, come disgraziato ridotto in uno stato inferiore, ma, diremmo, da basso in alto, come si guarda Gesù in croce sul Calvario.
La visita del sofferente è per il cristiano vero come la visita di Gesù, e se ne crede onorato, lo accoglie come Gesù, lo
tratta come Gesù, lo solleva come avrebbe voluto sollevare Gesù sul Calvario, e s'intenerisce per le sue pene.
La carità spirituale
Per ispirare questo amore nel cuore dei suoi apostoli, Gesù protestò di riguardarli come amici, solo a patto che avessero praticato la carità, e mostrò loro come Egli li aveva amati: Voi siete miei amici se farete quello che io vi comando. E soggiunge: Ora non vi chiamerò più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone. Vi ho chiamati invece amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l 'ho fatto sapere a voi. Egli voleva dire: Ora che vi ho rivelato il precetto della carità, vi ho fatto conoscere il grande segreto della redenzione, ch'è opera di carità, e non vi chiamo più servi ma amici. Chiamandovi così, vi dò l'esempio, perché voi riguardiate i poveri ed i sofferenti come amici e, rivelandovi quello che ho udito dal Padre mio, v'insegno un altro atto di carità, quello di comunicare agli altri i beni spirituali, aiutandoli a conoscere la verità, ed a camminare verso il Cielo. E questa infatti, parlando strettamente, la vera carità, secondo l'esempio che Gesù stesso ci ha dato.
Egli ci ha rivelato la verità, ha dato la vita per salvarci, ha confortato le nostre angustie, ma non ci ha liberati interamente dalle pene della vita presente. E una cosa che fa pensare. Il Signore ci ha dato la pienezza della carità spirituale e non di quella temporale. Avrebbe potuto far ritornare l'Eden, ma per nostro stesso bene non lo ha voluto, perché un paradiso terrestre avrebbe fatto dimenticare quello eterno alla povera creatura decaduta dal suo stato di giustizia originale.
Egli ha sottoposto la carità temporale a quella spirituale, e soccorrendo il corpo ha voluto principalmente soccorrere l'anima. Ci ha redenti, ma l'applicazione dei suoi meriti e, diremmo, il compimento dell'opera sua continua sino al termine dei secoli nella Chiesa e per la Chiesa.
Il peccato, per l'umana libertà, dolorosamente imperversa ancora sulla terra, e con esso le grandi tribolazioni di cui è causa. Ci sono ancora, e in gran numero, gli uomini preda di satana, e continua nelle anime sante e nella Chiesa la Passione e Morte di Gesù Cristo; per conseguenza continuano le grandi pene e tribolazioni della vita, quelle che sono castigo delle colpe, e quelle che ne sono riparazione.
La carità più bella perciò è sempre quella spirituale: rivelare la verità a chi la ignora, far conoscere Dio, farlo amare e liberare le creature dalle illusioni del mondo, del demonio e della carne.
Chi fa la carità corporale senza quella spirituale è come colui che compassiona un malanno, magari vi applica qualche pomata refrigerante, ma non lo cura. Chi ha la possibilità di fare la carità spirituale e non la fa, o la trascura per quella temporale è simile a chi ha premura di accomodare il letto all'infermo, ma non pensa a dargli le medicine, s'affanna a fasciare le piaghe ma non ne elimina il pus che le alimenta e le ingrandisce.
Nell'esercizio della carità si può trovare un grande ostacolo nell'indegnità di quelli che la ricevono. Essi o sono ingrati o sono duri, e ci fanno sentire o ripugnanza nell'aiutarli o scoraggiamento nel curarli. Gesù Cristo previene questa difficoltà delicatamente, mostrando agli apostoli che la loro dignità e quello che da Lui hanno ricevuto non è stato frutto dei loro meriti o della loro elezione, ma frutto della sua misericordia: Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi, e vi ho costituiti perché andiate e facciate frutto, e il vostro frutto sia durevole. Se io vi ho eletti senza vostro merito, anche voi dovete andare alle anime e cercarle per beneficarle spiritualmente, affinché portino un frutto di eterna vita. Che se vi doveste trovare innanzi alle difficoltà dell'apostolato, non vi turbate per la vostra insufficienza, ma pregate, perché vi dico che qualunque cosa domanderete al Padre mio in mio nome ve l'accorderà. Gesù Cristo non dice che otterranno tutto quello che vorranno, ma qualunque cosa domanderanno in suo nome, per superare le difficoltà dell'apostolato della carità, e per questo soggiunge subito: Questo v'ingiungo: che vi amiate l'un l'altro.
In Gesù Sacramentato il segreto della vera carità
Il mondo si dilania nella maniera più feroce quando si allontana dall'Eucaristia, e noi lo constatiamo coi fatti, poiché le nazioni più povere di Eucaristia sono le più povere di carità. La bontà, la dolcezza, il compatimento, l'apostolato fatto per salvare le anime, il soccorso materiale agl'indigenti sono fiori che spuntano e prosperano ai piedi dell'altare eucaristico. Non sono i trattati che stabiliscono la pace nel mondo, ma è il regno eucaristico.
Se l'umanità non ricorre al suo Re sacramentato, invano fa appello alla giustizia ed alla carità. Queste parole sono vive solo quando si riceve Gesù e si vive di Gesù. Andiamo perciò ogni giorno ai piedi dell'altare per rinfocolarci nella carità vera, e per fecondare le nostre opere di apostolato, affinché, raccogliendo da Gesù i tesori della sua carità, siamo come fiori profumati dalla sua bontà, dal suo amore, dalla sua misericordia, dalla sua condiscendenza, e dal sacrificio col quale ci ha amati e ci ama.
Ogni giorno dobbiamo metterci nei raggi di questo sole divino, per espanderci come passiflore di bontà, che sono fiori bellissimi e portano in loro i segni della Passione. L'anima nostra porti i segni della Passione come segni della carità che giunge a dare la vita per il prossimo, in un sacrificio ed in un'immolazione completa. L'Eucaristia sia la mensa comune delle famiglie, dei cuori e delle nazioni, e per l'Eucaristia si formi di tutta la terra un solo ovile e un solo pastore, nella vera pace.
Sac. Dolindo Ruotolo