sabato 23 aprile 2016

24.04.2016 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 13 par. 5

5. L'esultanza dell'amore di Gesù per il suo sacrificio imminente

Giuda uscì dal Cenacolo ed era notte, dice il Sacro Testo; notte naturale nel luogo, e notte nell'anima del traditore, figlio delle tenebre, che usciva per andare incontro all'abisso ed alla notte eterna della perdizione.

Era invece luce fulgente nell'anima di Gesù, erano splendori di fiamma nel suo ardentissimo Cuore, ed Egli, vedendo che stava per compiersi il suo desiderio ardente d'immolarsi per la gloria di Dio e per la salvezza di tutti, esclamò: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui anche Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto. Psicologicamente, se può dirsi così trattandosi di Gesù, nella sua umanità Egli ebbe un tale schianto per la partenza di Giuda, che per non venir meno ebbe bisogno di volgersi ai grandi fini della redenzione. Dal contesto si rileva che il suo Cuore era sommamente intenerito, chiamando i suoi apostoli fìgliolini miei; ora la tenerezza patema, anzi diremmo materna, gli fece sentire nel Cuore uno strappo angoscioso per Giuda e, quasi per dominarsi e non apparirne vinto, per non contristare i suoi apostoli e per dare al suo Cuore che scoppiava d'angoscia uno sfogo d'amore, Egli riguardò la gloria che avrebbe avuto Lui stesso morendo, e che sarebbe ridondata nel Padre col suo sacrificio.

Nell'enfasi del suo amore guardò al futuro come ad un fatto già avvenuto, ed usò il tempo presente nelle sue parole: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Egli in realtà s'era già offerto eucaristicamente, e la sua santissima umanità era stata glorificata sommamente in quel mistero d'amore, diventando cibo di vita. Il Corpo ed il Sangue, allora ancora mortali, erano diventati cibo e bevanda di vita immortale ed eterna per tutti gli uomini in tutti i secoli. Non c'era un'incorruttibilità più grande, un'elevazione più sublime ed un regno più universale, come non c'era una glorificazione più grande di Dio in un sacrificio che era identico a quello del Calvario, ma non era consumato dall'irruzione dell'empietà e dalla scelleratezza dei carnefici, sebbene dall'amore più grande che potesse elevarsi innanzi a Dio e dalla fiamma più ardente di carità.

Nell'impeto del suo amore Gesù soggiunse: Se Dio è stato glorificato in lui cioè nel Figlio dell'uomo, anche Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto. L'offerta che Gesù aveva fatto di se stesso al Padre e la sua volontà d'immolarsi era già una glorificazione piena di Dio; l'imminente sacrificio del Golgota in realtà non era che la consumazione. La vittima per onorare Dio doveva essere consumata, giacché un agnello non poteva offrirsi con la volontà; ma la Vittima divina era già offerta nell'atto della sua volontà, e Dio, anche prima del sacrificio del Calvario, ne era stato glorificato. Ora, come Gesù aveva glorificato il Padre, e come avrebbe consumato questa sua glorificazione sulla croce, così il Padre l'avrebbe glorificato in se stesso elevandolo alla sua destra, cioè nello splendore della divina gloria e facendolo Re di tutto l'universo.

sabato 16 aprile 2016

17.04.2016 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 10 par. 3

3. Il buon Pastore ed il mercenario

Il Messia era stato caratterizzato dai profeti come il Pastore del suo popolo (Is 40,11; Ez 34,23; 37,24; Zc 13,17, ecc.), ed Israele era stato chiamato gregge del Signore (Ez 34,5; Mie 7,14; Zc 10,3, ecc.). Gesù Cristo affermò solennemente che questi vaticini si erano avverati in Lui, proclamandosi pastore, anzi buon pastore non solo del popolo ebreo ma di tutti gli altri che Egli avrebbe uniti al primo suo gregge, formandone un solo ovile sotto un solo pastore. Dal modo com'Egli parlò traspare tutta la sua tenerezza verso le anime e, dal contrapposto che fece tra il buon pastore e il mercenario, tutto il dolore che provava non solo per i falsi pastori del popolo ebreo, ma per i pastori falsi e mercenari di tutti i secoli. Io sono il buon pastore, esclamò; era venuto per dare la vita e per darla abbondantemente, e la dava alle sue pecorelle non solo pascolandole, ma immolandosi per loro; perciò soggiunse: Il buon pastore dà la vita per le sue pecorelle e, secondo l'espressione del testo greco, dà la vita in prezzo di redenzione.

Egli era l'unico pastore che pascolando si offriva, e salvando dalla morte le sue pecorelle s'immolava per esse. Nell'Eucaristia donò se stesso offrendosi al Padre ed immolandosi incruentemente, e sulla croce s'immolò cruentemente. Per confermare e rendere vivo questo grande pensiero, Gesù Cristo ritornò alla similitudine dell'ovile e delle pecorelle, e disse: Il buon pastore dà la vita per le sue pecorelle, il mercenario invece è chi non è pastore, ed al quale non appartengono le pecorelle; quando vede venire il lupo abbandona le pecore e fugge, il lupo rapisce e disperde le pecorelle. Il mercenario poi scappa perché è mercenario e non gl'importa delle pecorelle.

I pastori di pecore menano una vita solitaria nei campi e l'unica loro compagnia sono quei placidi animali che conducono al pascolo. Essi li amano come loro proprietà, e quasi come parte della loro vita; la docilità che esse hanno ad ogni loro cenno ispira ad essi una grande tenerezza, e la loro debolezza di fronte ai pericoli li rende solleciti nel difenderle. Un gregge è come una famiglia di cui il pastore si sente il capo, e perché le pecorelle lo riconoscono e ne ascoltano la voce, egli se ne sente quasi padre, e non esita ad affrontare dei gravi pericoli per difenderle, soprattutto contro le insidie dei lupi. Nelle solenni solitudini dei campi non c'è forse una scena più soave e commovente come quella di un gregge che pascola, e del pastore che lo vigila. Raccolte a gruppi, brucano le erbe, corrono di qua e di là, si riposano, e il loro belare è come un'armonia serena che si disperde lontano nelle ampie solitudini verdi e tranquille.

sabato 9 aprile 2016

10.04.2016 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 21 par. 2-3

2. Gesù appare sul lago di Tiberiade: la pesca miracolos e il suo profondo significato

Dopo le feste pasquali, gli apostoli, secondo il comando avutone da Gesù, se ne ritornarono nella Galilea, attendendo sue disposizioni. Erano insieme sette di loro che erano pescatori, Simon Pietro, Tommaso, detto il Didimo, Natanaele, ossia Bartolomeo, i figli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo, e altri due discepoli che il Sacro Testo non nomina. Benché Gesù avesse già detto loro che li mandava come Lui era stato mandato dal Padre, e benché avesse loro dato lo Spirito Santo, comunicando ad essi la potestà di rimettere i peccati, pure non avevano capito molto della dignità soprannaturale alla quale erano stati eletti. Non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo nella pienezza che doveva trasformarli, ma solo come grazia particolare, data ad essi per anticiparne l'elevazione alla dignità alla quale Dio li aveva eletti.

La loro mente s'era solo snebbiata di qualche pregiudizio, la loro fede s'era orientata al suo vero oggetto, la loro speranza si era ravvivata, il loro amore era cresciuto, e stavano in attesa di quello che Gesù potesse fare.

Essendo poveri, e non avendo più le pie donne che con le elargizioni del popolo devoto provvedevano alle loro necessità, pensarono di ritornare all'antico mestiere. Essi in realtà non l'avevano mai smesso interamente, essendo un mestiere innocente, ma al ritorno in Galilea ne sentirono la necessità per procacciarsi da vivere. Fu san Pietro che ne diede l'esempio dicendo: Vado a pescare. Gli altri si unirono a lui salendo nella sua barca. Non avevano una precisa occupazione e pensarono di unirsi a Pietro per aiutarlo, e beneficiare con lui del frutto della pesca. Erano pratici del mestiere e scelsero la notte come il tempo più atto alla pesca, ma non presero nulla. Dio, che è padrone di tutto, lo dispose per far meglio risultare il miracolo che Gesù voleva operare ed il significato profondo che voleva dargli.

Alle prime luci del mattino, Gesù, improvvisamente, come indica il testo greco, si fermò ritto sulla riva. Gli apostoli erano a circa cento metri di lontananza, e la nebbia mattutina non fece loro distinguere chi fosse. Non lo riconobbero neppure alla voce quando loro parlò, perché Egli, per farsi intendere a quella distanza, alzò la voce, e questa ebbe una risonanza di eco per la solitudine del lago. Si stupirono nel vedere improvvisamente un uomo sulla riva a quell'ora, ma, quando Egli domandò se avessero qualche cosa da mangiare, credettero che fosse un povero o un pellegrino. Non avevano nulla, non avendo preso nulla, e perciò risposero recisamente: no.

Il supposto povero o pellegrino li aveva chiamati affettuosamente figlioli, ed essi risposero rudemente: No; evidentemente erano un po' nervosi perché stanchi e delusi dell'inutile notte di lavoro. Con la stessa amabilità Gesù soggiunse: Gettate le reti a destra della barca e ne troverete. Il consiglio avrebbe potuto anche essere male accolto, trattandosi di un pellegrino che dava suggerimenti ad uomini del mestiere, ma gli apostoli sentirono in quella voce tanta cortese amabilità, che non poterono fare a meno di seguirla; gettarono la rete, e subito dopo s'accorsero che si era così riempita di pesci, da non poterla tirare. Il fatto era miracoloso, non se ne poteva dubitare; ora chi avrebbe potuto compiere un miracolo all'infuori di Gesù? Giovanni lo intuì per primo, e poiché nel frattempo il sole s'era levato e la nebbia s'era dissipata, riconobbe in quel personaggio il Maestro divino, e lo disse a Pietro.

Pietro al sentire ch'era il Signore, fu preso da tanta gioia e da tale impeto di amore, che messasi la sopravveste della quale si era spogliato per aver maggior libertà nel lavoro, si gettò in mare nella speranza di raggiungere più presto la riva.

Avrebbe dovuto o rimanere com'era con la sola veste succinta, o addirittura togliersela per nuotare, ma conosceva quanto Gesù amava la purezza, e per rispetto a Lui preferì vestirsi interamente.

Se si capisse quanto il Signore ama la purezza, chi oserebbe stargli davanti in un abbigliamento poco modesto? Egli sta sulla riva eterna e ci attende esortandoci a gettare la rete nel mare della vita temporale per raccogliere meriti, e noi andiamo verso di Lui. Come possiamo presentarci al suo cospetto nudi di meriti e privi di modestia? Per il Sacro Testo una veste succinta e senza maniche era nudità: erat enim nudus) ora tale deve dirsi molto più la veste che mette in mostra la carne. Dio è geloso della purezza del vestire dovunque noi siamo, perché è geloso dell'anima nostra e della nostra dignità.

domenica 3 aprile 2016

03.04.2016 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 20 par. 4

4. Gesù Cristo appare agli apostoli

Dopo che Pietro e Giovanni tornarono dal sepolcro, e dopo il messaggio delle pie donne e della Maddalena, cominciò a nascere negli apostoli un po' di fede. Non era la fede profonda e completa di chi crede a Dio che rivela, riguardando come somma ragione la sua autorità, ma era come l'alba di questa fede, era come il rinascere di una speranza che sembrava già morta, era come il primo rinverdirsi d'un ramo spezzato dalla tempesta. Questo po' di fede, più naturale che soprannaturale in quel momento, fu la disposizione che rese loro possibile la grazia della rivelazione del Signore.

Essi erano in buona fede, in fondo, poiché non avevano capito i tratti della Scrittura che parlavano della risurrezione né ricordavano ciò che in proposito aveva loro detto Gesù; non rifiutavano di credere alla Parola di Dio positivamente, ma s'erano come smarriti nel labirinto delle loro idee e delle loro aspirazioni.

Il timore poi dei Giudei aveva fatto nascere in loro inconsciamente quasi il desiderio di sottrarsi, se fosse stato possibile, all'incanto ed al fascino di ciò che in tre anni avevano visto ed ascoltato.

La paura è sempre una pessima consigliera, e quando diventa panico cerca ogni scappatoia per sottrarsi al pericolo; se non in tutti gli apostoli e discepoli, almeno in alcuni subentrò un desiderio occulto di non pensare più al passato, di abbracciare un tenore comune di vita, e ritornare alle loro occupazioni; ne abbiamo un esempio nell'episodio dei discepoli di Emmaus, del quale parla san Luca (23,13-35). Il timore s'accrebbe negli apostoli per le stesse notizie che riguardavano la risurrezione. Certamente il Corpo di Gesù non c'era più nel sepolcro, e questo fece loro temere che le autorità li accusassero di averlo essi sottratto, iniziando contro di loro una persecuzione; perciò stavano guardinghi e tenevano ben chiuse le porte dove erano congregati. Ora mentre erano insieme, nella sera della stessa domenica della risurrezione, Gesù Cristo, senza bisogno di farsi aprire, entrò improvvisamente in mezzo a loro, e fermatosi disse: La pace sia con voi.

Nella sua misericordia e nel suo amore veniva per troncare la loro diffidenza, e per mostrare la realtà della sua risurrezione. Perciò, passato il primo momento di sbigottimento che si generò in essi a quella vista, li invitò ad avvicinarsi a Lui, e mostrò loro le mani piagate ed il costato aperto, affinché avessero avuto un argomento sensibile della realtà del suo Corpo, ed avessero constatato che quello era proprio il Corpo crocifisso tre giorni prima sul Calvario.