sabato 26 novembre 2016

27.11.2016 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 23 par. 4-5

4. I segni della catastrofe

Altro segno remoto, e potremmo dire caratteristico della fine del mondo, sono le guerre e le voci di guerre, le sollevazioni di popolo contro popolo e di gente contro gente, le conseguenti pestilenze e carestie, e gli sconvolgimenti tellurici. Gesù Cristo avverte che tutto questo deve avvenire, ma non è ancora la fine, perché le guerre e le tribolazioni sociali ci furono anche al tempo delle persecuzioni contro il cristianesimo, e furono così aspre da far credere prossima la fine anche ad alcuni padri della Chiesa. Gesù Cristo volle proprio prevenire questo equivoco dicendo che le guerre non indicavano la fine imminente. Egli velatamente determina di quali guerre intenda parlare e di quali sconvolgimenti, parlando di persecuzioni in tutte le parti del mondo, di odio generale al nome cristiano, di scandali caratteristici, di tradimenti, di odi, di falsi profeti, di seduzioni universali, e soprattutto di raffreddamento della carità verso Dio e verso il prossimo, dovuto al sovrabbondare dell'iniquità; Egli specifica che questo avverrà quando il Vangelo sarà stato già diffuso per tutto il mondo. Si può dire che a bella posta Gesù abbia parlato un po' velatamente, quasi confondendo i segni prossimi e quelli remoti della fine del mondo, e i segni della fine di Gerusalemme; Egli volle eccitare le anime di tutti i tempi alla vigilanza, e non volle estremamente terrorizzare quelle che si sarebbero un giorno trovate nei terribili avvenimenti. Sapere con certezza assoluta il tempo della fine potrebbe essere per quelli che ne sono lontani un motivo per darsi bel tempo, e per quelli che ne sono vicini un motivo di scoraggiamento e d'ignavia. L'incertezza ci fa essere vigilanti e nello stesso tempo ci fa continuare nel compimento dei nostri doveri, tanto nella vita familiare che in quella sociale.

sabato 19 novembre 2016

19.11.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 23 par. 5

5. La crocifissione, l'agonia, la morte e la sepoltura di Gesù

Giunti che furono sul monte Calvario, cioè del teschio, chiamato in ebraico Golgota, i carnefici prescelti crocifissero Gesù e i due ladroni, elevandoli uno a destra ed uno a sinistra di Lui. Con queste poche parole di una terribile concisione, l'evangelista accenna alla scena spaventosa di quell'immane supplizio. Lo crocifissero perforandogli le mani con lungo chiodo, ed i piedi sovrapposti con un chiodo ancora più lungo. Non è possibile immaginare lo spasimo che davano quei chiodi all'adorabile nostro Redentore. La scienza medica oggi ne ha potuto studiare le vestigia sulla santa Sindone, cioè sul lenzuolo che lo avvolse cadavere. Si contrasse tutto alFindietro, e per questo movimento brusco le spine della nuca gli si conficcarono dentro più profondamente. Il suo dolore fu immenso, ma Egli nella sua misericordia si preoccupò di quelli che glielo cagionavano, e rivolto al Padre esclamò: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Non aveva bisogno Egli di perdonarli, perché dava la vita per essi, ma aveva necessità d'implorare perdono dal Padre, perché il delitto che commettevano era spaventoso. La sua parola fu esaudita dal Padre?

Apparentemente sembrerebbe di no, poiché Gerusalemme fu distrutta, ed il popolo fu massacrato o portato in cattività; ma Gesù pregò per l'anima di quelli che avevano concorso alla sua crocifissione, e principalmente per gli Ebrei, e questo ci fa intendere che per la sua divina preghiera Egli raccolse quelle anime quale messe dei suoi dolori. Come poteva Egli pregare per la loro salvezza temporale, che li avrebbe sempre più ostinati nel peccato? Anche al buon ladro, infatti, Egli donò la salvezza eterna, ma non lo strappò dalla croce, perché il tormento che vi subiva era l'espiazione dei delitti che aveva commessi.

Gesù soffriva e perdonava, e quelli che assistevano alla sua morte lo deridevano e lo insultavano!

I soldati al principio si preoccuparono solo di dividersi le sue vesti, sperando di realizzare un grande guadagno rivendendole ai a discepoli del Crocifisso, e siccome la tunica era inconsutile, per non dividerla se la sorteggiarono; dopo si unirono anche essi a quelli che lo insultavano. I sacerdoti sopra tutti e gli scribi ci tenevano a sfatarne il prestigio innanzi al popolo, e coi loro insulti volevano fame rimarcare l'impotenza: Ha salvato gli altri, salvi se stesso se Egli è il Cristo, l 'eletto di Dio. Ad essi facevano eco i soldati, i quali, vedendo sulla croce la scritta postavi da Pilato, dicevano: Se Tu sei il re dei Giudei salva Te stesso. Lo dicevano per pigliarsi beffe non solo di Lui, che s'era dichiarato re innanzi a Pilato, ma anche per insultare il popolo ebreo in Lui.

Se Pilato aveva messo quella scritta, era per essi evidente che il Crocifisso era veramente il re spodestato; insultandolo e sfidandone la potenza, volevano far constatare lo stato di soggezione piena nel quale era ridotto il popolo, che aveva il suo re in croce, senza dire neppure una parola di protesta, anzi approvandone la condanna e la morte.

I biechi sacerdoti del tempio non s'erano accorti che con quel delitto spaventoso avevano stretto di più le catene della loro schiavitù a Roma.

sabato 12 novembre 2016

13.11.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 21 par. 3

3. La rovina di Gerusalemme, il regno di Dio sulla terra e la fine del mondo

Gesù Cristo insegnava ogni giorno nel tempio ed i discepoli ebbero occasione così di osservarne la magnificenza. Nei primi giorni non vi badarono troppo, perché attratti dalle parole del Maestro divino; ma, rivedendo il maestoso edificio e stando naturalmente un poco più distratti dalla divina Parola per l'abitudine quotidiana di ascoltarla, ne notarono la bellezza e la segnalarono al Maestro con quel senso naturale di compiacenza e di orgoglio che si ha per una gloria nazionale.

Gesù Cristo, lungi dal fermarsi sulla magnificenza dell'edificio, col suo sguardo divino ne guardò il dissolvimento e la rovina che l'avrebbero colpito a causa dei peccati del popolo e del delitto immane del deicidio che si accingeva già a consumare. Vide in quel tempio l'immagine del suo Corpo, che sarebbe stato colpito dalla morte violenta e vide il castigo che avrebbe colpito il popolo con la rovina della città e del grandioso edificio; vide in questa rovina la figura e l'immagine della catastrofica fine del mondo, a causa dei delitti consumati nei secoli contro Dio, il suo Cristo e la Chiesa, suo Corpo mistico, e rispose annunziando le due catastrofi ed esortando i discepoli ed i popoli sull' atteggiamento che dovevano avere in quelle immani sventure. Cominciando dal tempio ed annunziando nella sua rovina quella di Gerusalemme, esclamò: Giorno verrà che di tutto questo che vedete non rimarrà pietra su pietra che non sia distrutta.

Disse queste parole con tale accento di verità che nessuno di quelli che le ascoltarono osò dubitarne, e perciò gli domandarono quando sarebbe avvenuta quella rovina e da quali segni sarebbe stata preceduta. Facendo questa domanda vollero inconsciamente assicurarsi se essi sarebbero stati travolti dalla catastrofe e sperarono di non esserne testimoni. Era troppo vivo il loro amore per la patria e per il tempio per non riguardare come suprema sventura il vederne la rovina; Gesù rispose a questa intima preoccupazione, disingannando essi e quelli che sarebbero venuti dopo di loro, giacché la Chiesa che Egli fondava sarebbe stata esposta in ogni tempo alle persecuzioni, e nel mondo sarebbero successe in ogni tempo rovine.

Pensare di non trovarsi presenti ad un cataclisma era speranza inattuabile per quelli che dovevano peregrinare combattendo e che in ogni tempo si sarebbero trovati di fronte ai disseminatori di errori, causa vera e prossima delle persecuzioni e dei castighi che ne sarebbero stati conseguenza.

Perciò col suo parlare divinamente sintetico, rispose: Badate di non essere sedotti, poiché molti verranno sotto il mio nome, cioè come messia e come realizzatori di una rinnovazione universale, e diranno sono io, ed il tempo è vicino.

Molti falsi profeti crederanno di essere essi i dominatori universali, ed annunzieranno il tempo della prosperità del mondo, come anche molti, di fronte ai mali incalzanti in ciascun secolo, crederanno prossima la fine del mondo. Ma erreranno e saranno solo annunziatori di errori.

Tanto il regno di Dio quanto la fine del mondo saranno preceduti da guerre e da rivoluzioni, ma queste non saranno un segno immediatamente prossimo, tanto della fine del dominio degli empi, quanto della fine del mondo; ne saranno solo una preparazione ed avverranno per purificare la terra e raccogliere gli eletti. Non saranno segni esclusivi di questi due grandissimi eventi della storia del mondo, perché in ogni tempo vi saranno guerre e sedizioni. La caratteristica delle guerre e delle rivoluzioni del tempo precedente il regno di Dio e la fine del mondo sarà la universalità del flagello, accompagnato da pestilenze, carestie, segni spaventevoli nel cielo, e grandi prodigi sulla terra; cioè, probabilmente, grandi invenzioni che stupiranno il mondo. Perciò Gesù, dopo aver detto che vi saranno sempre guerre e sommosse, pur non essendo ancora la fine, accenna specificatamente ai caratteri di quelle che preluderanno alla fine dell'iniquità ed alla fine del mondo: Si solleverà nazione contro nazione, e regno contro regno, cioè vi sarà una conflagrazione universale, una guerra universale, caratteristicamente tale per lo schieramento simultaneo di gruppi di nazioni contro gruppi di nazioni, e di gruppi di regni contro regni, coinvolgendo, quindi, repubbliche e monarchie.

Questo cataclisma sociale sarà accompagnato da grandi terremoti, da pestilenze e da carestie. In ogni tempo vi sono stati terremoti, pestilenze e carestie, ma questi flagelli nella grande conflagrazione saranno simultanei alla spaventosa guerra universale.

È una caratteristica che non potrà essere confusa con le solite perturbazioni del mondo e sarà tale da fare capire che qualche cosa di eccezionale sopravverrà alla terra.

Gesù determina anche meglio la natura delle due conflagrazioni finali, annunziando grandi persecuzioni contro la sua Chiesa e grande messe di martiri. E poiché Egli parlava ai suoi apostoli e discepoli, che sarebbero stati i primi ad incontrare la persecuzione, trascinati avanti alle sinagoghe ed ai re della paganità, li esorta a non temere e ad affidarsi compietamente allo Spirito Santo nelle contese che avrebbero avuto nei tribunali.

Gesù Cristo promette loro una sua assistenza particolare specialmente nelle discussioni, assistenza che si è constatata sempre nella passione dei martiri, a cominciare dai primi fino a quelli gloriosissimi della Spagna, dei quali, può dirsi, siamo stati testimoni noi stessi.

Gesù Cristo accenna alle persecuzioni che i suoi seguaci avrebbero subito persino da parte delle persone più care della famiglia, i genitori, i fratelli, i parenti e gli amici, a causa del suo Nome, e soggiunge che neppure un capello del loro capo sarebbe perito.

L'espressione sembra a primo aspetto che contraddica quello che dice al versetto 16, poiché è evidente che, se dovevano essere uccisi, sarebbe perita tutta la loro vita corporale. Gesù, però, voleva dire che ogni tormento avrebbe prodotto un frutto di eterna vita e che neppure un capello del capo sarebbe perito inutilmente. I suoi martiri avrebbero poi riacquistato il loro corpo nella risurrezione ed avrebbero riavuto tutto quello che avrebbero perduto per rendere testimonianza alla verità, e perciò soggiunse: Con la vostra pazienza salverete le anime vostre. La costanza nel patire per Dio, la pazienza nelle sofferenze, il sacrificio generoso di ciò che avevano di più caro avrebbe loro dato un godimento eterno nel cielo, ed allora tutte le pene sofferte sarebbero sembrate nulla, e tutto ciò che avrebbero perduto sarebbe sembrato un guadagno inestimabile.

sabato 5 novembre 2016

06.11.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 20 par. 3

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Le aberrazioni della statolatria

Presumere che lo Stato sia tutto, asservirvi gl'individui e riguardare la Chiesa poco meno che un'infima sua serva è errore carico di conseguenze disastrose per il mondo e per la sua stessa prosperità materiale. Le nazioni hanno molto dell'infantile nelle loro attività; passano dall'amicizia all'odio, dall'armonia alle guerre, dagli elogi scambievoli ai vituperi, con la più grande facilità, e si lasciano trascinare dall'opportunità del momento; non hanno né sapienza, né stabilità, né equilibrio nella loro vita, e vanno da un eccesso all'altro per le esigenze di quella sporchissima cosa che si chiama politica. Non possono dunque essere l'oggetto di una illimitata fiducia, tanto meno di un'idolatria, che, per la stessa forza materiale della quale dispongono, diventa oppressione esosa della coscienza, del pensiero e della libertà, e la conduce a rovina sicura.

Si rende a Cesare ciò che è di Cesare solo quando si dà a Dio ciò che è di Dio, perché è impossibile riguardare Cesare come un re indipendente ed assoluto, essendo anche egli figlio della Chiesa. Quando la Chiesa con la sua materna influenza non regola le nazioni, esse cadono nello stato nel quale le vediamo oggi, stato di abiezione che le rende tiranne coi sudditi anche il dominatore ingiusto col tributo che riceve concorre all'amministrazione pubblica, chi sottostà non compie opera illecita dando il tributo, ma vi è obbligato, pur essendovi costretto. La questione era questa dunque: chi dominava di fatto la terra d'Israele? E chi, dominandola, provvedeva alla sua amministrazione? Erano i Romani. Dunque, ai Romani si doveva il tributo. Le gabelle si pagavano in moneta romana, ed i contributi al tempio in moneta sacra; la moneta romana che si dava per tributo era in fondo una parte della moneta posta in circolazione dagli stessi dominatori; dunque, pagandola, si dava quello che era dell'impero romano, come dando al tempio la moneta sacra, si dava a Dio quello che da Lui era stato ordinato come riconoscimento del suo dominio.

Riferendosi a questi altissimi principi, per rendere più incisiva la sua risposta, Gesù si fece mostrare un denaro, che era la moneta delle gabelle, e domandò: Di chi è l'immagine e l'iscrizione che porta? Gli risposero: Di Cesare. Egli soggiunse: Rendete dunque a Cesare quello che è dì Cesare, e a Dio quello che è di Dio.

Gesù non volle creare un dualismo tra Cesare e Dio, né tanto meno porre Cesare alla pari con Dio; sarebbe una stoltezza immensa il supporlo; volle solo dire che bisognava rendere a Cesare il tributo amministrativo per dovere di giustizia sociale, come si dava a Dio il tributo sacro del tempio, quale dovere religioso per l'amministrazione del culto; Cesare non rappresenta un potere indipendente da Dio, né ciò che ha relazione allo Stato può rappresentarlo; tutto è sottomesso al Signore, re del cielo e della terra, ed è sottomesso alla Chiesa che ne rappresenta l'autorità; nessun governo può ardire di riguardarsi indipendente dalla verità e dalla morale che la Chiesa insegna, né può credere la Chiesa inferiore a quel tempo. Come materialisti disprezzavano profondamente l'insegnamento di Gesù, e prendevano innanzi a tutti un atteggiamento da superuomini e spregiudicati.

E l'atteggiamento di tutti quelli che hanno poca testa e presumono di averne molta.

Ora vedendo che gli scribi e farisei erano confusi innanzi a Gesù, credettero, come superuomini... da strapazzo, di poterlo essi confondere, e con alterigia, come si rileva dal contesto, gli proposero il caso di una donna che aveva avuto l'uno dopo l'altro sette mariti.

Nella risurrezione, esclamarono in tono da trionfatori, quella donna di quale dei sette sarà la moglie? Giudicando materialmente, essi supponevano che la risurrezione fosse un ritorno alla vita terrena con tutte le sue miserie e tutte le sue esigenze, e siccome non avevano visto mai un morto sorgere dalla tomba, negavano che la risurrezione potesse avvenire in futuro e che l'anima sopravvivesse al corpo. Perciò Gesù, rispondendo loro, distinse prima di tutto la vita di questo secolo da quella del secolo futuro dicendo: Ifigli di questo mondo si sposano e si maritano perché essendo mortali vogliono perpetuare la loro specie; ma quando passano all'altra vita e sono giudicati degni del cielo e della finale gloriosa risurrezione, non si sposano né si maritano perché sono immortali. Vivendo gloriosamente nel Paradiso, sono come gli angeli, sono figli di Dio adottivi, essendo figli della risurrezione, ossia figli di Colui che risorgerà dalla morte e darà ai fedeli, incorporati a sé, la grazia di una risurrezione gloriosa.

C'è un'allusione nascosta a se stesso in quelle parole: i risorti sono figli della risurrezione', Egli, infatti, era la risurrezione e la vita, e da Lui dovevano aspettare la risurrezione gloriosa i suoi fedeli. Gesù non parlò della risurrezione dei cattivi, che pure avverrà, perché essa rappresenta per loro una seconda morte, più terribile della prima, andando in perdizione anche col corpo; Egli, poi, rispose direttamente alla parabola proposta propri e prepotenti con le altre, fino a produrre le tristissime conflagrazioni sociali, delle quali siamo spettatori e vittime.

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Sac. Dolindo Ruotolo