sabato 10 giugno 2017

11.06.2017 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. III par. 2

2. Il mirabile discorso di Gesù Cristo a Nicodemo

Uno dei dottori della Legge, della setta dei farisei, stimato tanto da essere chiamato il maestro in Israele, come appare dal versetto 10 nel testo greco, andò da Gesù di notte per conversare con Lui, per constatare di persona chi fosse e quale valore avesse la sua dottrina, e per indagare sulle sue intenzioni e sui suoi disegni. Si chiamava Nicodemo e, benché avesse un nome greco, cosa abbastanza comune a quei tempi pur fra gli Ebrei integri e totalitari, che amavano la loro legge ed erano attaccatissimi alle loro aspirazioni.

Si rileva chiaro dal fatto che egli, sospirando al regno di Dio, e constatando i miracoli operati da Gesù Cristo, andò subito a visitarlo per indagare se fosse Lui il Messia, o se fosse almeno il profeta tanto atteso che doveva prepararne la via. Andò di notte sia per non compromettersi eccessivamente innanzi al popolo, e sia per avere un momento di maggiore calma per discutere, data l'affluenza di popolo che si determinava di giorno intomo al Redentore.

Nicodemo, uomo certamente retto, dovette essere favorevolmente impressionato dall'impeto di zelo col quale il Signore cacciò i profanatori dal tempio; gli piacque quell'impeto, fu per lui una rivelazione intema sulla rettitudine e santità di Gesù, ebbe cognizione o assistette ai miracoli da Lui operati in Gemsalemme, e pensò che in Lui doveva esserci qualche cosa di straordinario, sospettando persino, vagamente, che potesse essere proprio il Messia. Andò di notte, e notte era ancora nell'anima sua, titubante fra le correnti ostili che si erano determinate contro il Redentore nel sinedrio, al quale egli stesso apparteneva.

Psicologicamente, volendo introdursi a parlare, non volle mostrarsi personalmente conquiso, né volle compromettersi con qualche atto di deferenza personale; per questo parlò in plurale, quasi parlasse a nome di molti: Maestro, noi sappiamo che sei venuto da Dio per insegnare. E specificò con un certo senso di trepidazione e, inconsciamente, di salvaguardia della propria dignità di maestro, che i miracoli che faceva erano segno che Dio era con Lui.

E un momento psicologicamente sottilissimo del suo animo, che rivela la verità del racconto: a lui, maestro d'Israele per studio e dottrina, ripugnava mostrare d'essere andato per imparare, ed essendo parte del sinedrio, non voleva mostrare una piena adesione al Maestro divino; perciò disse implicitamente che si recava a parlare a Lui come ad un uomo straordinario, affermando però semplicemente che i miracoli che faceva rivelavano solo che Dio era con Lui. Si guardò bene dall'esprimere il suo pensiero che fosse proprio Lui il Messia, ma, salutandolo con quelle parole, avrebbe voluto che Egli stesso si fosse svelato per quello che era. Non è improbabile che Nicodemo fosse stato uno di quelli mandati in commissione da Giovanni Battista per indagare chi fosse, e che, avendo ascoltato dalla sua bocca l'annunzio del Redentore con accento di profonda convinzione, abbia voluto accertarsi di persona anche di Gesù Cristo, del quale sentiva già dire cose mirabili. Nonostante la rettitudine che aveva Nicodemo nell'interrogare Gesù, emergeva in lui la natura e il carattere dei farisei, sospettosi, circospetti, pieni di se stessi, e pieni della prudenza della carne; perciò il Redentore, quasi riflettendogli in pieno volto e nel fondo dell'anima un fascio di luce, rispose: In verità, in verità ti dico che se uno non nasce di nuovo non può vedere il regno di Dio. Queste parole erano divinamente comprensive: rispondevano al desiderio nascosto di Nicodemo di raggiungere il regno di Dio e di avvicinarsi al Messia, desiderio da lui non manifestato; gli facevano intendere che per conoscere la verità doveva come rinascere interiormente ed abbandonare i vani sistemi farisaici d'indagini sulla verità, e gli rivelavano l'essenza stessa della redenzione, che non consisteva in un regno temporale e glorioso d'Israele, ma principalmente in una rinascita spirituale.

Nicodemo, da buon dottore fariseo com'era, prese la frase alla lettera, e per quel senso di prevenzione diffidente che aveva, avendo sentito tante volte mormorare di Gesù come di un essere strano, rispose dottoreggiando, secondo l'indole e l'abitudine sua: Come può un uomo rinascere quando è già vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel seno di sua madre e rinascere?

L'insistere di Nicodemo sull'assurdo che gli sembrava essere in quella frase, e lo specificare che un vecchio non poteva rinascere, né alcuno rientrare nel seno materno, rivela la stranezza che egli sospettò nel Signore, e lo sforzo, magari subcosciente, che fece per disingannarlo di quella stranezza. È una profonda sottigliezza psicologica che manifesta l'animo del dottore della Legge, già avanzato negli anni, di fronte alla divina e fulgente giovinezza del Signore.

La scena era mirabile: in una modesta casetta, seduti di fronte, Gesù ed il dottore della Legge, al fioco lume d'una lampada, di notte. Fra le placide ombre che proiettava la lampada spiccava la luce divina nascosta tra le nubi dell'assunta umanità, e si moveva al palpitar della fiammella, sul muro, l'ombra di Nicodemo, quasi fosse egli medesimo il simbolo d'una lampada che si spegneva guizzando, e l'ombra d'un mondo che svaniva innanzi alla Luce divina.

Nicodemo, tutto avvolto nei suoi panni e nelle sue fìlatterie, ammantato di simboli, ed il Signore nello splendore della verità che compiva i simboli e fugava le ombre.

Nicodemo tutto preoccupato della stranezza d'un vecchio che rinasce e d'un parto da favola, e Gesù con la fronte mirabile, aperta agli splendori eterni, tutto compreso della rinascita dell'uomo per la grazia.

Rimasero un istante in silenzio; si guardarono: Gesù spirava amore, il Verbo che lo terminava in unità di persona splendeva dai suoi occhi cerulei; sfolgorava da quel vivo azzurro un lampo creativo, come sfolgorò sul nulla quando lo chiamò all'essere.

E rispose proclamando la nuova legge della nuova vita: In verità, in verità ti dico che se uno non nasce dall'acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio.

Intorno si dormiva, poiché era già notte profonda; si sentiva forse nel silenzio il respiro di una vita addormentata, tutta ristretta, nel sonno, alla vita fisica della carne; era un respiro che sembrava dominasse la morte, della quale era simbolo il sonno, era la carne che viveva e palpitava incosciente, esalante vapori di corruzione, albergo di un'anima ancora schiava, inerte, brancolante fra quelle tenebre...

Gesù soggiunse guardando l'umanità che dormiva, e si riproduceva nelle ombre della morte: Quello che è generato dalla carne è carne, e quello che è generato dallo spirito è spirito. L'uomo nasce dal padre e dalla madre nella carne, e rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo nello spirito; un principio esterno e materiale, capace di toccare la carne informata dall'anima ed uno interno e spirituale, capace di ridonare la vita, cioè la grazia dello Spirito Santo. Ciò che è generato dalla carne è carne, e sarebbe carne ugualmente se fosse rigenerato rinascendo nella carne; a che gioverebbe rinnovare la vita umana con tutte le sue debolezze e le sue miserie? Potrebbe mai rappresentare una rinascita di giustizia il discendere per la carne dal popolo ebreo? Forse una discendenza naturale può dare il diritto alla vita soprannaturale? O la redenzione può consistere nel glorificare con uno splendore politico la generazione dei discendenti dei patriarchi antichi? Le generazioni del popolo eletto dovevano semplicemente culminare nel Redentore promesso; dopo la sua venuta sarebbe vano ed ozioso un privilegio legato alla carne; doveva cominciare la generazione dello spirito, per la grazia dello Spirito Santo nell'acqua del Battesimo, doveva cominciare la nuova generazione del vero popolo eletto, quello dei figli che nascono da Dio per la grazia, nella Chiesa novella che Egli veniva a fondare.

Gesù Cristo parlava con sintesi divina, che a noi può apparire magari oscura, ma che rifulgeva per la sua grazia nell'anima di Nicodemo. È il modo di parlare proprio di Dio. Nicodemo era andato da Lui credendo, come Israelita, di aver diritto al regno di Dio, se gli fosse constato che Gesù era proprio il Messia promesso; Gesù invece gli apre gli orizzonti dello spirito e della generazione nuova nello Spirito Santo, e gli mostra chi può avere ingresso nel regno di Dio, non per diritto ma per la misericordiosa effusione della grazia. Il discorso era veramente divino, ed una solennità grande si diffondeva nella piccola camera semioscura, dalla quale il Verbo Incarnato proclamava la nuova economia della generazione dei giusti.

Gesù annunzia a Nicodemo il suo regno universale, ecumenico

La notte intanto avanzava, e col maggior raffreddamento dell'atmosfera cominciò a spirare prima una brezza e poi un vento. Può supporsi, giacché Gesù soleva prendere le immagini e le analogie del suo discorso dalle scene che si paravano innanzi ai suoi ascoltanti. Il vento sibilava fra le fessure della porta, ma non si scorgeva da qual parte venisse. Gesù soggiunse, confermando il suo altissimo concetto della rinascita spirituale non per diritto di eredità nazionale ma per elargizione gratuita di misericordia: Non ti meravigliare che ti ho detto: Bisogna che nasciate di nuovo. Il vento spira dove vuole e ne odi il suono, ma non sai da dove venga né dove vada; così avviene a chi è nato dallo spirito. E voleva dire: Come tu ascolti il sibilare del vento, e non conosci da dove venga né dove vada, poiché esso spira dove vuole, cioè è indipendente dalla tua volontà, e non puoi presumere che obbedisca ad un tuo disegno, così lo Spirito di Dio spira dove vuole, e non è costretto da pretesi diritti di razza.

Con queste parole Gesù Cristo demoliva tutta la mentalità di Nicodemo, rigido conservatore del principio fondamentale del suo popolo, d'essere una stirpe eletta e privilegiata, unica erede delle promesse; il pensiero di Gesù era chiarissimo, ma a Nicodemo sembrò impossibile la sua realizzazione, e perciò, quasi sgomento dall'idea di un regno universale, senza distinzione di razza o di nazioni, esclamò: Come mai può essere questo? Gesù gli rispose: Tu sei maestro in Israele o, secondo il greco, come si disse: Tu sei il maestro in Israele, il maestro per eccellenza, e non lo sai? In più parti delle Scritture, infatti, si parla dell'azione misteriosa dello Spirito Santo (Ez 11,19; 36,25; Zc 13,1, ecc.) ed in più parti si fa allusione al regno di Dio, universale e senza distinzione di razze, che doveva riempire tutta la terra.

A Nicodemo sembrò quasi che Gesù vaneggiasse, tanto gli sembrava utopistica l'idea di un regno universale, fondato non sulla forza e sulla politica, ma sull'azione dello Spirito Santo; rimase quindi perplesso, pensoso, e guardava il Redentore quasi per vedere se fosse in sé; si rileva chiaro dalla risposta di Gesù, il quale, penetrando il suo cuore e la sua mente, soggiunse: In verità, in verità ti dico che noi parliamo di quello che sappiamo, ed attestiamo quello che abbiamo veduto, e voi non accettate la nostra testimonianza. E voleva dire: tanto i profeti che hanno predetto il regno di Dio, quanto io stesso che in questo momento te lo annunzio, parliamo con piena coscienza di quello che diciamo, non solo, ma parliamo attestando quello che abbiamo veduto, cioè, per i profeti, quello che hanno visto per rivelazione divina, e per me quello che io stesso ho visto e vedo nel seno del Padre. Né le profezie, quindi, che ti ricordo né ciò che ti dico è vaneggiamento, ma è la testimonianza più autentica della verità, e ciò nonostante che voi scribi, farisei e dottori della Legge non accettiate la nostra testimonianza. Eppure ciò che ti dico, soggiunse Gesù, non è uno di quei misteri altissimi che si contemplano solo nel cielo, ma è un mistero di grazia che si compie sulla terra, e del quale voi potete vedere nella vostra medesima storia lo svolgimento graduale e mirabile; ora se non credete quando vi parlo delle cose terrene, cioè, secondo il testo greco, di ciò che avviene in terra, come crederete se vi parlerò delle celesti, cioè, secondo il greco, di ciò che è o che avviene in cielo?

Ti stupisci che ti parlo del regno di Dio in terra per la grazia dello Spirito Santo, e ti sembra una cosa incomprensibile, eppure ci sono misteri più grandi dei quali io non parlo, perché non li potresti intendere, misteri che sono nel regno eterno di Dio, come l'eterna generazione del Verbo, l'eterna processione dello Spirito Santo, l'Unità e Trinità di Dio, la gloria eterna e sostanziale di Dio, ecc.

Di questi misteri Gesù non parla a Nicodemo, ma poiché egli è andato da Lui per indagare se veramente è il Messia promesso, Gesù Cristo velatamente gli accenna alla sua divinità, alla sua umanità, all'economia della redenzione, alla necessità della fede per usufruirne ed al giudizio che Egli farà di tutti gli uomini.

Il discorso di Gesù Cristo a noi appare oscuro ed arduo senza una spiegazione, ma per Nicodemo era luminoso, giacché la luce del Signore gli penetrava l'anima e la illuminava. Per noi il discorso è come una lampada che ha bisogno di essere accesa per essere scorta nei suoi particolari, per Nicodemo era una lampada fulgentissima.

Avviene in piccolo anche a noi che comprendiamo od intuiamo perfettamente quello che un valoroso declamatore ci dice, e lo intuiamo, diremmo, non tanto per le parole o per i gesti che fa, quanto perché riflette nel gesto e nelle parole quello di cui egli vive intimamente.

L'attore veramente geniale è tale perché vivendo di ciò che dice, lo riflette fuori di sé, quasi in una proiezione spirituale; l'attore, al contrario, che si sforza di parlare e gesticolare macchinalmente, come trova scritto o come gli viene suggerito, non riesce a formare in noi con le sue parole un'immagine viva. Chi percepisce intensamente, per esempio, le movenze di una tigre, e la imita col gesto, la fa quasi vedere perché nel gesto proietta quasi l'immagine che ha nella fantasia.

È questa una riflessione di grandissima importanza, ed è una meschina analogia che ci fa intendere quale sublime e magnifica luce dovette inondare Nicodemo mentre Gesù gli parlava. Il Redentore non gli proiettava solo nell'anima, per così dire, un'immagine concepita nella fantasia, come può fare un oratore o un attore, ma gli proiettava la luce infinita della sua divinità e la luce soavissima della sua umanità. Per questo non è da stupire che Nicodemo diventasse fin d'allora suo discepolo, e gli fosse fedele anche nella tragedia del Calvario, curando la sepoltura del suo Corpo divino, perché non fosse profanato dai nemici.

Stavano di fronte Gesù e Nicodemo, e questi, al rimprovero fatto da Lui all'umana incredulità, dovette avere un sentimento di rammarico per la propria diffidenza, ed all'accenno di Lui alle cose celesti, dovette sentire un desiderio di conoscerle e scrutarle, perché spirava dal volto di Gesù qualche cosa di arcano, che faceva intuire l'arcano splendore dei cieli etemi. Nicodemo, al vedere in quel volto divino riflessa la luce celeste, dovette dire fra sé: che cosa vi sarà nel regno eterno? E chi è colui al quale io parlo? Non gli sembrava in quel momento solo il Messia promesso, ma qualche cosa di immensamente più grande; egli però non giungeva ancora a capire che il Messia era Dio stesso, l'eterno Verbo Incarnato, e patibolo, ammantato della veste del colpevole, guinosa degli uomini peccatori, come il serpente di bronzerei, immagine dei serpenti velenosi che mordevano gli Ebrei. Il mondo tutto, bruciato dalle piaghe del peccato, doveva volgere lo sguardo alla Vittima divina, doveva credere, incorporarsi a Lei, operare per Lei il bene, arricchirsi di meriti, e conseguire la vita eterna. Era questa l'economia della redenzione.

Nicodemo, come dottore della Legge, non ignorava certo l'episodio ricordatogli da Gesù, ma per l'interna luce che Egli gli comunicava nell'anima si sentì come in un mondo nuovo, capì il mistero di quella figura profetica, e ne fu sorpreso, ne godette, come gode chi vede risplendere la verità da poche parole semplici, e tacque pieno di ammirazione. Le parole dei profeti riguardanti l'immolazione del Redentore risuonarono nel suo cuore; guardò Gesù con grande compassione, intuendo che voleva immolarsi, e lo amò intensamente perché sentì in quelle parole che gli aveva detto tutto l'amore che lo comprendeva. Gesù, infatti, parlando velatamente del suo sacrificio, manifestò dal volto una tenerezza infinita, che avvolse Nicodemocome in un calore di misericordia e lo conquise. Egli però aveva un concetto severo di Dio, non immaginava tanta misericordia in tanta grandezza, non pensava che l'esigenza della sua giustizia potesse armonizzarsi con la sua pietà; perciò Gesù, rispondendo al suo pensiero, soggiunse che la redenzione era frutto dell'infinito amore di Dio, di un amore che era giunto fino a fargli donare il suo Figlio Unigenito, per dare la vita eterna a quanti avrebbero creduto in lui, riconoscendolo, accettandone la dottrina e praticandone i precetti.

Ma come si concilia questa misericordia universale col Dio della Sacra Scrittura, severissimo con gli empi pagani?

Nicodemo pensò allora ai pagani che opprimevano il popolo ebreo, pensò alle scelleratezze da essi commesse, ed al non intendeva ancora l'economia della redenzione; la sua fede stava ai confini della verità ma non li aveva ancora oltrepassati.

Gesù Cristo lo illuminò solo con un lampo di luce, in modo da gettare in lui il germe della verità senza forzarne la mente; il germe sarebbe a suo tempo spuntato. Se gli avesse detto in quel momento, apertamente: Io sono il Figlio sostanziale di Dio, Nicodemo si sarebbe smarrito; perciò, rispondendo all'intimo desiderio che aveva avuto di conoscere le cose celesti, soggiunse: Nessuno è salito in cielo e, secondo il testo greco che usa il passato, nessuno è stato in cielo all'infuori di colui eh'è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo che sta nel cielo. Delle cose celesti ed eterne, che non si svolgono su questa terra, voleva dirgli, può parlartene solo Colui che è stato nel cielo ab eterno, è disceso dal cielo, facendosi uomo, e sta nel cieloperché non cessa di essere Dio.

Non disse altro Gesù su questo grande argomento, ma Nicodemo sentì nell'anima sua lo splendore della luce divina, poiché chi gli parlava era proprio il Verbo eterno disceso dal cielo, il Verbo Incarnato per la salvezza di tutti. Questo era il concetto vero che doveva avere del Messia. Il Messia non era un profeta, e tanto meno un principe politico; era invece il Verbo di Dio Incarnato, vero Dio e vero uomo, esaltato non su di un trono di gloria, ma su di un patibolo d'immolazione per salvare le anime e dare loro l'eterna vita.

Gesù Cristo per gettare nell'anima di Nicodemo anche il germe di questa verità, gli ricordò il simbolo e la figura più ardua della redenzione, cioè il serpente di bronzo elevato da Mosè nel deserto per ordine di Dio, quando i figli d'Israele furono, per castigo, aggrediti da velenosi serpenti che li mordevano (Nm 21,9). Essi allora levavano gli occhi al serpente elevato su una specie di croce e, contemplando solo la figura di Colui che doveva immolarsi per tutti, erano guariti.

Il Verbo Incarnato sarebbe stato elevato non su di un trono, come pensavano allora i dottori della Legge, ma su di un giudizio terribile che meritavano, e dovette domandarsi internamente: come si concilia questa misericordia universale col giudizio severo promesso agli empi nelle Sacre Scritture? Il suo spirito, abituato a considerare i pagani come una massa dannata, e il popolo ebreo come l'unico erede della promessa, abituato a concepire il Messia come un re terribile e inesorabile, che doveva schiacciare ed annientare i nemici d'Israele, non sapeva capire come potesse attuarsi la redenzione senza una condanna inesorabile del mondo. Fu un pensiero che gli dovette sorgere in mente come un lampo, e può arguirsi dalla risposta di Gesù:

Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per condannarlo, ma perché il mondo per mezzo di Lui sia salvato.

Il giudizio severo ci sarà non contro le altre stirpi o nazioni, ma contro chi non crede in Lui', e non sarà neppure un giudizio fatto con apparati esterni di grandezza o di forza, poiché chi non crede nel Figlio di Dio, non usufruendo della sua misericordia, può dirsi già giudicato, perché rimane nel suo peccato e da se stesso si condanna, non avendo in sé la forza di risorgere e vivere la vita eterna.

Il giudizio, soggiunge Gesù per stabilire definitivamente l'esclusione assoluta di ogni principio di razza o di nazionalismo dal concetto della redenzione, non riguarda più la massa umana decaduta, perché la redenzione la rialza; riguarda gli uomini singolarmente che, avendo la luce, preferiscono le tenebre alla luce ed operano il male. Gli ignoranti, e quelli che senza loro colpa non hanno la luce ed operano naturalmente il bene, troveranno un giudizio di misericordia, i cui limiti li conosce Dio solo, ma quelli che facendo il male odiano la luce, e non vi si accostano, positivamente, per non sentire rimorso e non sentirsi rimproverare, saranno già giudicati, trovandosi fuori del regno di Dio. Chi opera secondo verità,cioè secondo la legge naturale posta da Dio nel cuore umano, s'accosta alla luce appena la vede e non ne ha timore, perché cerca il bene, simile a colui che, operando onestamente, non teme, come i ladri, la luce del giorno, ed anzi ha piacere di essere veduto nelle opere buone che fa.

La redenzione non è un trionfo politico...

E questa dunque la retta idea del Messia e l'economia della redenzione, espressa dal discorso di Gesù a Nicodemo: non si tratta di un trionfo politico esterno, riservato al solo popolo ebreo, ma di una rinascita spirituale nell'acqua del Battesimo e nello Spirito Santo, possibile a tutti gli uomini. Le idee di un diritto al regno di Dio conseguente alla generazione della carne e alla discendenza naturale dal popolo ebreo non reggono poiché il vero popolo eletto sarà quello formato dallo Spirito Santo per la grazia, sarà la Chiesa universale.

E questo ciò che hanno annunziato i profeti, ed è questo che annunzia Gesù, portando sulla terra, piena e completa la luce di Dio. Egli non è semplicemente Un uomo eletto e privilegiato, è Colui che era in principio presso Dio, è disceso in terra facendosi uomo, e non ha cessato di essere in cielo, essendo anche vero Dio. È disceso in terra per immolarsi ed essere innalzato sulla croce, e per salvare col suo sacrificio tutti gli uomini. Egli non limita il suo sacrificio ad alcuni soltanto, ma dà la pienezza della redenzione e dei meriti a tutti; tocca agli uomini usufruirne, credendo in Lui ed incorporandosi a Lui nella sua Chiesa. Dio, invece di colpire il mondo con un giudizio ed una condanna inesorabile, confesso meriterebbe, gli dà la massima testimonianza di amore, donandogli il suo Figlio, e glielo dona perché sia salvato credendo in Lui, operando per Lui il bene ed osservando i suoi precetti.

La redenzione quindi non è un giudizio di condanna ma un dono di misericordia; solo chi non l'accetta si condanna da se stesso.

Chi non conosce la redenzione senza sua colpa è già un redento poiché il Redentore ha salvato tutti ed ha pagato per tutti, virtualmente, il prezzo del riscatto. Se opera il bene, anche naturalmente, e vive secondo i dettami della legge naturale, appartiene all'anima della Chiesa e trova misericordia. Perisce chi, conoscendo la luce, preferisce ad essa le tenebre e vive da malvagio, odiando la luce per non lasciare la vita perversa che conduce.

Come si vede il discorso di Gesù non è involuto, è completo nella sua mirabile sintesi, degna della sua mente divina. Egli poi, parlando, come abbiamo detto, lo illuminava della sua luce e penetrava profondamente l'anima di Nicodemo.

Il Sacro Testo non ci dice che cosa abbia detto Nicodemo in fine del discorso, ma questa medesima reticenza ci fa capire che rimase in silenzio profondo, tutto compreso della verità che lo illuminava. Per la prima volta da che approfondiva la legge, aveva avuto un'idea chiara sul Messia e sulla sua divina Missione. L'anima sua ardeva in quel momento, poiché un mondo nuovo gli si era aperto davanti. Egli allora non seguì materialmente Gesù, ma gli rimase attaccato, e si propose di osservare attentamente come si sviluppasse la sua missione. Quando il sinedrio decise di far catturare Gesù ed ucciderlo, egli insorse per difenderlo, protestando che, secondo la Legge, non lo si poteva condannare senza ascoltarlo (7,50-51). Era ancora impressionato dal discorso di quella notte, e sperava che il sinedrio, parlandogli direttamente, si sarebbe ricreduto sul suo conto.

Rimase sempre... di notte, è vero, non osando apertamente schierarsi per il Redentore, ma lo fece con animo retto, stimando che, come parte dell'autorità suprema, egli non poteva impegnare il proprio giudizio in un fatto che aveva tanti aspetti di innovazione religiosa. Credette di attendere in un prudente riserbo, ed il Signore lo compatì, nella sua misericordia. Ma quando seppe che Gesù era stato crocifisso, e lo vide pendente dalla croce, allora certamente si ricordò delle solenni parole ascoltate nella beata notte nella quale gli aveva parlato: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che sia innalzato il Figlio dell'uomo, la sua fede si scosse, germinò, fiorì, e volle egli insieme a Giuseppe d'Arimatea togliere il Corpo divino dalla croce, diventando subito un seguace aperto del Maestro divino (19,39-41). Staccando il Corpo divino dalla croce ne contemplò le piaghe, e commovendosi si sdegnò contro il sinedrio che l'aveva così martoriato, ne contemplò la calma divina, ravvisò in quel volto l'amore col quale gli aveva parlato in quella notte e, staccandosi definitivamente dal sinedrio, si unì alla Chiesa nascente.

Sac. Dolindo Ruotolo

 

sabato 3 giugno 2017

04.06.2017 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. XX par. 4

4. Gesù Cristo appare agli apostoli

Dopo che Pietro e Giovanni tornarono dal sepolcro, e dopo il messaggio delle pie donne e della Maddalena, cominciò a nascere negli apostoli un po' di fede. Non era la fede profonda e completa di chi crede a Dio che rivela, riguardando come somma ragione la sua autorità, ma era come l'alba di questa fede, era come il rinascere di una speranza che sembrava già morta, era come il primo rinverdirsi d'un ramo spezzato dalla tempesta. Questo po' di fede, più naturale che soprannaturale in quel momento, fu la disposizione che rese loro possibile la grazia della rivelazione del Signore.

Essi erano in buona fede, in fondo, poiché non avevano capito i tratti della Scrittura che parlavano della risurrezione né ricordavano ciò che in proposito aveva loro detto Gesù; non rifiutavano di credere alla Parola di Dio positivamente, ma s'erano come smarriti nel labirinto delle loro idee e delle loro aspirazioni.

Il timore poi dei Giudei aveva fatto nascere in loro inconsciamente quasi il desiderio di sottrarsi, se fosse stato possibile, all'incanto ed al fascino di ciò che in tre anni avevano visto ed ascoltato.

La paura è sempre una pessima consigliera, e quando diventa panico cerca ogni scappatoia per sottrarsi al pericolo; se non in tutti gli apostoli e discepoli, almeno in alcuni subentrò un desiderio occulto di non pensare più al passato, di abbracciare un tenore comune di vita, e ritornare alle loro occupazioni; ne abbiamo un esempio nell'episodio dei discepoli di Emmaus, del quale parla san Luca (23,13-35). Il timore s'accrebbe negli apostoli per le stesse notizie che riguardavano la risurrezione. Certamente il Corpo di Gesù non c'era più nel sepolcro, e questo fece loro temere che le autorità li accusassero di averlo essi sottratto, iniziando contro di loro una persecuzione; perciò stavano guardinghi e tenevano ben chiuse le porte dove erano congregati. Ora mentre erano insieme, nella sera della stessa domenica della risurrezione, Gesù Cristo, senza bisogno di farsi aprire, entrò improvvisamente in mezzo a loro, e fermatosi disse: La pace sia con voi.

Nella sua misericordia e nel suo amore veniva per troncare la loro diffidenza, e per mostrare la realtà della sua risurrezione. Perciò, passato il primo momento di sbigottimento che si generò in essi a quella vista, li invitò ad avvicinarsi a Lui, e mostrò loro le mani piagate ed il costato aperto, affinché avessero avuto un argomento sensibile della realtà del suo Corpo, ed avessero constatato che quello era proprio il Corpo crocifisso tre giorni prima sul Calvario.