sabato 27 maggio 2017

28.05.2017 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. XXVIII par. 5

    5. Gli apostoli mandati da Gesù ad evangelizzare il mondo

Mentre i sacerdoti, gli scribi e i farisei cercavano con la più stupida calunnia di impedire il propagarsi della buona novella, Gesù Cristo con la sua divina autorità, investiva gli apostoli della loro missione e solennemente li mandava ad annunziare la verità a tutte le genti di buona volontà, battezzandole nel nome della Santissima Trinità, ed incorporandole al suo Corpo mistico. Egli mandandoli non li fece ministri di una vana eloquenza, ma ordinò loro di istruire le genti e di insegnare ad osservare tutto ciò che aveva loro comandato. La predicazione evangelica è perciò eminentemente didascalica, e non può perdersi in vane parlate, che servirebbero più a magnificare l'oratore che a dilatare il regno di Dio. L'esposizione delle verità, del resto, è l'eloquenza più bella che possa desiderarsi, poiché è luce che illumina la mente, ed è calore che riscalda il cuore e la vita. L'oratoria non è mai apostolato, anzi molte volte diventa vera causa dell'ignoranza che affligge l'anima cristiana. Bisogna darle definitivamente il bando, e ritornare alle forme di omelia e di catechesi che avevano le prediche nella Chiesa primitiva.

Mandando gli apostoli in tutto il mondo, Gesù Cristo, fece ad essi ed ai fedeli di tutti i secoli la consolante promessa di essere con la Chiesa e con loro fino alla consumazione dei secoli. Egli difatti è con noi vivo e vero, nella Santissima Eucaristia, ed è con l'autorità che regge la Chiesa, di modo che non può mai avvenire che la verità e la vita della Chiesa possano venir meno nel corso dei secoli. La promessa dell'indefettibilità del Corpo mistico del Re divino esclude nella maniera più categorica la fandonia di quelli, i quali affermano con tracotanza che la Chiesa ha deviato dal suo cammino. E un assurdo che contrasta con l'essenza della promessa del Redentore e con la testimonianza della storia. Se la Chiesa avesse deviato, Gesù non sarebbe stato con Lei e non l'avrebbe assistita; se avesse smarrito la verità, sarebbe perita, perché la sua vita sta tutta nella verità e nel bene. Ringraziamo Dio che Essa è invece più rigogliosa che mai, e cantiamo al Signore un inno di amore riconoscente, perché si è degnato di conservarci nel suo seno.

Per la presenza di Gesù Cristo, la vita della Chiesa è una meraviglia di luce, di fecondità e di forza spirituale, che trascende ogni umana immaginazione; per la presenza eucaristica, fiorisce nel suo seno l'eroismo più puro, ed Essa ascende sempre dalla povera valle dove peregrina fino al godimento eterno.

Nel suo mortale cammino è sempre assalita e combattuta, perché segue il suo Re appassionato, ma il sapere che Egli è con Lei, il constatarlo, il viverne è tale conforto, che muta tutte le sue battaglie in trionfi, e le fa godere nelle stesse angustie la pace più profonda. La frase del poeta venosino che il sole non ha visto mai nulla di più grande di Roma può applicarsi solo nella Chiesa se si vuol dare ad essa il valore del vaticinio. Roma pagana infatti in mezzo alle grandezze militari offrì uno spettacolo di tale miseria morale, da potersi dire che il sole non abbia visto nulla di più turpe; Roma pagana oggi è solo un insieme di rovine, che sono archeologicamente interessanti e rivelano una grandezza passata, ma che in fondo sono ruderi informi. Solo la Chiesa ha reso Roma il centro dell'impero del Re divino; solo la Chiesa, nonostante le inevitabili debolezze degli uomini che ne fanno parte, offre lo spettacolo di un impero di verità, di bene e di amore, dove la potestà che comanda non cerca la gloria ma il bene, non opprime ma guida, non sfrutta ma dona, e dona le ineffabili ricchezze spirituali che Essa possiede.

Quale società e quale istituzione può avere vivo in lei il suo fondatore? I mausolei e i monumenti più grandiosi non sono che pietre, e i resti mortali degli uomini illustri sono putredine e cenere. Solo la Chiesa possiede il suo Re risorto e immortale, lo possiede vivo e vero, l'adora, gli parla, gli si unisce, ne beve la vita, e si consola in Lui. Il sacro Tabernacolo eucaristico è più che un monumento; è l'Arca dov'Egli vive, ci si dona, e regna.

Per l'Eucaristia il dono della sua Parola diventa vita, immaginare il Vangelo senza il Tabernacolo eucaristico è come immaginare una statua senza movimento e senza respiro, o come il pretendere che un erbario possa essere lo stesso che la feconda campagna. Gesù Cristo è sempre con la Chiesa, e vi continua la sua vita ammirabile, riproducendola nel suo Corpo mistico, e comunicandola attraverso i Sacramenti; Egli è veramente con noi, perché ci genera, ci alimenta, ci istruisce, ci guida, ci sostiene, e ci porta alla vita eterna.

Sac. Dolindo Ruotolo

 

sabato 20 maggio 2017

21.05.2017 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. XIV par. 4

4. Credere attivamente osservando la Legge di Dio, farsi vivificare dallo Spirito Santo

Non bisogna supporre che per far vivere in noi Gesù Cristo basti uno sterile atto di fede o una più sterile invocazione fatta a fior di labbra. Per molte anime infatti la vera e profonda pietà potrebbe prendere l'aspetto di una poesia più o meno fantastica, o rivestire il carattere di un idealismo più o meno vaporoso. La pietà vera è via, verità e vita', è via che ci conduce a Dio ed all'eternità, è fondata saldamente sulla verità divina, ed è vita di Gesù Cristo. La nostra vita dev'essere nascosta con Gesù Cristo in Dio, e dobbiamo vivere noi, ma non noi, sebbene Gesù Cristo in noi, come dice in una sintesi mirabile san Paolo.

Per far vivere in noi Gesù Cristo è necessario amarlo praticamente, osservando i suoi comandamenti, e per far questo è necessaria la grazia. La grazia viene a noi dallo Spirito Santo, e perciò Gesù Cristo, dopo aver parlato del Padre e di Lui stesso, Figlio del Padre, accenna allo Spirito Santo, che realizza la nostra unione con Lui e ci rende glorificazione di Dio. Essendo poi Egli il nostro mediatore presso Dio come Verbo Incarnato, e potendoci Egli solo ottenere la grazia per amarlo e per osservare i suoi comandamenti, soggiunge: Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Paraclito, affinché rimanga sempre in voi lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede né lo conosce; voi però lo conoscerete perché abiterà con voi e sarà in voi. Paraclito significa difensore, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore, incitatore,colui che dà l'impulso; ora Gesù Cristo era per gli apostoli e per le anime tutte il difensore perché le liberava dalle insidie di satana, l'avvocato come dice san Paolo perché mediatore loro presso Dio, il consolatore perché effondeva in loro il balsamo della sua carità, l'intercessore, perché sempre vivente in preghiera per loro, l 'esortatore come Maestro divino, l'incitatore e colui che dà l'impulso, come nostro aiuto, nostro esempio e nostra vita. Egli quindi, come primo Paraclito, dovendo andare via dal mondo, e dovendo lasciare gli apostoli, promette loro un altro Paraclito, un'altra persona della Santissima Trinità, cioè lo Spirito Santo, che doveva essere per loro intimamente, e nella Chiesa ch'Egli fondava, difesa, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore, incitamento al bene ed impulso di vita novella nelle debolezze della natura.

Gesù Cristo promette questo altro Paraclito perché rimanga nelle anime che lo riceveranno e nella Chiesa ch'Egli vivificherà, e perché sia conservato integro il patrimonio della fede e la Chiesa viva nel perenne splendore dell'infallibile verità.

Lo Spirito di verità che il mondo rifiuta

E questo quello che distinguerà la Chiesa dal mondo e i cristiani dai mondani: lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere. Il mondo è spirito di menzogna e di malvagità; odia la verità e non la vuole conoscere; appare per quello che è, ripieno dello spirito satanico aggressivo, violento, crudele, calunniatore, scandalizzatore, ossia diametralmente opposto allo Spirito Santo, e quindi è chiaro che non potrà né vederlo né conoscerlo.

I cosiddetti grandi della terra hanno tutti, più o meno, i caratteri opposti allo Spirito Santo, ed in realtà sono obbrobrio e miseria, nonostante le loro apparenze gloriose; i fedeli invece, i veri fedeli, dovranno essere contrassegnati dallo Spirito di Dio, ed esserne ripieni.

sabato 13 maggio 2017

14.05.2017 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. XIV par. 2

2. Il luogo di eterna pace che Gesù ci dona e la via per giungervi. Gesù è la via, la verità e la vita. Il vero cammino di santità e la schiavitù d'amore

Gli apostoli erano rimasti turbati e sconvolti da quello che Gesù aveva loro detto, che sarebbe stato con loro solo per poco, e che l'avrebbero cercato, ma non avrebbero potuto seguirlo dov'Egli sarebbe andato allora (13,33).

Il loro turbamento era tanto più profondo, in quanto che ad essi sembrava svanissero di un tratto tutte le speranze che avevano concepito, e gli ideali che avevano sognato. Speravano ancora che Gesù avesse dovuto trionfare clamorosamente e politicamente dei nemici d'Israele, e inaugurare un regno glorioso, nel quale essi avrebbero avuto posti eminenti; speravano che questo dovesse presto avverarsi, e pregustavano forse, fantasticamente, la confusione che avrebbero avuto i suoi nemici; ora il sentir parlare di tradimento, ed implicitamente di morte, li turbava e disorientava. Per questo Gesù rincuorandoli disse: Il vostro cuore non si turbi, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me; cioè: abbiate fede in Dio che saprà compiere le sue promesse, ed abbiatela anche in me, che non vi lascerò delusi nella speranza che avete riposta in me.

Al dolore per la mancata realizzazione delle loro speranze e dei loro sogni si univa, negli apostoli, quello per essi anche più penoso della separazione dal loro amatissimo Maestro. Le sue parole, infatti, erano un annuncio di prossima morte, ed essi pensavano angosciati che non l'avrebbero più veduto. Per questo Gesù soggiunse che Egli se ne andava per preparare loro il posto, giacché nella Casa del Padre suo c'erano molte dimore. Se non fosse così - soggiunse - ve lo avrei detto, cioè mi sarei licenziato da voi definitivamente; ma io verrò di nuovo, vi prenderò con me, e sarete anche voi dove io sarò.

Come padre amoroso, per non scoraggiarli, prospettò l'epilogo del loro pellegrinaggio ed il premio che avrebbero avuto un giorno, ma certo questo epilogo di gioia non sarebbe avvenuto né presto né senza lunghe e penose prove, delle quali tante volte aveva loro parlato, e delle quali dava l'esempio, e perciò soggiunse: Voi sapete dove io vado e ne sapete la via. Non volle parlar esplicitamente del cammino della croce, ma si richiamò con una sola espressione a quello che tante volte aveva detto, per non disorientarli in quel momento di angoscia. Tommaso prese l'espressione di Gesù in senso materialmente letterale e, immaginando che Gesù volesse fare un viaggio lontano, disse: Signore, noi non sappiamo dove tu vada, e come possiamo conoscerne la via? Con una parola sublime Gesù rispose a lui, aprendo all'umanità un orizzonte magnifico di ascensioni, e disse: Io sono la via la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per me. Egli è la via, l'unica via di salvezza, perché coi suoi meriti riconcilia gli uomini con Dio, li muove con la sua grazia, li illumina e li dirige coi suoi esempi e con la sua dottrina.

Egli non traccia solo la via della salvezza, ma è la via della salvezza, di modo che nessuno può andare a Dio se non per Lui, incorporandosi a Lui, e lasciandosi portare da Lui.

La via è un tratto immobile, che congiunge due termini lontani. Napoli, per esempio, è lontana da Roma, e nessuno stando in questa città può trovarsi a Roma. La via congiunge questi due luoghi, e rappresenta il prolungamento dell'uno verso l'altro. La via partecipa quindi dei due luoghi che congiunge: Roma - Napoli e Napoli - Roma.

Gesù Cristo è Dio e uomo, e congiunge in sé questi due termini infinitamente distanti; chi va a Lui Redentore, si avanza verso Dio, ed a misura che più si stacca da sé e più si congiunge a Lui, più si trova vicino a Dio e più lo raggiunge. La perfezione è in fondo un progredire in questa unione di amore, un perdere di vista sempre più se stesso, ma congiungersi maggiormente a Lui, fino quasi a combaciare col punto di arrivo cui Egli ci porta.

Gesù Cristo è la verità prima ed essenziale, poiché è l'infinita ed eterna sapienza, conoscenza sostanziale ed infinita del Padre. Dio è colui che è; è la verità, l'unica verità dalla quale dipendono tutte le altre, l'unico assioma infinitamente vivente. Chi va a Dio deve conoscerlo per amarlo, e non può conoscerlo fuori di Gesù Cristo, che ce lo rivela in tutte le verità che ci annunzia. Noi non siamo capaci di conoscere l'eterna verità senza di Lui, e non possiamo quindi ascendere a Dio, conoscendolo ed apprezzandolo sopra tutte le cose, che unendoci a Gesù Cristo con una pienissima fede.

Gesù Cristo come Dio è la vita per essenza, e come uomo è la causa meritoria della vita soprannaturale che ci viene comunicata per mezzo della grazia e della gloria.

Egli ci vivifica, e da Lui dobbiamo attingere la vita, comunicandoci di Lui.

sabato 6 maggio 2017

07.05.2017 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. X par. 2

2. La soave parabola dell'ovile è della pecorella. Gesù Cristo è la porta

Gesù Cristo, addoloratissimo perché i capi del sinedrio avevano cacciato fuori della sinagoga il cieco nato da Lui guarito, volle mettere in guardia il popolo contro quelli che si arrogavano il diritto di guidarlo, non per nutrirlo spiritualmente, ma per sfruttarlo ed allontanarlo dalle fonti della grazia.

Era infatti terribile la situazione delle anime proprio in quel tempo nel quale il Signore compiva le promesse fatte nel corso di tanti secoli, e nel quale si apprestavano loro i pascoli abbondanti della verità e della grazia. Quelli che avrebbero dovuto condurle a questi pascoli, e Che avrebbero dovuto far loro riconoscere il Redentore alla luce delle profezie, delle promesse e delle figure che in Lui si compivano, le allontanavano da Lui con tutte le arti più scellerate, tradendo così il mandato avuto da Dio. Essi attribuivano a fanatismo il movimento del popolo verso Gesù, e credevano che Egli lo sobillasse; rifiutavano qualunque luce e, lungi dal commuoversi di fronte a miracoli strepitosi, ne pigliavano occasione per invelenire di più contro il Redentore, e per bistrattare quelli che lo seguivano. Avrebbero dovuto per i primi accoglierlo, ricevere da Lui il mandato di pascolare il gregge e condurlo nelle vie della salvezza ai pascoli eterni; invece lo rinnegavano, e perciò stesso rappresentavano degl'intrusi.

Essi non avevano più il mandato da Dio di guidare le anime, dal momento che rifiutavano di ricevere Colui del quale avrebbero dovuto essere come i precursori ed i rappresentanti, e poiché cercavano di conquistare le loro cariche con intrighi, anche per questo erano degl'intrusi, e rappresentavano per le anime un pericolo.

Gli scribi e i farisei avevano cacciato il cieco guarito dalla sinagoga, solo perché non si era prestato a svalutare il miracolo ricevuto, ed aveva proclamato Gesù un profeta, cercando di dimostrarlo proprio col miracolo ricevuto; avevano preteso con questo di esercitare la loro autorità, senza pensare che dal momento che s'erano compiute le promesse, le figure e le profezie in Gesù, essi non avevano più il diritto di pascolare le anime se non per suo mandato. Qualunque autorità che non faceva capo a Lui, pastore divino del popolo, era un'intrusione e si riduceva ad un massacro di anime. Questa grande e scottante verità Gesù Cristo la espresse con una parabola tratta dagli usi che i pastori avevano nel custodire e pascolare le pecorelle.

In Oriente gli ovili erano dei vasti recinti chiusi o da palizzate o da mura rozzamente elevate, che servivano a difendere il gregge dagli animali feroci o dai ladri. Una porta immetteva in questi recinti, dove la sera si radunavano le pecorelle di vari pastori, i quali, andando a dormire, vi lasciavano un vigilante custode per la notte. Al mattino ciascuno ritornava a rilevare le proprie pecorelle, ed esse, riconoscendo la voce del proprio pastore, lo seguivano, ed uscivano con lui per andare ai pascoli. Un ladro, che avesse voluto rubare una pecorella, non entrava certo dalla porta, ma scavalcava il muro o la palizzata, e le pecorelle, non riconoscendone la voce, lungi dal seguirlo se ne spaventavano e lo fuggivano. Gesù perciò disse: Chi non entra per la porta dell'ovile, ma vi sale per un 'altra parte, è ladro ed assassino. Chi invece entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il guardiano, e le pecorelle ne ascoltano la voce, ed egli chiama per nome le sue pecore e le conduce fuori. E quando ha fatto uscire le proprie pecorelle cammina innanzi ad esse, e le pecorelle lo seguono perché ne conoscono la voce. Ma non vanno dietro a uno straniero, anzi lo figgono, perché non conoscono la voce degli estranei.

Gli scribi e farisei che lo ascoltavano non compresero di che cosa parlasse loro, perché erano tanto lontani dal considerarsi come pastori delle anime, ed ancora più lontani dall'intendere che da allora nessuno poteva più pascolare le anime senza riceverne da Gesù il mandato. Perciò Gesù soggiunse: In verità, in verità vi dico che io sono la porta delle pecorelle. Quanti sono venuti prima di me sono tutti ladri ed assassini e le pecorelle non li hanno ascoltati. E voleva dire: Io sono la porta che introduce le pecorelle nell'eterno ovile, e che per introdurvele le conduco ai pascoli salutari; tutti quelli che sono venuti a reggere le anime senza guardare a me, promesso da Dio come salvezza o a me venuto in terra come Redentore, non sono stati pastori, ma ladri ed assassini di anime. Quanti sono venuti, e il greco aggiunge: prima di me, cioè senza sospirare a me o credere in me, hanno strappato alle anime la fede, hanno fatto loro sognare un regno temporale, e perciò le hanno uccise eternamente, allontanandole dai pascoli della vita. Per insistere sul suo concetto e per estenderlo agli uomini di tutti i tempi, Gesù Cristo soggiunse: Io sono la porta. Chi entrerà per me sarà salvo, ed entrerà ed uscirà e troverà pascoli. Entrerà nel mio ovile trovandovi il riposo, uscirà ai pascoli nella mia Chiesa, e li troverà abbondanti, entrerà nel regno eterno, e si dilaterà nell'eterna felicità, trovando ogni diletto.

Ritornando ai pastori che entrano nell'ovile non per condurre al pascolo le pecorelle ma per sfruttarle, Gesù soggiunse che essi sono ladri e vengono per rubare, uccidere e disperdere il gregge. Rubano loro la fede, ne uccidono l'anima, e le disperdono nella via dell'eterna rovina. Egli invece è porta delle pecorelle e porta per la quale entrano i veri pastori, perché unico supremo pastore delle anime, è venuto in terra perché esse abbiano la vita e l'abbiano abbondantemente.