sabato 30 luglio 2016

31.07.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 12 par. 3

3. Non preoccuparsi dei beni terreni e vivere confidando in Dio. La forte base del carattere cristiano

Mentre Gesù parlava per gettare nei suoi discepoli e nella sua Chiesa le basi granitiche d'un forte carattere cristiano di fronte alle lotte ed alle persecuzioni, un giovane dalla turba lo interruppe pregandolo di intervenire con la sua autorità presso un suo fratello, per la divisione dell'eredità. Per simili questioni di testamenti e di eredità spesso i rabbini erano chiamati come giudici, e quel giovane, appellandosi a Gesù, volle appellarsi al più autorevole dei maestri.

Il Redentore guardava in quel momento i secoli futuri, considerava il cammino della sua Chiesa nel mondo, e gettava le basi del carattere cristiano di fronte alla vita terrena; si direbbe che era tutto preso da questa grande idea, e per questo si rifiutò di giudicare dicendo: O uomo, chi mi ha costituito giudice o arbitro tra voi?

Egli era giudice di tutti, e poteva essere arbitro, ma in quel momento si occupava della sua grande missione di Redentore, pensava alla Chiesa sua e protestava che Egli non era venuto per trattare di misere questioni di avarizia o d'interesse e non era costituito capo dell'umanità per questo.

Evidentemente quel giovane contendeva col fratello non per una questione di giustizia, ma di avarizia e domandava l'intervento di Gesù non per farlo arbitro assoluto, ma per avere da Lui una sentenza favorevole alla propria avidità; ora, Gesù non era costituito giudice ed arbitro per secondare l'avarizia e l'ingiustizia. Egli, poi, guardò più lontano e rispondendo a quel giovane, volle gettare una altra base del carattere cristiano, dicendo a tutti: Guardatevi con grande cura da ogni avarizia, poiché la vita dell'uomo non sta nella sovrabbondanza dei beni che possiede.

I beni materiali non sono la vita dell'uomo, né possono costituire la sua meta; tanto meno può costituirla l'avidità di questi beni; il concentrarsi in questa sola preoccupazione è causa della viltà del carattere, poiché l'uomo non ha il coraggio di affrontare il mondo e la tirannide quando vuol salvare i propri interessi temporali, il proprio posto, l'impiego e la situazione nel mondo.

Egli allora diventa servile, condiscende alla prepotenza degli empi, dissimula la propria fede ed i propri doveri, è praticamente apostata della verità e del bene. Il non riporre la fiducia nei beni terreni ed il non preoccuparsene è essenziale al carattere cristiano, perché l'arma preferita dai tiranni è proprio quella di spogliare e di affamare; per questo Gesù provò con una parabola quanto fosse vano riporre la speranza in quei beni che si debbono lasciare e quanto fosse stolto compromettere la propria situazione eterna per quello che è fugace e non può conservarsi.

Se ciò che si può avere in terra durasse sempre, sarebbe meno stolto attaccarvisi; ma, sapendo che inesorabilmente passa, e che è per noi una posizione provvisoria, è vera stoltezza stabilirvi il cuore.

sabato 23 luglio 2016

24.07.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 11 par. 2-3

2. La preghiera insegnataci da Gesù Cristo, mirabile direttiva di tutte le nostre preghiere

Gesù Cristo, com'era solito, s'era appartato in un luogo solitario per pregare, ed uno dei suoi discepoli, notando la grandiosa elevazione del suo spirito e l'illuminazione amorosa di tutta la sua persona, fu preso da un grande desiderio di pregare come Lui e gli disse: Insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. E chiaro da questa domanda e da luoghi paralleli, che gli apostoli riconoscevano di non saper pregare ed avevano un desiderio tanto più intenso di farlo, quanto più affascinante era il loro Maestro nell'orazione.

Allora Egli rifulgeva di amore e di maestà e conquideva suscitando desideri di unione con Dio; la trasfigurazione del Tabor in fondo, fu una delle manifestazioni più belle della sua preghiera e ci dà un'idea della grandiosa maestà che Egli aveva quando si rivolgeva al Padre.

Egli, infatti, non era figlio di adozione ma consustanziale al Padre; non lo pregava perché avesse bisogno di domandare, ma per lodarlo, benedirlo ed amarlo in nostra vece, e mettere così per noi quella base di meriti che mancavano alla nostra preghiera.

Domandava per noi, amando, in una perfettissima unione col Padre, ammirando ed adorando i suoi disegni nella stessa luce dell'infinita sua sapienza e rifulgeva di singolare ed arcana bellezza che affascinava e conquideva.

Come uomo e mediatore degli uomini Egli supplicava il Padre per le nostre necessità ed aveva sul volto tutto il fulgore della carità; come Figlio di Dio Egli lodava, benediceva ed amava il Padre, e splendeva dell'eterna Luce. Aveva la maestà di Dio e la tenerezza della più soave dolcezza: immobile, con lo sguardo al cielo e le braccia aperte in un'espansione di amore, aveva il sorriso della più profonda intimità con Dio, e nello stesso tempo lo sfiorava l'angustia delle nostre necessità; tutto questo costituiva uno spettacolo ineffabile per gli apostoli, benché essi non giungessero ancora ad apprezzarne il valore.

E evidente che Gesù Cristo, assentendo alla supplica rivoltagli dal discepolo in nome di tutti, dette una formula di preghiera che era l'eco della sua medesima orazione. San Luca non la riporta alla lettera e tralascia qualcuna delle domande, abbreviandola, forse perché conosciutissima e di uso comune, ma nella medesima formula più sintetica che ce ne dà, c'è la sostanza di quella preghiera, e nella sintesi stessa il Signore vuole ammonirci che non ha voluto darci strettamente una formula esclusiva di preghiera, ma ha voluto tracciarci le linee direttive di tutte le nostre preghiere. Il Pater noster, se può dirsi così, è come bussola che orienta nella giusta direzione le nostre preghiere, e per questo la Chiesa ce lo fa recitare sempre al principio ed al termine di tutte le ore canoniche, quasi per determinare innanzi a Dio il preciso significato e l'intenzione di tutte le sue petizioni.

sabato 16 luglio 2016

17.07.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 10 par. 5

5. Marta e Maria. Porro unum est necessarium. La profondità di questa parola

Mentre Gesù andava verso Gerusalemme, sostò in un villaggio chiamato Betania, e si trattenne in casa di una famiglia a Lui devota, la famiglia di Lazzaro. Questi aveva due sorelle: Marta, forse la maggiore, che si occupava principalmente delle faccende di casa, e Maria, che comunemente s'identifica con la Maddalena, convertita già da Gesù. Marta, volendo fare gli onori di casa a Gesù, era tutta in faccende per preparare il desinare e, vedendo che la sorella stava ai piedi di Gesù, estasiata nell'ascoltarlo, ne fu contrariata e se ne lamentò col Signore.

Le sembrò un egoismo quello di Maria ed anche una oziosità, quando c'erano tante cose da fare. In quel momento per lei le cose spirituali non avevano alcun valore. Ma Gesù dolcemente la rimproverò dicendole: Marta, Marta, tu ti affanni e ti turbi di molte cose. Eppure una sola cosa è necessaria. Maria ha eletto la parte migliore che non le sarà tolta.

In queste parole in apparenza così semplici c'è tutta la valutazione della vita umana sulla terra, ed un ammonimento agli uomini per il vano affannarsi intorno a ciò che passa. Quelle parole: Porro unum est necessarium, dovrebbero esserci scolpite nel cuore e diventare la regola delle nostre attività. I mondani, infatti, vivendo per questa terra soltanto, senza pensiero dell'eterna vita, credono non solo della massima importanza il badare alle cose temporali, ma addirittura ozioso e vano l'occuparsi delle cose spirituali. Anche quelli che credono di avere una certa stima delle cose spirituali tengono in gran conto la vita attiva, e l'occuparsi massimamente di soccorrere gl'infelici temporalmente, stimando inutile e vana la vita di preghiera e di contemplazione.

domenica 10 luglio 2016

09.07.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 10 par. 4

4. Amare Dio e il prossimo: la grande via della salvezza e della pace

Un dottore della Legge che seguiva Gesù per scrutarlo, e forse per vigilarlo, ascoltando le sue allusioni al compimento della speranza dei re e dei profeti ed alla beatitudine di quelli che vi prendevano parte, volle metterlo alla prova; cioè con una domanda schiettamente spirituale. Egli volle vedere quali nuove teorie avesse insegnato in contrasto con le antiche. Il momento psicologico, diciamo così, del dottore fu questo: Gesù parlava del compimento del regno messianico, ma non diceva esplicitamente in quel momento che il Messia era Lui; il dottore volle scrutare quale fosse il suo preciso pensiero: domandò che cosa dovesse fare per possedere l 'eterna vita, per dissimulare la sua intenzione di scrutarlo e per vedere, dopo questa prima domanda, quale nuova concezione Egli avesse del regno trionfante d'Israele ed in qual modo se ne dichiarasse propagatore.

Il dottore domandò: Maestro, che devo fare io per possedere l'eterna vita? Si aspettava da Gesù un'esposizione novella di vie peregrine di salvezza e si aspettava che gli dicesse: «Devi credere in me, devi seguirmi, devi servirmi». Le parole di Gesù, ripetiamolo per maggior chiarezza, che alludevano a nuove rivelazioni fatte ai piccoli, alla conoscenza del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre ed alla beatitudine di chi assisteva al compimento delle antiche promesse, figure e profezie, gli erano sembrate estremamente presuntuose, e sperò, con questa domanda sull'eterna vita, di metterlo alla prova, cioè alle strette; fargli confessare il suo pensiero, e poi costringerlo a riconoscerne la falsità, secondo lui.

Gesù però non era venuto per distruggere la Legge ma per compierla, ed invece di annunziare cose nuove domandò Egli stesso al dottore che cosa stesse scritto nella Legge, rimandandolo così per la risposta a quello che Dio aveva già detto, e soggiunse: Come vi leggi tu? Che cosa cioè vi sta scritto su questa questione fondamentale, e come tu intendi ed interpreti la Parola di Dio? Il dottore rispose citando quel precetto della Legge che gli Ebrei solevano recitare mattina e sera e che conoscevano benissimo: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore con tutta l'anima tua, con tutte le tue forze, e con tutta la tua mente ed il tuo prossimo come te stesso (Lv 19,18). Gesù gli soggiunse: Hai risposto bene; fa ' questo e vivrai.

sabato 2 luglio 2016

02.07.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 10 par. 2

2. Gesù istruisce i settantadue discepoli

Avvicinandosi il termine della sua missione, Gesù Cristo volle moltiplicare i ministri della sua parola per divulgarla in tutta la Palestina con maggiore sollecitudine, ed elesse settantadue discepoli, ai quali diede speciali facoltà. Essi non erano al medesimo grado degli apostoli, ma immediatamente inferiori, e poiché gli apostoli erano i primi vescovi del mondo, con a capo san Pietro, i discepoli eletti ne erano come i sacerdoti. La gerarchia così cominciò a formarsi sotto la direzionedi Gesù stesso: Lui, capo di tutti, san Pietro capo degli apostoli e suo vicario per essi e per la Chiesa, i settantadue discepoli cooperatori immediati suoi e degli apostoli. Egli li mandò, infatti, in ogni città dove stava per andare, per preparare le anime alla sua venuta, e li dispose a questa missione con salutari precetti.

Prima di tutto ispirò loro la sollecitudine per le anime dicendo: La messe è molta e gli operai sono pochi. Essi erano pochi e le anime da curare moltissime, quasi messe che doveva raccogliersi; dovevano perciò avere una grande sollecitudine nel lavorare e non preoccuparsi delle loro comodità. Erano pochi, e perché Gesù non ne aveva eletti di più? Perché la vocazione e l'attitudine ad una missione soprannaturale sono frutto di grazie che non tutti accettano e, per riceverle e corrispondervi, bisogna pregare intensamente.

E il Signore che manda gli operai nella sua vigna, e Gesù stesso elesse gli apostoli ed i discepoli dopo lunghe preghiere al Padre. La preghiera è nelle nostre mani come la nostra onnipotenza, e Dio ce ne rende capaci e la richiede perché anche noi cooperiamo alle grandi opere del suo amore. Egli potrebbe formare anche dalle pietre i figli di Abramo, ma vuole che noi cooperiamo sia all'elezione di quelli che debbono essere ministri della loro formazione, sia alla loro salvezza. Questa grande legge di amore e di fecondità ci mostra quanto Dio ci ami, e quanto delicatamente rispetti la nostra libertà e la grande dignità che Egli ci ha dato