sabato 27 febbraio 2016

28.02.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 13 par. 2

2. Senza la penitenza si va in perdizione. Quando Dio chiama bisogna rispondere se non si vuole essere recisi dalla vita come fico infruttuoso

Mentre Gesù parlava al popolo, vennero alcuni a raccontargli di una strage compiuta da Pilato nell'atrio del tempio per soffocare una ribellione di popolo, e propriamente di Galilei. Spesso avvenivano queste ribellioni in occasione di feste religiose e quindi di maggiore assembramento di popolo, e perciò i Romani avevano un presidio stabile nella fortezza Antonia per soffocarle a tempo nel sangue. La storia non ricorda la strage fatta da Pilato, la quale dovette essere una di quelle tante repressioni sanguinose comuni ai dominatori Romani; ma è evidente dal contesto che quelli che ne dettero annunzio a Gesù erano ancora sotto un'impressione di terrore.

Gesù Cristo non considerò la causa politica di quella strage, ma la causa morale, che era il maledetto peccato, e richiamò tutti alla penitenza. Le ribellioni non giovavano a nulla, quando la causa dell'oppressione straniera stava nell'infedeltà alla Legge di Dio; invece di ribellarsi era necessario riparare le colpe e conciliarsi la misericordia di Dio.

Forse alcuni di quelli che portarono la notizia della strage fatta da Pilato ebbero anche l'intenzione di provocarne una condanna da parte di Gesù, ed avere così occasione di accusarlo al governatore; ma il Redentore con la sua divina risposta non diede loro il pretesto di malignare, anzi li richiamò al dovere della penitenza per richiamarli alla responsabilità che essi avevano in quella pubblica calamità, ed in quella della rovina della torre di Siloe, che, secondo la tradizione, fu provocata dal medesimo Pilato.

sabato 20 febbraio 2016

21.02.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 9 par. 6

6. La trasfigurazione di Gesù Cristo

Le lotte contro Gesù aumentavano sempre, di giorno in giorno, poiché i sacerdoti, gli scribi e i farisei, non ammettendo in Lui una missione divina, credevano insopportabile che Egli insegnasse e facesse proseliti. Queste lotte, prima latenti, cominciarono a diventare più manifeste e sfacciate, scrollando anche la fede degli apostoli, già abbastanza fiacca. Era necessario perciò, per la gloria stessa di Dio, mostrare almeno un raggio di quella divina Maestà che tutto avvolgeva il Signore e che dovrà un giorno risplendere della sua santissima Umanità innanzi a tutte le genti.

Con la divina sobrietà che distingue tutto ciò che viene da Dio, Gesù credette opportuno mostrarsi innanzi a tre testimoni soltanto della terra, ed a due testimoni del cielo: Pietro, Giacomo e Giovanni in rappresentanza degli uomini, Mosè ed Elia in rappresentanza di quanti avevano sospirato alla redenzione nell'Antico Patto. La Legge diceva, infatti, che nella bocca di due o tre testimoni stava la verità.

Se Gesù si fosse svelato innanzi a tutti gli apostoli, si sarebbe determinato un movimento di entusiasmo che Egli voleva evitare, ed i nemici ne avrebbero preso pretesto per intensificare la lotta. D'altra parte, se i tre testimoni prescelti capirono poco della grandiosa manifestazione, la massa ne avrebbe capito ancora meno, e nell'entusiasmo del momento avrebbe reso vano l'altissimo scopo per il quale Gesù Cristo si svelava.

San Pietro voleva stabilirsi sul monte e farvi tre tabernacoli, gli apostoli ed i discepoli sarebbero andati più in là ed avrebbero provocato un movimento capace d'intralciare tutto il piano di Dio. Gesù, poi, agiva per la Chiesa, principalmente per la Chiesa, e voleva lasciare nella Chiesa una testimonianza della sua divina gloria, affinché nei secoli futuri si fosse meglio capito che se Egli era veramente uomo, era anche veramente Dio. Bastavano perciò tre testimoni capaci un giorno di riflettere sulla grande manifestazione, intenderne il significato, e trasmetterne la testimonianza alla Chiesa.

Prese, dunque, Gesù con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, e salì sopra un monte per pregare. Siccome Egli pregava quasi sempre di notte, deve supporsi che era già calata la sera quando vi s'incamminò coi suoi. È chiaro anche dal fatto che gli apostoli furono aggravati dal sonno: dopo una giornata di movimentata attività, nella calma solitudine del monte, per la stessa umidità dell'ambiente, si capisce che poterono essere presi dal sonno. Essi però, essendo andati con Gesù per pregare, si sforzavano di tenersi desti, come può ricavarsi dal testo greco, il quale dice che stavano svegli malgrado il sonno e poterono accorgersi della grandiosa scena che si svolse sul monte.

sabato 13 febbraio 2016

14.02.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 4 par. 2-5

2. Il mistero delle tentazioni di Gesù nel deserto

Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, essendosi assoggettato a tutte le nostre pene, volle ancora subire le tentazioni di satana. San Luca dice chiaramente al versetto 13 che il diavolo, dopo averlo tentato nel deserto, partì da Lui per ritornare in altro tempo, o come dice il testo greco: Fino ad un tempo propizio. Questo indica che Gesù non subì solo la tentazione nel deserto e che satana, benché sconfitto, ritornò altre volte all'assalto contro di lui. Nell'Orto del Getsemani e

nella Passione lo assalì certamente, non solo nell'interno dell'anima, ma anche servendosi degli uomini perversi che lo tormentarono; lo si rileva dal contesto medesimo dei Vangeli, dall'angustia che manifestò Gesù nell'orto e dalla crudeltà dei suoi nemici, inspiegabile senza una intensa suggestione diabolica. Ma oltre le tentazioni che ebbe nella Passione si può supporre che ne abbia avute altre, o della stessa natura di quelle del deserto o anche di altre specie.

È impressionante il fatto che Egli, pieno di Spirito Santo dopo il battesimo del Giordano, sia stato assalito da satana. Lo Spirito, certamente lo Spirito Santo, lo condusse nel deserto per prepararlo all'imminente ministero pubblico e, proprio quando era ripieno di grazie particolari nella sua santissima umanità, subì la tentazione.

Satana gli girò attorno fin dalla nascita, perché sospettava che fosse il Messia; cercò di farlo sopprimere dall'empio Erode, e poté anche influire sinistramente sui Betlemiti, prima che nascesse, per renderli ostili o duri di cuore verso la sacra Famiglia. Quando poi s'accorse dalla vita di Lui e dalla pienezza dello Spirito Santo che non era un uomo come gli altri, tentò di sviarlo, per la stessa maligna invidia con la quale sviò Adamo. Era logico che il secondo Adamo non fosse esente dalle tentazioni, dovendo Egli riparare le spaventose conseguenze della prima tentazione.

È un grande conforto questo per le anime pie, che spesso nelle tentazioni si disorientano, e non sanno capire come la pienezza delle grazie particolari che hanno, porti in loro lo scompiglio delle suggestioni più brutte da parte di satana. Si ripete in loro, membra più vive del Redentore, quello che avvenne a Lui medesimo per nostra istruzione e per nostro conforto.

Il calore non attrae subito le correnti fredde? Gli strati caldi s'elevano e gli strati agghiacciati si precipitano sulla fiamma. Ora satana, come gelo di morte, si precipita dove vede ardere una fiamma più intensa, non per assorbirne il calore ma per spegnerla, giacché, nel suo orgoglio, crede che il suo stato di morte sia preferibile a quello della vita, e nella sua ira funesta ha invidia della felicità che porta la vera vita. Appena dunque l'anima s'accende, per così dire, nello Spirito Santo, satana si precipita per turbarla.

Le tentazioni, perciò, non sono segno di decadimento, ma segno di un'azione più intensa dello Spirito Santo in noi. Tutto sta a non scambiarle per luce, a non crederle ragionamenti di logica, ed a non isolarsi nei tristi pensieri che suscitano, rifiutando la luce che ci viene da quelli che guidano l'anima nostra.

Chi rifiuta la direzione, s'aggroviglia nella tentazione, la rende sua mentalità, la crede irrefutabile, e s'espone al pericolo di farsi ingannare da satana. Come Gesù ricacciò la tentazione con la Parola di Dio, così l'anima deve ricacciarla con la parola di chi le rappresenta Dio; alla suggestione di un falso ragionamento che le sembra luce deve rispondere non già ragionando ma fulminando satana con la parola che il Signore ci ha detto per il suo ministro.

sabato 6 febbraio 2016

07.02.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 5 par. 2

2. La barca di Pietro, la Chiesa docente e la raccolta delle anime dopo la notte delle persecuzioni, nella luce del trionfo

Dio è mirabile nel suo linguaggio, e sotto umili cose esprime disegni grandiosi di sapienza e di amore. Chi non direbbe più solenni e stupende le scene del Pentateuco, di fronte alle parabole ed ai racconti del Vangelo? Eppure quelle scene erano una figura mentre il Vangelo è la realtà, non solo, ma è l'annunzio di più grandi cose; è il quadro del mirabile sviluppo della redenzione. Per questo è chiamato Vangelo, annunzio della buona novella.

Se si può dire una frase ardita, nell'Antico Testamento Dio ha lasciato alle sue parole un carattere più umano, e per questo a noi sembra grandioso; nel Nuovo, un carattere più divino, e per questo a noi sembra più semplice e meno grandioso.

Siamo lontani dal divino, i nostri pensieri non sono quelli di Dio, e per questo valutiamo molto un monte di marmo e poco una gemma preziosa estratta dalla miniera.

La scena di Gesù che insegna dalla barca di Pietro, sembra la più semplice e la più normale; innanzi, per esempio, al passaggio del Mar Rosso ed al cantico di Mosè sembra piccola cosa, eppure è l'espressione di un'immensa grandezza, del magistero divino affidato alla Chiesa ed al Papa, come subito vedremo. Non è il passaggio di un popolo da una riva all'altra, ma il passaggio della luce divina della verità dal mare infinito alla nostra piccolezza; non è la figura della liberazione dal peccato nel Battesimo, com'era il passaggio del Mar Rosso, ma è la sintesi e come la semente feconda della più grande misericordia fatta all'uomo libero e intelligente: il magistero infallibile della Chiesa e del Papa.

I poveri critici ed ipercritici, questi pigmei di fronte al pensiero di Dio, s'affannano a scrutare la lettera, e credono di aver scoperto il sole quando hanno esumato uno scartafaccio antico, o hanno fatto l'anatomia naturale di un Testo Sacro; si affannano a colmare, dicono essi, le lacune del Testo, e qua ne vedono uno corrotto, là uno monco, altrove uno che a fatica si armonizza. Scavano a tutta forza gli antri morti della storia, ostruiti da macerie, e credono di aver fatto tutto, quando hanno potuto raccattare una notizia più o meno dubbia da mettere insieme al Sacro Testo, senza pensare che uniscono la gemma falsa alla vera, e che si sforzano di mettere in evidenza quello che Dio ha voluto eclissare, perché inutile o dannoso allo scopo che Egli ha nel parlarci.

I poveri critici e ipercritici non si accorgono di frustrare con le loro piccole o false luci lo scopo che Dio ha avuto nel lasciare certe oscurità nel Testo e nel tacere certe notizie.

Sono riflessioni importantissime queste, che debbono profondamente umiliarci innanzi a Dio, ed abituarci a trattare la sua Parola con vero spirito di fede.

Gesù Cristo, quando andò a predicare nella Galilea, chiamò una prima volta alla sua sequela Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, com'è raccontato in san Matteo (4,18ss) ed in san Marco (1,18ss). Egli li incontrò sul lago di Genesaret quando gettavano le reti in mare, e li chiamò per farli pescatori di uomini. Alla sua voce essi subito abbandonarono le reti e lo seguirono, ma è evidente dal contesto che non lo seguirono definitivamente; anzi, dopo poco, ritornarono alle reti ed alle barche, pensando che era per loro necessaria la loro arte e professione per vivere. Seguirono Gesù, e quando videro che era povero e viveva di elemosine, pensarono che non potevano ragionevolmente prescindere dal loro guadagno, e ritornarono alla pesca. Questo si rileva dalla ricostruzione psicologica dell'atteggiamento di san Pietro nella pesca miracolosa, come subito vedremo.

Nel chiamare i quattro pescatori, Gesù li avrebbe voluti tutti per l'opera sua, ed essi in un primo momento gli si dettero; ma dopo pensarono, magari anche a scopo di bene, di non dovergli esser di peso, giudicarono che le elemosine che riceveva Gesù non potessero loro bastare, e ritornarono al lago per pescare di notte, sperando di guadagnare almeno qualche cosa. Gesù li trovò dopo questa notte di pesca, che fu infruttuosa, mentre lavavano le reti. C'erano ferme due barche, una apparteneva a Simone e l'altra a Giovanni, ossia al padre suo, Zebedeo.

La folla che seguiva Gesù si accalcava sulle rive del lago, ed Egli, per parlare meglio e farsi sentire da tutti, salì sulla barca di Simone, e lo pregò di allontanarsi un poco da terra. Stando a sedere sul pontone della barca, ammaestrava il popolo.

Non era un gesto vano, né era un atteggiamento accidentale quell'insegnamento; Egli guardava lontano, al compimento dell'opera sua, ai secoli perenni nei quali avrebbe insegnato al mondo dalla sede di san Pietro, ed avrebbe ammaestrato le genti dalla sua barca, ossia dalla Chiesa. Quel suo gesto era divino, e come tale era semplicissimo, e segnava in eterno il diritto della Chiesa cattolica e del Papa ad ammaestrare le genti.

Tutti i sofismi delle eresie e tutte le violenze dei tiranni non hanno potuto e non potranno mai cancellare questo diritto. La barca di Pietro diventava in quel momento granitica, diventava una sede di bronzo, un monumento immortale. Il gesto di Gesù l'aveva come consacrata, mutandone la natura, e l'aveva resa conquistatrice di anime nel suo adorabile Nome.

Essa ha attraversato i mobili secoli e li attraversa ancora fra le più fiere tempeste, ma non è sommersa mai e continua a raccogliere anime nella sua rete, anche quando par che le sfuggano e che non ne prenda più per l'apostasia universale.