domenica 9 febbraio 2014

09.02.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 5 par. 17-18

17. La missione degli apostoli e dei sacerdoti, e il dovere di santità che loro impone
Gesù Cristo, promulgando le basi fondamentali del suo regno, si rivolse principalmente ai suoi apostoli e per essi ai sacerdoti. Le beatitudini sono il programma della loro vita, consacrata tutta al Signore, nella piena rinunzia a tutto quello che è falsa gioia terrena: essi debbono essere poveri di spirito, distaccati da tutto e contenti del poco, per conservare nel cuore solo aspirazioni celesti, ed evitare le schiavitù dell'interesse economico, che distruggerebbe qualunque opera di apostolato. La loro felicità deve stare tutta nell'abbandonarsi a Dio e nel confidare in Lui, unico sostegno. Più dei leviti che non avevano una proprietà fissa, essi hanno Dio per loro porzione ed eredità, e debbono alienare il cuore da ogni attacco materiale.
L'apostolato che debbono svolgere non può essere mai irruente, perché essi debbono conquistare le anime, e perciò debbono avere come forza la mansuetudine. Generano le anime a Dio col sudore delle fatiche apostoliche e col sacrificio continuo; piangono, ma sono consolati dalla messe che raccolgono, e debbono percorrere il mondo con una fame e sete ardente di giustizia, per diffondere la perfezione, e di misericordia per sollevare i poveri peccatori. Casti e puri di cuore si beano delle bellezze di Dio, ed hanno la sua gloria come mèta della vita; propugnatori di pace nelle coscienze, nelle famiglie e nella società, sono i continuatori dell'opera del Figlio di Dio fatto uomo, e sono chiamati anche essi figli prediletti di Dio. In tutto simili al loro Maestro, affrontano ogni persecuzione, ogni ingiustizia, ogni ingiuria, e continuano il loro santo ministero da eroi, fissi con lo sguardo all'eterna ricompensa.
Dopo questa esposizione sintetica del programma sacerdotale di tutti i tempi, Gesù Cristo dà la ragione della perfezione che inculca ai suoi apostoli, ed induce in loro il senso della responsabilità dicendo: Voi siete il sale della terra e la luce del mondo; dovete con la vostra virtù, quasi sale nel cibo, rendere accessibile ed assimilabile la verità, e dovete splendere come lampade sul candelabro, non potendovi celare allo sguardo degli altri uomini dall'altezza cui vi eleva la vostra dignità. Da voi l'umanità deve essere guidata, e se voi vi rendete insulsi o vi ottenebrate, vi renderete ludibrio di tutti e sarete rigettati dal Signore.
Parole divine queste, che ogni sacerdote deve stampare nel proprio cuore, essendo esse confermate dall'esperienza della storia.
Un sacerdote infedele al suo dovere, od anche semplicemente insipido, cioè rilassato nella pietà, è oggetto di disprezzo, e rende vana la sua missione. Il mondo è conquiso dalla virtù sacerdotale quando questa è piena, e quando splende sul candelabro della Chiesa; non s'importa né sa che fame dei sacerdoti umanamente e laicamente scienziati, artisti, statisti, ecc. Va trovando i santi, perché sacerdozio e santità sono due concetti inseparabili.
Il sacerdote che non è santo, è sale infatuato che non solo non condisce, ma è incapace di essere condito, rimanendo ostinato nella sua estrema miseria. Si può dire che in questo non ci sono mezzi termini, e che un sacerdote che non è santo è già cattivo, è già infatuato. Se è santo, è povero, mansueto, mortificato, zelante, misericordioso, puro, pacifico, paziente, è beato nel suo cuore e comunica la beatitudine; se non è santo e cerca la beatitudine nella terra, è avido di guadagni, è impetuoso, egoista, ozioso, scorretto, mormoratore, duro, rozzo, intollerante, e dissemina solo il male intorno a sé, perché discredita il regno di Dio.
Il mondo si deve specchiare nel sacerdote, e deve sentirlo tanto superiore da vederlo come lampada sul candelabro.
Se lo vede sotto il moggio di grano, accumulato agli altri quasi granello nella massa, giacente per terra, quasi lampada spenta, non lo riguarda più con onore, né è capace di gustare le grandezze della fede, e di glorificarne Dio.
18. Il sacerdote non è un uomo come gli altri!
Il sacerdote non può in nessun modo dire di essere anch'egli uomo come gli altri e di avere bisogno di uno svago; la sua beatitudine gli è tracciata da Gesù Cristo, ed è beatitudine che lo eleva nelle pure gioie dello spirito, di fronte alle quali tutte le gioie umane sono tormenti. Fuori della via della beatitudine il sacerdote non trova che infelicità somma di spirito; è come un pesce fuor d'acqua, è come un uomo affogato nella tempesta; è schiavo di se stesso ed è tormentato dai rimorsi, è indebolito negli slanci dell'anima sua, e giace come paralitico nella sua miseria, dalla quale non sa sollevarsi. È scontento del suo stato perché non ne gusta le ineffabili dolcezze; aspira al mondo con la veemenza della disperazione senza poterlo raggiungere in pieno; crede di essere un perseguitato dalla cattiva sorte; invidia persino quelli del mondo, e finisce quasi sempre riprovato da Dio.
O Gesù, dona ai tuoi sacerdoti l'apprezzamento della loro immensa e profonda felicità nell'essere santi; raccoglili intorno al tuo Cuore eucaristico; fa' loro gustare la bellezza dei divini Misteri, e rendili veramente sale delle anime e luce smagliante del mondo.
 
Sac. Dolindo Ruotolo

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