lunedì 24 febbraio 2014

24.02.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 9 par. 3

3. Lo spirito che si scaccia nell'orazione e nel digiuno
Sceso dal monte insieme ai suoi tre altri apostoli, Gesù vide gli altri apostoli circondati da gran folla, in disputa animata con gli scribi.
L'oggetto della disputa non era propriamente il lunatico che essi non avevano potuto guarire e liberare da satana, ma era evidentemente il Redentore. Gli scribi volevano dimostrare dall'insuccesso degli apostoli che tutto era inganno quello che avveniva in Gesù, e che essi seguivano una via pericolosamente fantastica. Forse insinuavano che Egli si era dileguato perché non si sentiva la potenza di liberare uno che essi stimavano veramente infermo ed ossesso.
Questo può supporsi dallo stupore e dal timore che ebbe il popolo nel veder venire Gesù, e dal modo stesso come lo salutarono.
Quando, infatti, si mormora a torto ed esageratamente di uno che è assente, si rimane sconcertati nel vederlo venire improvvisamente e, per la stessa coscienza lesa che si ha, si cerca in certo modo con qualche cortesia di non mostrare il proprio mal'animo. Questo è psicologico. Gesù poi scendeva dal monte dopo la trasfigurazione, ed aveva tale maestà nel volto e tale misteriosa regalità nel suo stesso incedere, che suscitò un senso di stupore e di timore in tutti.
Avvicinatosi, Gesù domandò di che cosa discutessero, ma essi dovettero tacere, come appare dal contesto; parlò solo uno che era interessato a parlare, il povero padre dell'epilettico indemoniato, che gli apostoli non avevano potuto guarire e liberare, sperando che il Signore avrebbe potuto consolarlo con un prodigio. Alle parole del padre desolato che manifestava l'impotenza degli apostoli riguardo al figlio suo, Gesù esclamò pieno di dolore: O generazione incredula, fino a quando starò con voi? Fino a quando vi sopporterò?
Era la mancanza di fede che aveva posto ostacolo al miracolo, tanto negli apostoli quanto nel popolo. Gli apostoli nell'assenza di Gesù non erano stati raccolti nella preghiera e si erano dissipati; forse può supporsi che avessero anche accettato qualche invito a pranzo, giacché il Redentore disse loro con intenzione che quel genere di demoni si cacciava solo nell'orazione e nel digiuno. Avevano ricevuto l'infermo in uno stato di interiore dissipazione, ed avevano invano comandato allo spirito perverso di lasciarlo in pace.
Il popolo poi si era affollato per curiosità, e il padre del povero infelice aveva fatto appello agli apostoli non per la fede che aveva in Gesù Cristo, ma solo nella speranza che essi avessero avuto un potere arcano per liberargli il figlio.
Da tutte le parti c'era una mancanza grave di fede, ed in quelle condizioni, se Dio avesse operato il miracolo, questo sarebbe stato svalutato o come un fatto comune, o come l'effetto di forze misteriose che possedevano gli apostoli.
Gesù ordinò che gli conducessero il lunatico, e questi, appena condotto alla sua presenza, cominciò ad essere turbato da satana. Gettato per terra dalla furia diabolica, si ravvoltolava e mandava schiuma dalla bocca. Gesù domandò al padre di lui da quanto tempo ciò gli accadesse e quegli rispose che dall'infanzia era stato tormentato così, e lo supplicò ad averne pietà se aveva il potere di sanarlo. Gesù rivolse quella domanda al padre del giovane, perché avesse riflettuto alla gravità del caso, ed avesse eccitato la sua fede sperando di vederlo liberato; lo domandò anche per far ponderare agli astanti il miracolo che stava per operare, giacché non si trattava di un'ossessione passeggera ma di una possessione tenace.
Come si rileva dal contesto e dal comune pensiero dei Padri, quello spirito era impuro, e può credersi che avesse preso possesso del giovane quando egli nell'infanzia aveva commesso qualche indegna azione. Lo spirito impuro l'aveva reso sordo e muto e l'aveva straziato con varie pene, senza che alcuno avesse potuto scacciarlo.
È proprio quello che avviene alla gioventù quando, presa dalle prime passioni, si lascia ingannare da satana e cade in abissi d'impurità. Satana la strazia coi rimorsi più terribili e con le pene che porta con sé l'impurità, e poi la rende sorda ai richiami del bene e muta nella preghiera e nella penitenza. Il giovane non si confessa più, è muto; rifugge dalla pietà, corre all'impazzata da un abisso in un altro, e si contorce per terra, nelle sue passioni disperatamente disordinate. Invano ci si sforza di poter dare la pace a questo cuore, esso è come invasato da satana, si contorce e non ascolta né rimproveri né consigli27.
Non basta una grazia comune per vincere un'anima traviata dall'infanzia, non basta una fede qualunque, ci vuole una grande fede ed una grande misericordia, e bisogna impetrarla col pregare e col fare penitenza. Bisogna ripetere col povero padre desolato: Io credo, o Signore, aiuta tu la mia incredulità, e domandare con la preghiera che si accresca quella fede che il peccato impuro annebbia e spesso fa perdere addirittura.
Quando Gesù vide che il popolo accorreva intorno a Lui per movimento di curiosità, non volendo suscitare inutili entusiasmi, si affrettò a liberare quell'ossesso. Egli dovette anche aver pietà del povero padre, il quale soffriva nel vedere che il figlio era fatto spettacolo dinanzi agli altri. Con grande potenza e maestà comandò allo spirito sordo e muto di uscire dal giovane, ed esso, nel lasciarlo, lo straziò talmente da ridurlo come morto. Molti infatti credettero che fosse veramente morto. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò e quegli si alzò!
Non è possibile che sia cacciato da un giovane lo spirito impuro senza che Gesù Cristo, con una misericordia speciale, lo aiuti. Il sacerdote, in suo nome, quando un impuro va a confessarsi, lo aiuta a parlare interrogandolo, e gli fa sentire la Parola di Dio esortandolo; le interrogazioni sono tormentose, senza dubbio, e l'anima può anche contorcersi nella pena di dover dire certe cose vergognose; ma dopo che ha parlato e che l'assoluzione l'ha rialzata dalla sua morte, allora si sente risorta, e gode una pace mai più provata, sentendosi in grazia di Dio.
Preghiera e penitenza per la conversione delle anime
Questa specie di demoni non può essere cacciata in altro modo che con l'orazione e il digiuno. Chi deve convertire un'anima infangata dall'impurità deve persuadersi che non bastano solo le esortazioni, occorrono le opere sante di una vita di fervore, occorre l'orazione ed il digiuno. Con l'orazione l'anima si unisce a Dio e ne attrae la grazia; col digiuno, e in generale con la penitenza, sottomette la carne allo spirito e rende l'anima più disposta a ricevere i divini favori. L'orazione accresce la fede, il digiuno accresce il dominio di se stessi e la santa umiltà; in tal modo si ottiene la grazia della conversione di un'anima.
Gesù Cristo subito dopo, partito da quel luogo, cominciò a parlare agli apostoli della sua Passione, perché essa doveva essere la grande preghiera e la grande penitenza che doveva scacciare satana dal mondo. Gli apostoli non capirono le sue parole, e tanto meno capirono il nesso che esse avevano con quello che loro aveva detto prima, ma dopo la discesa dello Spirito Santo non solo lo capirono, ma lo imitarono, offrendosi per la salvezza delle anime ad ogni disagio ed al martirio, e consumando la loro vita nell'orazione, che è parte integrante necessarissima di qualunque apostolato.
Per vincere le tentazioni
Nell'orazione e nel digiuno: così si vincono in noi le suggestioni impure di satana; non possiamo mai dire di essere sotto l'incubo di una tentazione invincibile, poiché quando si prega veramente l'anima è attratta a Dio e rifugge dalle miserie della carne; e quando fa penitenza, contrariando soprattutto la propria volontà, si abitua a Vincere, e si sottrae alla schiavitù delle passioni. A volte basta una rinunzia ad un capriccio, fatta volontariamente e per puro amore, per vedere fortificata la volontà nel resistere a passioni anche inveterate; quella vittoria, benché minima, quasi da sembrare trascurabile, è come l'aprirsi di una nube fitta, che prelude al sereno, e come lo spiraglio che dà modo di spalancare le porte della prigione.
Insistiamo su questo che è di massima importanza: una piccola vittoria, riportata anche in un campo diverso dalla passione che ci tormenta, rompe l'incanto di una volontà incatenata, e comincia a ridonarle la libertà perduta, a volte un piccolo fioretto di mortificazione o di preghiera può produrre questo frutto di salvezza, e non bisogna mai disprezzare o trascurare l'ispirazione che ce lo suggerisce.
I grandi peccatori non si convertono in un momento, benché a volte sembri che succeda così; è necessario che si sfondi prima il fronte dell'assedio, poiché la breccia apre la via alla travolgente vittoria sul nemico: Gesù Cristo subito dopo la guarigione del lunatico, parlando della sua Passione, ci addita un altro rimedio salutare contro le nostre miserie. L'anima si intenerisce ai piedi del Crocifisso, ed ai riflessi luminosi del preziosissimo Sangue vede e pondera l'orrore delle proprie iniquità, risolvendo di emendarsene. Quando l'esercito è circondato da tre lati, deve cadere all'attacco frontale e deve sfasciarsi. L'anima che prega si mortifica e guarda Gesù appassionato, circonda il peccato in un assedio dal quale non può sfuggire; la preghiera eleva l'anima, la mortificazione vince la volontà ribelle, la Passione di Gesù Cristo la intenerisce. Non diciamo dunque mai più che non possiamo vincerci perché siamo abituati al male dall'infanzia; la nostra battaglia è vittoriosa per noi, sol che lo vogliamo confidando nella grazia e nella misericordia di Dio.
Sac. Dolindo Ruotolo

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