domenica 23 febbraio 2014

23.02.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 5 par. 23-26

23. Il dominio dell'anima su se stessa e sul male, nella generosità e nella carità
L'uomo crede facilmente al dominio della forza brutale, ed all'efficacia della reazione per imporre agli altri il rispetto, senza sottostare a prepotenze o a violenze. La forza però non conquide lo spirito, anzi lo inasprisce, e perciò, praticamente, chi crede di dominare è dominato, e chi crede di aver vinto è sconfitto. La reazione violenta non annienta la reazione ma la ingigantisce, ed anche umanamente parlando, fa trovare l'aggredito in peggiori condizioni.
Il cristiano è sempre un aviatore dello spirito; non sta nella carlinga per rimanere a terra ma per volare; è sempre un conquistatore di ricchezze eterne, e non si cura troppo di ciò che è materiale; cammina come pellegrino e come apostolo, aspirando a conquistare il Cielo ed a farlo conquistare agli altri; è membro vivo del Corpo mistico di Gesù Cristo e partecipa al suo Corpo ed al suo Sangue eucaristico desiderando, a somiglianza del suo Maestro, immolarsi per gli altri ed abbracciare tutti nella carità. Tutto questo lo rende talmente superiore alle beghe meschine della vita presente, che vi passa sopra come trionfatore. Gl'insegnamenti di Gesù Cristo mirano a questo scopo altissimo, e lungi dall'essere paradossali, guardano la vita per quello che è, senza illusioni irreali. Chi reagisce alla malvagità altrui per vincerla con la forza, può essere sopraffatto, e si trova in condizioni più gravi; chi la disarma con la dolcezza e con la carità, la riduce all'impotenza non con le armi ma con lo spirito, e chi prega per i cattivi attira su di loro quelle grazie celesti che li migliorano. Gesù Cristo non parla della reazione della legge, né di quelle forze legali che debbono ristabilire l'ordine per mandato divino; parla delle relazioni private tra gli uomini, e del modo migliore per eliminare i contrasti e le dissensioni.
E spontaneo nel nostro cuore il voler rendere male per male, perché ci urta l'ingiustizia e ci soddisfa la giustizia. La legge penale antica, sostituendosi alla privata reazione, aveva stabilito la così detta pena del taglione, condannando il colpevole alla stessa sofferenza cagionata agli altri: Occhio per occhio, dente per dente (Es 21,24; Lv 24,20; Dt 19,21); con questo dava soddisfazione al colpito ingiustamente, senza pericolo di eccessi personali. Più tardi, per le false interpretazioni dei dottori giudei, la legge aveva dato luogo a vere vendette private, a danno della pubblica quiete. Gesù Cristo taglia il male nella radice, inculca la pazienza e la bontà che disarmano l'anima e riconducono la pace.
Non resistere al malvagio, cioè non venire con lui a contrasto, perché non lo vinci così e non ti rendi superiore a lui. Il contrasto è una diminuzione della propria dignità ed è una moltiplicazione delle ingiurie; tu invece passa sopra alle insolenze, e se uno ti percuote nella guancia destra presentagli anche l'altra. Presentala non tanto per essere percosso di nuovo, ma presentala nell'amorevolezza del compatimento e del perdono. Si schiaffeggia un volto che appare antipatico e provocante, e tu mostra subito l'altra faccia, quella che realmente sta in te: la bontà e la compassione. Se mostri questa guancia, cioè questo tuo aspetto benevolo, insospettato dal nemico, lo hai vinto e lo hai messo nella necessità di riflettere al suo atto brutale e di vergognarsene. Gesù Cristo non comanda letteralmente di farsi percuotere nell'altra guancia, come non comanda letteralmente di cavarsi l'occhio o recidersi la mano, ma comanda di mostrare l'altra guancia, dimostrando l'opposto di quello che appare al nemico e lo spinge a farsi violenza.
Questo è tanto vero che Egli stesso nella Passione, percosso nella guancia, interrogò il malvagio servo per mostrargli che non aveva parlato male al sommo sacerdote, gli mostrò quindi l'altro aspetto della sua risposta, l'altra faccia della risposta che aveva provocato lo schiaffo. Nella Passione Gesù che ci dette esempi ineffabili di pazienza e offrì le sue membra ai flagelli ed alla croce, ci avrebbe dato certamente l'esempio di mostrare l'altra guancia se l'avesse inteso letteralmente. Gesù vuole che certe questioni si chiarifichino, e che, invece di reagire con la forza e con i gridi, si reagisca con l'evidenza della ragione in modo da troncare il dissidio nella radice. E un primo modo per conservare la pace.
Un altro modo è quello di accondiscendere per carità, mostrando la propria superiorità di animo; così a chi vuole chiamarti in giudizio e vuol litigare per toglierti la tunica, ossia l'abito aderente al corpo, cedigli anche il mantello.
Con questo parlare figurato Gesù vuole insegnarci ad evitare le liti giudiziarie che conducono sempre a rovine ed a perdite maggiori anche quando si vincono. È più nobile il cedere non per la forza, ma per la carità e la generosità; perciò Gesù Cristo non dice fatti togliere anche il mantello, ma cedigli anche il mantello, cioè mostrati generoso di tua volontà, e mostrati superiore ad una povera cosa terrena, che non vale quanto la conservazione della pace e l'evitare le noie e i fastidi del giudizio.
24. Gesù non deprime ma eleva l'umana dignità
Se uno volesse angariarti, per esempio forzandoti a camminare con lui mille passi, tu, invece di reagire, condiscendi e vacci per altri due, mostrando così di non subire una violenza, ma di agire di tua volontà. Come si vede Gesù Cristo non deprime ma eleva l'umana dignità, perché sostituisce alla forza brutale quella dello spirito; alla reazione violenta la carità; all'asservimento del malvagio volere altrui, la libertà del proprio volere benefico. Chi accondiscende per carità e per amore di pace, vola più in alto e sfugge alle strette della prepotenza, e rimane soprattutto nella sua pace interna che è preziosissimo tesoro. Questa nobile benevolenza che non lascia il tempo alla malvagità di sopraffare, dev'essere per tutti generosità di carità, specialmente nelle relazioni di vicinato: Dà a chi ti domanda, e non rivolgere la faccia a chi vuole chiederti in prestito qualche cosa.
Se si deve conservare, infatti, l'armonia con chi vorrebbe sopraffarci, prevenendo la prepotenza con la nobiltà di animo, molto più è logico e conveniente conservarla con chi non ci vuole sopraffare ma ci domanda qualche cosa o in dono o in prestito. Tutto questo che Gesù Cristo insegna è legge di armonia tra le anime, e quindi riguarda prima quelle che ci sono più vicine, perché la carità è ordinata; inoltre, essendo legge di armonia, non può obbligare dove produrrebbe la disarmonia. Sarebbe stolto venire ad un contrasto o ad una lite giudiziaria per non subire una sopraffazione, perché se ne subirebbe una maggiore, ma sarebbe ugualmente stolto farsi sfruttare dai malvagi, e dare in prestito senza criterio ed ordine. E la stessa natura del dare e del prestare che ci dichiara il senso genuino delle parole di Gesù Cristo, poiché chi ti domanda per sfruttarti, non ti domanda, ma ti ruba, e chi ti chiede in prestito per non restituirti, non ti chiede in prestito ma in dono forzoso, perché sta nella natura stessa del prestito la restituzione.
Del resto l'interpretazione autentica del valore delle parole di Gesù Cristo la fa la Chiesa nella sua morale, ed è a questa che bisogna appellarsi, e da questa che bisogna farsi condurre. Se uno volesse interpretare le divine parole a modo proprio, e credersi obbligato a dare tutto ciò che si chiede, dilapidando magari la casa propria o venendo meno ai doveri che si hanno verso i più prossimi, errerebbe. La Chiesa determina nelle sue leggi quello che deve farsi praticamente, quello che è di consiglio e quello che è di precetto nelle parole del Signore, e seguendola non c'è pericolo di errare.
25. Ultimo mezzo per l'armonia della carità: l'appello alla preghiera ed alla grazia
Dio aveva comandato con espressioni bellissime di amare il prossimo (Lv 19,9-18), ma gli scribi e farisei, abituati come erano alle vendette e al disprezzo per gli altri, ed interpretando a modo loro il precetto del Signore di punire nelle guerre i nemici d'Israele e le città peccatrici, avevano creduto che il precetto di amare il prossimo includesse quello di odiare il nemico. Trattandosi di nemici nazionali in un'epoca nella quale il popolo di Dio doveva essere separato da tutti gli altri popoli per non cadere nell'idolatria, questa interpretazione poteva anche sembrare giusta; ma Gesù Cristo era venuto per unificare gli uomini in una sola famiglia; era venuto a perdonare ed a salvarli; era venuto ad immolarsi subendone le violenze e perciò la sua Legge non poteva avere altro carattere per il suo Corpo mistico che quello della carità, del perdono e della pazienza. D'altra parte, seguendo lo stesso programma divino di sanare i mali nella loro radice, che cosa avrebbero potuto portare l'odio, la maledizione e la vendetta?
E dal cuore che viene il male; ed è il cuore che bisogna sanare per eliminarlo.
L'odio, l'irruenza e le imprecazioni eliminano le correnti di grazia ed accrescono le malignità, ossia la forza di nuocere da parte dei nemici; quindi chi odia maledice ed impreca; affila con le sue mani la spada che lo colpisce. La carità disarma più di qualunque forza, e siccome è inscindibile dall'umiltà, disarma e confonde satana che è il funesto ispiratore del male.
Al mondo può sembrare assurdo l'amare i nemici, può sembrare contro natura, ma Gesù ha determinato la natura di questo amore soggiungendo: Fate del bene e pregate, per imitare Dio che ha cura dei giusti e degli iniqui. Amare i nemici non significa non sentire ripugnanza al male da essi fatto, soprattutto se questo male ha offeso e macchiato l'anima propria; non significa non sentire le reazioni della natura che ripugna e reagisce al male, o quelle dell'orgoglio che s'inalbera, significa fare del bene a quelli che ci odiano implorando su di essi la divina misericordia, perché muti il loro cuore e la loro volontà e li faccia novelle creature.
Anche qui Gesù Cristo chiama le sue creature ad altezze meravigliose di nobiltà e di pace. Un nemico, infatti, è sempre una spina atroce confitta nel cuore, che nell'odio germina in mille altre pungenti spine; l'odio è come la tenia dell'anima, che assorbe e distrugge qualunque sua gioia; riproduce continuamente le offese e, quando si crede che si siano dimenticate, le fa rinascere più violente di prima, accresciute dalla fantasia. Avere un nemico significa avere un'insidia alla propria pace, ed anche un pericolo esterno, perché il nemico è capace di farci moltissimo male; la via più bella è il guardarlo con compatimento, scusando le sue malvagità, e spezzarne l'iniqua volontà con qualche beneficio spirituale o corporale che smonti le sue prevenzioni e lo faccia ricredere.
È più bello paralizzare con la carità le iniziative del nemico, e dove la carità non ha influenze, paralizzarle con la preghiera. A fare questo ci è di grandissimo aiuto l'amore di Dio, e ci è pure di spinta la considerazione dei beni eterni che il nemico ci dà occasione di conquistare con le sue stesse malvagità. Con quanto amore i martiri riguardarono i loro carnefici, considerando il Paradiso del quale, senza pensarlo, aprivano loro le porte! Con quanta compassione consideravano la miseria di quei perfidi, implorando misericordia e perdono sul loro capo; quanta soddisfazione e quanta gioia provavano nell'abbracciarli, sentendosi l'anima tutta compresa dalla pietà e misericordia di Dio!
Se fosse contro l'umana natura il perdonare e l'amare i nemici, la Chiesa non sarebbe piena di santi che l'hanno onorata con questa virtù. Non è un'eccezione nella Chiesa, ma la norma, giacché tutti passano per le prove dei cattivi, ed è impossibile volare al Cielo senza prima aver perdonato. Gesù Cristo dice che Dio stesso, pur potendo punire quelli che l'offendono, usa misericordia e fa sorgere il sole per i buoni e per i cattivi, come fa piovere per i giusti e per gli ingiusti; con delicatezza grande ci ricorda che anche noi siamo peccatori, e che se Dio ci dona il sole e la pioggia, anche noi dobbiamo donare l'amore e il beneficio ai nostri nemici. Con queste parole
Gesù Cristo eleva la misericordia e l'amore per i nemici fino all'altezza della magnificenza di Dio, e ci esorta ad avere la stessa sua perfezione. È proprio di Dio, infatti, come dice la Chiesa, l'avere sempre misericordia e perdonare, e chi usa misericordia e perdono s'adorna dei riflessi di quella bontà infinita che tutto abbraccia, e per tutti si muta in pioggia di benedizioni. Dio non aspetta la nostra corrispondenza per farci del bene, non restringe la sua bontà ai soli buoni, e noi per suo amore dobbiamo fare altrettanto; qual merito ci sarebbe amando quelli che ci amano e salutando quelli che ci sono amici?
Anche i pubblicani, cioè i peccatori, e i pagani fanno questo; è necessario dunque fare qualche cosa di più degli altri e specchiarsi non già nell'egoismo accentratore ma nell'infinita generosità di Dio, che non conosce limiti nella sua misericordia.
26. La legge dell'amore
La parola di Gesù: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che sta nei cieli, riguarda principalmente la misericordia e la carità; ma da queste virtù scaturiscono in noi le altre, per l'esuberante grazia che il Signore ci dona in ricompensa della nostra bontà verso il prossimo. Tutta la creazione è una diffusione della bontà di Dio, e nei più piccoli esseri risplende la sua carità ineffabile. Egli dona la vita, ed avvolge le sue creature con una delicatezza ineffabile di amore e di rispetto, tutelandone la dignità; Egli è geloso custode della giustizia e, benché padrone di tutto, dispone delle sue creature con immensa riverenza; Egli risponde con la misericordia ed il perdono alle nostre ingiurie, ed anche quando noi ci mettiamo nelle condizioni di perderci, tempera la pena che ci facciamo con le nostre iniquità, ed effonde in noi la sua misericordia. Egli accondiscende alle nostre preghiere, e benché ingrati ed indegni della vita che ci ha data, la sostiene con la sua provvidenza. Non è commovente il vedere nel cielo il sole che tutto riscalda e feconda, e la pioggia che cade anche sulle terre dei peccatori? Quella luce che si diffonde e quell'acqua che cade sembrano un amplesso di carità, un bacio di misericordia, un sorriso di bontà da parte di Dio. Come potremmo noi, alla luce di questo esempio divino, disprezzare la vita del prossimo o coprirlo di vituperio? Come potremmo defraudarlo nei suoi diritti e privarlo di quell'amore donatogli dal Signore nel sacramento del Matrimonio come sollievo ed aiuto della sua vita? Come potremmo essere inesorabili verso chi ci ha offesi, mentre Dio è così generoso verso di noi? Bisogna dunque essere perfetti com'è perfetto il Padre nostro, diffondendo la bontà sui nostri fratelli e sui nostri nemici; bisogna essere come sole che li riscalda e li illumina, e pioggia che li feconda, partecipando loro i beni che Dio ci ha dati. Il cuore dev'essere luminoso nel sorriso della carità, e fecondo nelle opere della beneficenza, deve consolare e donare, perché il dono senza la consolazione spirituale sarebbe come acqua senza sole, e la consolazione senza l'aiuto sarebbe come sole senz'acqua. Persuadiamoci che questo solo può ridonare al mondo sconvolto la pace, perché questo solo ci dona la tranquillità dell'ordine fra tutte le creature. Come mai il mondo stolto ed ingrato si è fatto turlupinare dai perversi ed ha preteso di dare una legislazione di odio, di lotta, di rovina e di strazi per ridonare ai popoli l'equilibrio? Come mai ha potuto rinunziare al Vangelo per abbracciare le stupide e dissolventi parole di Carlo Marx, di Lenin, di Stalin e di tutti i traditori della sua pace e del suo benessere? Questi hanno messo come base delle loro utopie criminose l'omicidio, la strage, l'adulterio legale, l'immoralità, la menzogna, l'odio implacabile, la schiavitù dei loro fratelli e, orribile a dirsi, l'odio a Dio ed alla Chiesa! Hanno dato il loro tristissimi frutti di miseria, di stragi, di crudeltà, di delitti spaventosi dovunque sono penetrati; trascinano i popoli con la violenza più brutale nel baratro da essi scavato e chi può ancora illudersi che diano all'umanità una novella prosperità? Ricacciamoli da noi come scellerati ministri di satana, che hanno per emblema la falce e il martello, la falce della morte e il martello dell'oppressione; leviamo in alto la croce e il nome bello di Maria, e persuadiamoci che non c'è altra beatitudine che quella tracciataci da Gesù Cristo; non c'è altra via per conseguire l'ordine, la prosperità e la pace che quella della carità nella Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana.
Sac. Dolindo Ruotolo

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