lunedì 3 marzo 2014

03/04.03.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 10 par. 4

4. Le ricchezze che rendono poveri, la povertà che arricchisce
Il giovane che parlava con Gesù aveva molti possedimenti', non era semplicemente un ricco ma un proprietario, e perciò era impigliato in mille affari e preoccupazioni temporali. Per ascendere veramente ad una grande perfezione avrebbe dovuto liberarsene, perché è quasi impossibile badare alle cose celesti tra gli assilli di quelle temporali.
L'esortazione di Gesù Cristo non era per lui un invito all'eroismo, ma diremmo un invito alla logica, ed anche alla vera tranquillità; era logico lasciare tutto per conquistare Dio, ed era fonte di pace liberarsi dal peso delle cose terrene. Si potrebbe anche, psicologicamente, supporre che quel giovane fosse andato da Gesù proprio in un momento di angustie temporali; forse gli era sopraggiunto qualche disastro, qualche disinganno, qualche perdita, perché è raro che un'anima si muova verso ideali più grandi senza un disinganno della vita.
Ad ogni modo quando egli ascoltò che per essere perfetto doveva lasciare tutto, si sentì come ricadere nel campo della realtà e, per reazione psicologica, si sentì più attratto ai suoi beni. Diciamo per reazione psicologica, perché noi siamo spiriti di contraddizione: vorremmo che gli altri secondassero le nostre vedute pessimistiche, e quando non le secondano vi reagiamo; domandiamo consiglio non per ascoltare la verità, ma per sentirci confermati nelle nostre persuasioni; l'opposizione le fa rinascere più forti; ci appelliamo al parere di un sapiente, perché inconsciamente crediamo che non possa essere diverso dal nostro; se egli ci contraddice, il nostro giudizio immediatamente s'ingigantisce e vuole riaffermarsi; vogliamo essere incoraggiati non dissuasi, spinti non arrestati, elogiati non contrariati. Questo tumulto di sentimenti dovette agitarsi nel cuore del giovane alle parole di Gesù, e per questo si rattristò. Egli poi se ne andò sconsolato, perché vedeva impossibile andare appresso a Gesù, dati gli affari che aveva da sbrigare nei suoi possedimenti; aveva concepito una profonda simpatia per Lui, ed il pensare di non poterlo seguire lo sconsolò, e se ne andò triste.
Quanto è difficile che i ricchi entrino nel regno di Dio!
Gesù Cristo vide in quel gesto tutta una storia, e col suo sguardo divino vide passare in quel giovane le generazioni dei ricchi del mondo che avrebbero ripetuto il suo gesto. In quel momento quel poveretto era una rappresentanza ed una figura di quelli che s'impigliano nelle cose della terra, e perciò Gesù esclamò: Quanto è difficile che quelli che posseggono ricchezze entrino nel regno di Dio!
I discepoli rimasero stupiti per le sue parole, non tanto per il loro significato spirituale che non approfondivano, ma perché le credettero un assurdo. Persuasi, infatti, che il regno di Dio, ossia il regno del Messia, dovesse essere un regno visibile e temporale, sembrava ad essi logico e naturale che i primi a fame parte dovessero essere i ricchi ed i grandi del mondo. Anzi sembrava loro che il reclutare un ricco nelle loro fila dovesse essere un grande vantaggio, sperando nell'aiuto che le sue ricchezze avrebbero potuto dare allo sviluppo dell'opera loro.
È questo, infatti, il punto debole di quelli che compiono qualche opera santa, è la breccia per la quale penetra nel cuore la fiducia umana e per la quale sfugge la piena fiducia che bisogna avere in Dio.
Per questo Gesù soggiunse pieno di affetto, compatendo alla loro debolezza, e pieno di dolore considerando la loro mancanza di fede: Figliolini, quanto è difficile che entrino nel regno dei cieli quelli che confidano nel denaro.
In quella parola di tenerezza: figliolini, traspariva anche il dolore di Gesù per il giovane che s'era allontanato; Egli guardava con maggiore affetto paterno i suoi cari perché allora gliene era sfuggito uno, ed il suo Cuore pareva che se li volesse stringere al petto per non farli sfuggire. Che pena dev'essere per il Redentore delle anime perdere un'anima! Che pena gli facciamo noi se non rispondiamo ai suoi inviti di amore!
Nella risposta data agli apostoli, Gesù Cristo determinò che non intendeva parlare dei ricchi come tali, ma di quelli che confidavano nel denaro. Con questo volle disingannare i suoi cari nel loro pensiero occulto che un ricco sarebbe potuto essere un aiuto al loro apostolato. Per mostrare ad essi le difficoltà, anzi, che le ricchezze potevano opporre gravi difficoltà al regno di Dio, usò un proverbio che allora era comune per indicare una cosa impossibile: E più facile ad un cammello entrare per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio. Dicendo queste parole Egli penetrò i loro cuori e li illuminò; fece loro intendere che il regno di Dio non era un semplice frastuono di apparenze, ma consisteva nel suo dominio paterno nelle anime, e perciò essi passando da un concetto temporale ad uno spirituale, maggiormente si stupirono, pensando che era impossibile praticamente la salvezza dei ricchi.
Come avviene nelle anime non ancora formate, essi passarono da un estremo all'altro, e considerarono come impossibile la salvezza dei ricchi allo stesso modo come avevano creduto un vantaggio averli nelle loro fila. Gesù Cristo corresse il loro pessimismo, esortandoli a confidare nella grazia di Dio a cui nulla è impossibile; la salvezza è facile quando si confida negli aiuti celesti, è ardua quando l'anima si lascia attrarre e dominare dalle ricchezze. Le opere di bene fondate sulle speranze umane falliscono, quelle fondate sull'aiuto divino prosperano. Ecco il grande segreto del regno di Dio.
Chi lascia tutto e segue Gesù...
San Pietro, vedendo Gesù rattristato ed amandolo di particolare amore, volle consolarlo dicendogli: Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Voleva dirgli con un senso di soddisfazione: puoi essere contento di noi, poiché abbiamo fatto quello che tu desideri.
Non riflettette al poco che avevano lasciato, né pensò che essi non erano dei ricchi; al suo amore sembrò sufficiente l'essersi staccato da tutto e l'averlo seguito.
Fu questo il sentimento dominante nelle parole di Pietro. Ma la psicologia umana, e la sua in particolare, ha tante sfumature che non è facile approfondire: nel fondo dell'espressione di dedizione c'era un senso di compiacimento ed una certa ostentazione di generosità, contrapposta all'atteggiamento del giovane che se n'era andato triste. C'era anche un pallido segreto d'interessamento spirituale, unito ad uno più marcato di vantaggio temporale.
Gesù parlava di salvezza eterna, e Pietro se ne preoccupava un poco in quel momento; parlava del regno dì Dio, e l'apostolo non sapeva rinunziare alle proprie speranze temporali; perciò san Matteo dice che egli soggiunge: Quid ergo erit nobis? Che cosa sarà di noi? O anche: Che cosa ne avremo noi? Non parlava per solo interesse, ma, conoscendo il Maestro nella sua ineffabile bontà, pensava che non potevano rimanere senza una ricompensa; questo sentimento era in lui quasi inconscio, ma era quello che più dominava la sua vita e quella degli apostoli, e perciò Gesù gli rispose incoraggiandoli con una promessa che era apparentemente in prevalenza temporale, e che in realtà era quasi come un esame pratico di coscienza per loro, una misura che doveva far loro considerare con umiltà che non avevano fatto gran che nella loro rinunzia.
Gesù, infatti, non parlò di loro, ma in generale di chi abbandona la casa, i fratelli, le sorelle, il padre, la madre, i figli e le possessioni per Lui e per il Vangelo, cioè per amarlo sopra tutte le cose e per esercitare il sacro ministero; parlò delle anime generose di tutti i tempi, che si sarebbero consacrate a Lui rinunziando a tutto, o che avrebbero tutto lasciato per l'apostolato; vide negli apostoli la loro rappresentanza, e parlò in un senso più ampio; nel medesimo tempo enumerò delle rinunzie che essi non avevano fatto perché poveri, e volle far loro considerare che dovevano avere un atteggiamento di umiltà.
Egli promise a quelli che avrebbero rinunziato a tutto per suo amore il centuplo in questa vita in case, fratelli, sorelle, madri, figli, e campi, in mezzo alle persecuzioni, cioè nelle stesse persecuzioni del mondo e nelle stesse angustie di una vita immolata. Promise che avrebbero avuto case da abitare, fratelli, sorelle, madri e figli spirituali che li avrebbero consolati nelle angustie; che avrebbero avuto campi, cioè il necessario alla vita, nonostante le ristrettezze della vita del mondo, e nel secolo futuro avrebbero avuto la vita eterna. Questo lo sperimentarono gli apostoli e lo sperimentano i religiosi.
Gesù non promise, come è evidente, una vita comoda né scevra di pene, perché questo non sarebbe stato un vantaggio per lo spirito; promise il centuplo in mezzo alle persecuzioni, cioè la sicurezza degli aiuti temporali fra le necessità della vita e le angustie dei tempi; promise conforti spirituali ed aiuti temporali in tanta generosa abbondanza, da essere come il centuplo di quello che si sarebbe ceduto per amore. Egli ha mantenuto e mantiene la sua promessa. Se ci sono gli scontenti della vita religiosa o sacerdotale che si credono delusi, vedano bene prima se veramente hanno lasciato tutto col cuore, e se l'hanno lasciato per Gesù Cristo e per il Vangelo. Lasciare il poco unicamente per avere il più non sarebbe fare un sacrificio vero ma una speculazione e, dolorosamente, molte anime speculano sui loro apparenti sacrifici.
Per questo Gesù soggiunge misteriosamente che molti primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi, per dire che nella vita eterna avremmo avuto la sorpresa di vedere tra gli ultimi molti di quelli che hanno creduto di avere dato tutto a Dio, e di vedere tra i primi quelli che hanno rinunziato a poco apparentemente e l'hanno rinunziato con tutto il cuore. Egli voleva delicatamente elogiare gli apostoli che avevano lasciato ben poco, ma quel poco era tutto quello che avevano, e voleva così sostenere la loro speranza in un premio eterno.
Ecco una scena piena di contrasti: un ricco che rifiuta l'invito di Gesù, e diventa estremamente povero di beni spirituali; dei poveri che rinunziano al poco che hanno e diventano immensamente ricchi di beni spirituali e degli aiuti anche temporali della provvidenza. Ecco da" una parte il regno del mondo, ricco di risorse, che non riesce ad eliminare la povertà, ed il regno di Dio votato alla povertà, e ricco di grazie e di aiuti. Certo non è di tutti lasciare ogni cosa per amore di Dio, ma quelli che lo fanno non hanno a pentirsene, qualora servano al Signore fedelmente. Niente manca a chi è fedele ai suoi impegni spirituali, e la sua vita, spoglia di ogni ingombro di lusso, è illuminata sempre dalla grande speranza del Paradiso.
Sac. Dolindo Ruotolo

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