sabato 29 marzo 2014

30.03.2014 - Commento a Efesini cap. 5, par. 2

2. Imitiamo Dio nella misericordia, e Gesù Cristo nella carità.
I primi due versetti di questo capitolo sono la chiusa e la conferma dell’esortazione con la quale san Paolo, nella fine del capitolo precedente, aveva premurato gli Efesini ad essere benigni gli uni verso gli altri, misericordiosi, facili a perdonare scambievolmente, come Dio aveva loro perdonato pe...
r Cristo (versetto 23). Siate, dunque, imitatori di Dio come figli carissimi - egli soggiunge - e camminate nella carità siccome anche il Cristo ci ha amati, ed ha dato se stesso per noi a Dio, quale oblazione e vittima di soave odore.
I figli hanno il dovere di imitare il proprio padre, e voi, figli adottivi di Dio, dovete imitarlo nella sua misericordia. Egli per salvarci ci ha dato suo Figlio, e voi, amati dal Redentore fino al sacrificio della sua vita, dovete amarvi anche col sacrificio della vostra vita, camminando in quella carità che Egli è venuto ad accendere sulla terra. Egli si è donato a Dio per voi quale oblazione e, secondo il significato greco di questa parola, in sacrificio volontario, e quindi per amore; si è dato come vittima di soave odore e, secondo il greco, come ostia cruenta, nel sacrificio della croce, ostia di soave odore, non perché bruciata dalla fiamma, come le antiche ostie che erano figura di Lui, ma perché arso dalla sua infinita carità, e perciò voi dovete ardere del suo amore e della sua carità verso i vostri fratelli, per imitarne l’esempio.
Non può concepirsi un cristiano, figlio di Dio, che non usi misericordia come Dio la usa né può concepirsi priva di carità ed egoista un’anima redenta dall’amore e dal sacrificio del Figlio di Dio incarnato. È questo il motivo sommo dell’amore e della misericordiosa carità che deve ardere nei nostri cuori. Le creature di per sé non possono avere attrattiva alcuna per noi, perché sono quasi sempre ingrate verso chi le benefica e ripugnanti per le loro miserie ma, riguardandole come figlie dell’unico Padre celeste e sommamente amate da Gesù Cristo, ci fanno amare Dio in loro, e ci fanno in loro onorare e ringraziare Gesù Cristo che si è donato tutto ad esse ed a noi.
L’impurità, causa di tanti mali
Dall’armonia della carità san Paolo passa a parlare dell’armonia della vita, che non può ridursi ad un abbrutimento, ma che ci è stata data dal Signore per lodarlo, amarlo e servirlo. I peccati della carne distruggono questa santa armonia, e sono una contraddizione stridente con la professione cristiana, che è eminentemente professione di santità. Perciò san Paolo soggiunge con forza particolare: Fornicazione, poi, e qualsiasi altra impurità o avarizia neppure si nomini tra voi, come si addice ai santi. Tra cristiani simili azioni debbono essere così lontane dalla loro vita da non ingenerarne neppure il sospetto, di modo che non si nomini neppure tra loro il vizio impuro o / ’avarizia, ossia l’avidità delle ricchezze, così connessa con l’impurità, non potendosi dar corso a certe ignobili passioni senza denaro.
Il cristiano deve fuggire non solo le azioni impure ma anche i discorsi a doppio senso o addirittura sfacciati, e persino gli scherzi e le satire che riguardano oggetti impuri; né oscenità - dice san Paolo - o discorsi vani o buffonerie grossolane, che sono cose indecenti per un cristiano, ma piuttosto ringraziamenti a Dio, ossia discorsi eucaristici, lodi elevate al Signore, e discorsi di eterna vita.
I pagani, ignorando la legge di Dio, si servivano della lingua per dare sfogo almeno con le parole oscene alla loro impurità; i cristiani dovevano essere così puri da non trascendere mai, anche nelle parole, con discorsi impuri. Non tendevano essi alla vita eterna? Non dovevano così ereditare il regno di Cristo e di Dio? Ebbene, gli impuri e gli avari, idolatri della carne e del denaro, non potevano aspirare a questo regno, ma solo all’eterna perdizione. Sappiatelo bene - soggiunge san Paolo - nessun fornicatore o impudico o avaro, il che significa essere idolatri, sarà erede del regno di Cristo e di Dio.
Contro tale verità a nulla valevano i vani ragionamenti di quelli che si sforzavano di persuadere che i peccati carnali non erano così gravi come si diceva, e i cristiani non dovevano lasciarsi sedurre da tali ragionamenti, pensando, anzi, che tutti i flagelli venivano sulla terra per tali peccati: Nessuno vi seduca con vani ragionamenti — dice perciò l’Apostolo - poiché per tali cose viene l’ira di Dio sopra i figli ribelli. Non vogliate, dunque, accomunarvi a costoro nella colpa, per non essere accomunati ad essi nella pena. Un tempo, infatti, voi eravate tenebre, quando nel paganesimo ignoravate la Legge di Dio, e commettevate i peccati impuri per colpevole ignoranza della loro gravità; ora, invece, siete luce nel Signore, siete illuminati dalla luce della verità, e per l’unione con Gesù Cristo che è la stessa luce, siete fulgenti della luce della grazia, e dovete camminare come figli della luce vivendo santamente, poiché il frutto della luce della fede ricevuta per il santo Battesimo consiste in ogni sorta di bontà, di giustizia e di verità, non per semplice onestà naturale, ma per profondo convincimento della coscienza e per amore di Dio, esaminando quale cosa sia accetta al Signore.
Non partecipate, dunque, alle opere infruttuose delle tenebre, cioè a quelle azioni turpi che sono frutto delle tenebre e non producono alcun frutto per la vita eterna; anzi, con l’esempio vostro e con la vostra parola riprendetele, poiché tutto quello che si fa da quelli che vivono nelle tenebre, e si fa di nascosto, nel segreto del loro cuore o delle loro case, è turpe anche solo a dirsi.
Se voi con la vostra vita e le vostre parole mostrate di riprovate le azioni dei pagani, voi le mettete in chiaro nella loro turpitudine con la vostra luce, e questa vostra riprovazione per loro è luce che li illumina risvegliandoli dal loro sonno di morte, e facendoli risorgere a vita novella per Gesù Cristo che li illuminerà chiamandoli alla fede. Per questo san Paolo soggiunge: Tutto ciò che è riprovato è messo in chiaro dalla luce, poiché tutto quello che è manifestato è luce. Perciò dice la Scrittura: Svegliati, tu che dormi, e risorgi dalla morte, e Cristo t ’illuminerà.
Le parole della Scrittura che san Paolo cita, sono due passi di Isaia fusi insieme da lui, e citati assai liberamente (60,1; 26,19). Il profeta si rivolgeva a Gerusalemme peccatrice, ed alludendo manifestamente al Messia che sarebbe venuto per illuminarla, esclama profeticamente: Sorgi, ricevi la luce, o Gerusalemme, perché la tua luce è venuta. Evidentemente il Redentore non sarebbe venuto per illuminare solo Gerusalemme, ma tutto il mondo, ed avrebbe ridestato dalla morte del peccato tutti i peccatori, e perciò l’Apostolo cita le altre parole profetiche con le quali Isaia si rivolgeva ai peccatori Israeliti, e per essi a tutti i peccatori: Svegliatevi e cantate inni di lode, voi che abitate nella polvere (26,19); san Paolo, applicandole a tutti i peccatori chiamati alla nuova vita della Grazia, ne mostrava il compimento in Gesù Cristo, soggiungendo: E Cristo t’illuminerà. Gesù Cristo, luce della Chiesa e del mondo, ha risvegliato i peccatori dal loro sonno di morte nel peccato, e Gesù Cristo li ha fatti risorgere dalla loro morte illuminandoli con la sua dottrina e con la sua grazia.
Gli Efesini avevano anch’essi ricevuto il dono di tale chiamata dal sonno di morte, di tale risveglio a vita nuova e di tale grazia, e non dovevano renderlo vano, ricadendo da stolti nel peccato, e perdendo il tempo loro concesso per salvarsi, tanto più che, vivendo tra pagani, erano esposti al pericolo di essere nuovamente sopraffatti dalle tenebre, allontanandosi dal compimento della divina volontà che era la loro santificazione. Perciò l’Apostolo soggiunge: Badate, dunque, o fratelli, a come vi comportate, non da stolti ma da sapienti, recuperando il tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate, dunque, inconsiderati, ma comprendete bene quale sia il volere di Dio.
Inebriamoci di Spirito Santo!
Proseguendo nei suoi ammonimenti salutari, l’Apostolo mette in guardia gli Efesini contro un altro vizio dei pagani, ed esclama: Non v’inebriate di vino nel quale è lussuria, ma siate ripieni di Spirito Santo, ed intrattenetevi fra di voi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando dal fondo dei vostri cuori al Signore, rendendo sempre grazie per ogni cosa a Dio Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. L’ubriachezza è un’esaltazione dei sensi e soprattutto dell’impurità, che dà all’ubriaco o al semplicemente brillo una sovrabbondanza sconnessa di parole, una forza di cantare ed un’allegria smodata. San Paolo oppone a questa degradante ebbrezza la santa esaltazione che viene dalla pienezza dello Spirito Santo, per la quale l’anima canta a Dio e lo loda con salmi dal fondo del suo cuore, ringraziando Dio di tutti i suoi benefici e le sue misericordie nel nome del Signor nostro Gesù Cristo.
Il canto dei salmi e degli inni sacri era molto in uso nella Chiesa primitiva, ed era come un continuo inno di ringraziamento e di amore che si elevava a Dio in mezzo alle grandi tribolazioni dalle quali erano afflitti i cristiani per le persecuzioni pagane. Attraverso questi inni di pace e di amore rifulgeva la pace che inondava i loro cuori per la grazia di Dio, della quale erano in possesso. Essi riconoscevano dal Signore ogni bene, e riguardavano come un bene anche i dolori della vita, che erano per loro un’occasione di merito e l’ingresso trionfale alla vita eterna.
Il vero significato del Matrimonio cristiano
Dai doveri della vita interiore dei cristiani, san Paolo passa a parlare dei doveri nella vita domestica e nella vita sociale, dove la garanzia dell’ordine sta nella gerarchia, e quindi nella sottomissione e nell’obbedienza degli inferiori ai superiori. Egli annuncia prima un principio generale: Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo, e poi parla di quelli, che come inferiori, sono obbligati a questa sottomissione: le spose, i figli e i servi. Le mogli siano soggette ai mariti come al Signore, egli esclama, perché il marito è il capo della donna, come Cristo è il capo della Chiesa che è il suo corpo, di cui Egli è il Salvatore. Non è una sottomissione di schiavitù o di oppressione, ma una sottomissione di amore, di protezione e di salvezza.
La donna si sente difesa dal marito, e gli obbedisce per avere una guida nella sua difficile vita. Questo concetto della sottomissione delle mogli, impone perciò ai mariti il dovere di amarle: Voi, o mariti - soggiunge l’Apostolo - amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa, e per essa ha dato la sua vita, a fine di santificarla col lavacro dell’acqua, mediante la parola della vita, per far comparire davanti a sé questa Chiesa rivestita di gloria, senza macchia né ruga o altro che di somigliante, ma tutta santa ed immacolata.
L’amore dei mariti per le loro mogli deve avere per modello l’amore di Gesù Cristo per la sua Chiesa, e quindi non può essere un amore puramente sensuale o una simpatia capricciosa, che è destinata a dissiparsi con lo sfiorirsi della bellezza fisica che la può produrre.
Gesù Cristo ha dato la vita per la sua Chiesa, al fine di santificarla; Egli unisce a sé le sue membra vive col lavacro dell’acqua, ossia col Battesimo, che opera la purificazione mediante la parola della vita ossia mediante la formula sacramentale che accompagna l’effusione dell’acqua. In tal modo la Chiesa compare innanzi a Lui rivestita di gloria, senza macchie né ruga o alcunché di simile, ma tutta santa ed immacolata. Le spose prima di andare a nozze facevano un bagno purificatore per il corpo, e Gesù fa ai membri della sua Chiesa un lavacro di grazia che li rende puri da ogni macchia. Dolorosamente, questi membri perdono l’innocenza avuta nel Battesimo, ma rimangono sempre nella Chiesa gli infanti che la conservano, e quelli che la riconquistano con la penitenza. Ora, come Gesù Cristo ama la Chiesa santificandola, i mariti debbono amare le mogli per la mutua santificazione, poiché essi formano con esse come un solo corpo del quale rappresentano il capo, e debbono amare la loro santificazione come amano la propria santificazione.
Gesù Cristo ama la sua Chiesa non solo purificandola ma nutrendola col suo Corpo e col suo Sangue nell’Eucaristia. Egli lasciò il seno del Padre e venne in terra per donarsi tutto alla sua Chiesa, e formare con essa un sol Corpo mistico, e il marito deve amare la sua donna nutrendola col suo lavoro, e donandosi ad essa con un amore superiore ad ogni altro amore, e persino all’amore che si ha verso il proprio padre e la propria madre, secondo quello che Dio stesso disse nell’istituire il Matrimonio, come si legge nel Genesi (2,24): Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre sua, e si unirà alla sua donna, e i due formeranno una sola carne. Il Matrimonio riguardato nel suo alto significato dell’amore di Gesù Cristo per la sua Chiesa, e dell’amore della Chiesa per Gesù Cristo, è un grande Sacramento, e per questo Sacramento e il significato grande che ha - soggiunge l’Apostolo - ogni marito ami la propria moglie come se stesso, e la moglie rispetti il marito riguardandolo come suo capo, obbedendo a lui in tutto quello che è conforme alla Legge di Dio, e riguardandolo come suo sostegno e sua difesa nel pellegrinaggio terreno.
Sac. Don Dolindo Ruotolo

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