venerdì 28 marzo 2014

29.03.2014 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 18, par. 2

2. Pregare con costanza e con umiltà. Semplicità dei bambini
Avendo Gesù accennato nel capitolo precedente alle tribolazioni degli ultimi tempi del mondo, esorta i suoi alla preghiera continua, costante e quasi importuna, per ottenere la misericordiosa giustizia di Dio contro le ingiustizie dei persecutori. Negli ultimi tempi, infatti, sarà tanta l'iniquità degli uomini e così generale l'apostasia che qualunque rimedio o iniziativa umana sarà impossibile; rimarrà solo il grande mezzo della preghiera, e Gesù esorta tutti a fame uso, raccontando una parabola, nella quale caratterizza l'indole dei capi di Stato degli ultimi tempi.
C'era un giudice in una città, il quale non temeva Dio e non aveva riguardi per gli uomini. Era scettico, miscredente, privo di ogni concetto di superiore giustizia e per conseguenza non aveva alcun senso di rispetto o di carità per gli uomini.
Questa malvagia caratteristica noi la vediamo già nei capi atei o miscredenti di tanti Stati moderni, i quali non conoscono la giustizia ma il delitto o la sopraffazione.
C'era in quella città una vedova che aveva ricevuto qualche grave torto o danno, ed incapace di difendersi con le sue forze, perché vedova, ricorse al giudice iniquo. Ma inutilmente, giacché egli non se ne curò e la disprezzo. Essa però non si stancò di supplicarlo e si rese così importuna che il giudice, annoiato, per non essere tormentato dalle sue insistenze, la contentò.
Con questa parabola Gesù fece un argomento dal meno al più: se un giudice iniquo, al quale non importava nulla della giustizia, finì per cedere alle insistenti preghiere della vedova, Dio, che è giustizia per essenza, non ascolterà la preghiera di chi lo invoca giorno e notte contro le sopraffazioni degli empi?
La preghiera che può conquidere un uomo scellerato con l'importunità non conquiderà l'infinita bontà di Dio con l'amore? Egli ascolterà chi lo supplica, e non sarà lento, ma prontamente renderà giustizia.
Gesù dà la ragione di questa sua esortazione e dice chiaro per quali tempi principalmente la fa, soggiungendo: Quando il Figlio dell'uomo verrà, credete voi che troverà fede sopra la terra?
Ecco i tempi nei quali sarà più che mai urgente pregare. Verrà il Figlio dell'uomo in una straordinaria effusione di grazie nella Chiesa e per la Chiesa, ma troverà le anime senza fede ed estremamente rilassate; verrà negli ultimi tempi per giudicare tutti, ed apparirà glorioso quando l'apostasia sarà quasi completa sulla terra; in questi tempi i pochi fedeli superstiti, sbattuti da fierissime persecuzioni ed impossibilitati a difendersi, potranno trovare scampo solo in Dio, e lo troveranno pregando immediatamente.
Sono vicini i tempi predetti da Gesù?
I tempi predetti da Gesù già si delineano in tante nazioni, dove l'apostasia e l'ateismo fanno strage, e dove le persecuzioni, manifeste o subdole, lasciano i fedeli senza aiuto e senza difesa, in balìa degli uomini più perversi.
La situazione presente del mondo è tale che non si vede quale possa esserne il rimedio efficace.
Alcuni sperano persino in una guerra generale e lo auspicano, senza pensare che la guerra è un terribile castigo che lascia sempre una scia di altri castighi spirituali e materiali. Altri s'illudono di poter conquidere i despoti del mondo, senza pensare che, avendo essi in mano la potenza brutale, non si lasciano né convincere né conquidere. Ci può solo la preghiera e per questo la Chiesa in questi tempi la intensifica e cerca sgominare gli empi con questa sua potenza grandiosa, che è quasi un bombardamento dall'alto fatto sulle loro posizioni fortificate.
Chi sente parlare di preghiera quando incombe un pericolo grave, quasi sogghigna, pensando ad un'ingenua illusione. Si può dire, infatti, che, inconsciamente, chi più chi meno, quasi tutti hanno la convinzione dell'inefficacia della preghiera e la credono un ripiego ed una fanciullata nei momenti nei quali stimano urgente l'agire e l'irrompere.
Questo stato interiore così falso deriva dal fatto che ognuno conta al suo attivo parecchi insuccessi in ordine alla preghiera; anzi, a volte, gl'insuccessi rivestono il carattere d'un fallimento completo. Nessuno pensa di pregare male o di non pregare addirittura, pur facendo molte orazioni; nessuno si umilia sinceramente quando non è esaudito, o quando si presenta al Signore per supplicarlo, ed in realtà può dirsi che rare volte noi domandiamo veramente. Perciò Gesù con una parabola volle rivelarci quale è l'atteggiamento dello spirito che rende inefficace od efficace la preghiera. È una cosa importantissima che bisogna ponderare, perché la preghiera ci è indispensabile più del pane.
Il fariseo e il pubblicano
Due uomini andarono al tempio per pregare; uno era fariseo, pieno di sé, orgoglioso, sprezzante, e l'altro era pubblicano, cioè era uno degli esattori pubblici, stimati dal popolo come esosi peccatori. Il fariseo cominciò a pregare in una maniera strana: stava ritto in piedi, con atteggiamento tracotante e, più che pregare, cominciò ad elogiarsi ringraziando ipocritamente Dio delle buone qualità che presumeva di avere, ma in realtà compiacendosene dentro di sé, e mettendosi al di sopra degli altri ed al pubblicano, con senso di profondo disprezzo per essi. Alle sue pretese buone qualità civili, diciamo così, aggiunse quelle religiose, limitandole al digiuno ed alla paga delle decime e dimenticando completamente gli atti di vero culto a Dio e l'umile adorazione della sua maestà.
Non è improbabile che Gesù abbia formato la parabola su di un fatto realmente avvenuto; ad ogni modo Egli sintetizzò nella preghiera del fariseo l'atteggiamento della falsa pietà e manifestò le ragioni per le quali la preghiera riesce inefficace.
L'anima sta ritta in piedi innanzi a Dio, quando presume di se stessa e manca di umiltà; sta ritta quando pretende che Dio la esaudisca e, più che pregarlo, vuole imporsi alla sua maestà, non di rado bestemmiandolo larvatamente. Nel suo atteggiamento superbo il fariseo pregava dentro di sé, non pregava Dio, e le sue parole tracotanti rimanevano in lui e non giungevano al trono dell'Altissimo come non vi giungono quelle di coloro che pregano con tracotanza.
Pregava dentro di sé, letteralmente, biascicava fra sé le parole che diceva, perché in realtà l'anima sua non si espandeva né si elevava in Dio.
Pregava, ma in realtà si elogiava, dicendo che non era come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, e non si accorgeva che con l'atto di superbia che faceva era rapace della gloria di Dio, ingiusto verso il prossimo che giudicava male, e adultero, almeno spiritualmente, per le innumerevoli e gravi infedeltà che faceva alla divina Legge.
Quante volte noi preghiamo con disposizioni di spirito capaci di farci condannare, perché portiamo nel cuore le miserie dei nostri peccati e facciamo recriminazioni contro il prossimo? Invece di supplicare, contendiamo con Dio e crediamo ingiuste le disposizioni della sua provvidenza, ribellandoci a Lui proprio nell'atto nel quale più dovremmo conciliarci la sua misericordia!
Invece d'implorare, riconoscendoci miseri e bisognosi, ci crediamo degni di essere esauditi; il nostro maledetto orgoglio ci chiude le porte della grazia ed il Signore non può esaudirci.
Com'è bello ed efficace il pregare come il povero pubblicano, che non osava neppure alzare gli occhi al cielo e, percuotendosi il petto, diceva al Signore: Abbi pietà di me che sono un peccatore! Riconosciamoci peccatori, perché dolorosamente lo siamo; confessiamoci indegni delle divine misericordie, umiliamoci profondamente e Dio ci esalterà con la sua grazia e le sue misericordie. Chi presume di sé è umiliato e non ottiene grazie; chi si umilia innanzi a Dio è esaltato e si vede subito esaudito in ciò che domanda.
Il pubblicano implorò misericordia ed ebbe misericordia, uscendo dal tempio giustificato, cioè rimesso in grazia di Dio; il fariseo si lodò, esaltando la propria pretesa giustizia, ed uscì condannato dalla casa di Dio, perché il modo stesso col quale parlava mostrava chiaramente che il bene del quale si vantava l'aveva fatto per vanità e per essere stimato dagli uomini. Era, dunque, un bene effimero che meritava di essere ripudiato da Dio.
Nel pregare preoccupiamoci prima di tutto di ristabilire la nostra amicizia con Dio; domandiamogli perdono dei nostri peccati, umiliamoci per averli commessi ed imploriamo la grazia di non peccare mai più. Quando stiamo in grazia di Dio, tutti i beni temporali dei quali abbiamo bisogno ci vengono per sovrappiù, e la misericordia divina ci esalta anche nella vita presente, dandoci una vita di pace nel pieno abbandono al suo amore.
Negli ultimi tempi del mondo, ai quali Gesù si riporta esortandoci alla preghiera, ci sarà, come già c'è, una grande recrudescenza di orgoglio; ognuno crederà di essere un superuomo, prendendo innanzi a Dio un atteggiamento di tale presunzione da meritare di essere riprovato e condannato. L'orgoglio è e sarà la causa di gravi tribolazioni per la terra, è e sarà la causa principale di quell'apostasia dalla fede, che riduce e ridurrà le povere nazioni come campi trincerati di spaventose lotte. A quest'orgoglio bisogna opporre la nostra umiltà, e riparare le ingiurie che si fanno al Signore annientandoci al suo cospetto e gridando alla sua bontà infinita: Abbi pietà di noi che siamo peccatori.
I fanciulli e il regno di Dio
Mentre Gesù parlava della necessità di umiliarci innanzi a Dio, condussero a Lui dei fanciulli perché li avesse benedetti, toccandoli. Siccome essi facevano frastuono, gli apostoli li sgridavano, cercando così di allontanarli. Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: Lasciate che i fanciulli vengano a me e non vogliate loro vietarlo, poiché di questi è il regno di Dio. E soggiunse: In verità vi dico: Chi non riceverà il regno di Dio come un fanciullo non vi entrerà.
Opportunamente la ressa dei fanciulli gli diede modo di completare la sua grande lezione di umiltà: non si può andare a Dio con la prepotenza di chi si crede forte o grande; bisogna andarvi con l'animo umile e semplice dei fanciulli.
Chi vuole presumere di penetrare le cose divine senza umiltà si trova avvolto da maggiori tenebre, non gusta le cose celesti e si smarrisce nella confusione della propria ragione.
Oh, se sapessimo andare a Dio come piccoli figli al Padre amorosissimo, quanto la nostra vita sarebbe più calma e piena di luce e di benedizione! Oggi invece si pretende rendere adulti i fanciulli, distruggendo la serenità della loro età, infarcendola persino di idee politiche e traviandola con aspirazioni guerriere. È un delitto spaventoso, proprio dei nostri tempi, e Gesù lo condannò con le sue divine parole: Lasciate che i fanciulli vengano a me. Non possono andare che da Lui, poiché Egli solo sa formarli e sa trarre dal loro cuore innocente i tesori che vi sono nascosti. Il mondo moderno pretende formare una generazione di eroi, e forma una genìa di delinquenti; crede di disciplinare la gioventù e la rende spaventosamente ribelle ad ogni legge; toglie all'infanzia le gioie dell'innocenza e rende pesante ed infelicissima la vita fin dal suo schiudersi.
La fede sboccia e prospera nell'anima semplice ed innocente come quella di un fanciullo. Quando si pretende contendere con Dio, si smarrisce il suo lume, si cade nella confusione delle proprie idee, si fantastica con mille stupide trovate, si perde la verità e la pace, e si vive una vita infelicissima.
Proponendoci i fanciulli come modello di semplicità e di sottomissione, è chiaro che Gesù non ci propose l'infanzia sbrigliata, ma quella che andava a Lui e viveva delle sue benedizioni. Ci additò le qualità naturali dell'infanzia come modello, e non le deviazioni che anche in quell'età possono verificarsi; ci parlò della fanciullezza, in altri termini, e non dei singoli fanciulli, i quali tanto spesso sono tutt'altro che esempi di semplicità, di virtù e di sottomissione alla divina volontà.
Custodiamo nel cuore il preziosissimo dono della fede, e preferiamo mille volte lasciare nell'oscurità la povera ragione, anziché immergerla nelle esasperanti luci di fiammeggianti incendi di stoltezza e di passioni. La santa oscurità della fede brilla sempre di stelle, come il firmamento e diventa tutta folgori nell'umiltà del cuore; la pretesa luce della ragione è sempre piena di fosche nubi di tempesta e getta l'anima nelle opprimenti tenebre dell'uragano. Signore, Signore, donaci il tesoro della fede semplice, e fa che riposiamo come bimbi nelle tue braccia paterne.
Sac. Dolindo Ruotolo

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