mercoledì 12 marzo 2014

13.03.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 7 par. 4-5

4. Pregare ed abbandonare nelle mani di Dio con la preghiera la cura di mutare le anime
Gesù Cristo, dicendo di non dare le cose sante ai cani, e le perle ai porci, non vuole affermare che gli uomini ridotti così debbono lasciarsi in abbandono, egli anzi ci esorta a pregare, a chiedere insistentemente e con ardore la conversione di queste anime, e in generale a domandare il bene per noi e per tutti quelli che ci possono sembrare difettosi. La sua bellissima esortazione alla preghiera è legata a quello che dice prima, e quantunque possa applicarsi a qualunque preghiera, riguarda principalmente quelle che si fanno per il proprio miglioramento e per quello degli altri.
La conversione è una grazia difficile, perché non discende solo dall'infinita liberalità di Dio, ma richiede la cooperazione dell'umana libertà. Bisogna chiedere, perché la grazia eccitante muova l'indurito cuore del peccatore; bisogna cercare dal Signore stesso i mezzi, le occasioni e le circostanze propizie per muoverlo al bene, e bisogna picchiare alle porte della divina misericordia, perché si aprano, nonostante i demeriti e le miserie di chi vive come povero animale. La preghiera, fatta in questa maniera insistente e per un fine così grande, raggiunge il suo scopo, perché il Signore dà il bene a quelli che lo cercano, cioè - com'è detto in san Luca (11,13) - dà il desiderio del bene, il disgusto del male, l'apprezzamento delle cose sante, in una parola, lo spirito buono, a quelli che lo cercano per gli altri, o che, vedendosi peccatori, imperfetti e pieni di miserie, lo cercano per loro.
Non bisogna dimenticare che il Signore ha voluto che le cose temporali e le necessità della vita fossero abbandonate a Lui, e che, quando parla dell'efficacia della preghiera, intende parlare di quella fatta per le necessità spirituali.
Egli l'ha promesso e non può fallire; non fallisce mai nel dire che le cose temporali ci vengono per sovrappiù, quando riguardiamo principalmente le necessità dello spirito. Disgraziatamente anche nel campo della carità è raro trovare cuori ardenti che sappiano preoccuparsi principalmente e, diremmo essenzialmente e prima di tutto, delle anime. L'uomo non è un ruminante che, o mangia o tritura ciò che ha mangiato; non può cioè stare sempre in occupazioni e in preoccupazioni di mangiare; deve pensare che ha un'anima da salvare, una meta eterna da conquistare, e deve volgere a questa meta tutte le sue aspirazioni.
Dobbiamo preoccuparci di avere lo spirito buono, cioè di veder morire in noi il vecchio Adamo e Yanimalis homo, e il saper tendere a Dio con tutto il nostro amore. Questa è la preghiera che Gesù Cristo vuole che facciamo per noi e per gli altri, e questa è la preghiera che dichiara d'infallibile effetto. Ci sono molti, infatti, nei quali la natura sembra invincibile, e in essi il male appare come un'ossessione. Certe miserie d'orgoglio, di avarizia, d'ira, d'impurità, di bassa intemperanza, d'accidia, d'invidia, sembrano che rimangano in noi nonostante i nostri sforzi per vincerle. Quando ci sembra di averne riportato vittoria, alla prima occasione anche leggera che ci diamo, alla prima tempesta di tentazioni, alla prima debolezza nel combattere, rinascono con tanta virulenza che ci fanno scoraggiare, e possono farci precipitare nell'abisso per sempre.
Certi stati di animo del nostro prossimo, intestardito in una passione, acceso di concupiscenza, sopraffatto dalla violenza del carattere, cieco nelle tenebre della miscredenza, ostinato nel peccato, sembrano quasi una fatalità, un destino che lo trascina all'abisso. E proprio e principalmente per questi stati di animo e per queste miserie invincibili che Gesù Cristo ci dice di chiedere, di cercare e di bussare, assicurandoci che Dio ci esaudisce sempre quando gli domandiamo il buono spirito, ed è impossibile che non ci esaudisca e ci deluda, come sarebbe assurdo pensare che un padre possa dare al figlio che supplica, pietra per pane e serpente per pesce. Chiedere, cercare, bussare, e con questo Gesù ci dice chiaro che le grazie di questo genere si domandano con insistenza continua, e che bisogna sostenere in noi e negli altri la debolezza della guasta natura continuamente, come continuamente si deve sostenere un masso che tende a precipitare a valle, ed alimentare una lampada che si consuma per la stessa sua fiamma.
5. La carità è suggello della preghiera
Gesù riepiloga tutta la grande lezione sulle relazioni spirituali col nostro prossimo, esclamando: Fate dunque agli altri tutto quello che volete che facciano a voi gli uomini, poiché in questo sta la Legge ed i Profeti. E sempre la carità che suggella l'esortazione sulla preghiera, perché non si è esauditi se non si ha carità, ed è la carità l'espressione sintetica della Legge e dei Profeti.
La carità non ci fa giudicare gli altri, ci fa credere peggiori di tutti, e ci fa essere delicati coi peccatori; la carità ci spinge a pregare e rende efficace la preghiera.
Dio ci tratta come noi trattiamo gli altri, ed è nostro interesse avere carità verso tutti. Carità di pensieri, di parole, di tratti, carità delicata, che guarda nelle creature l'immagine di Dio, carità spirituale e carità corporale. È a questo prezzo che si traggono le grazie dal Cielo e s'inonda la vita di benedizioni. La carità è la radice ed il fiore di tutte le virtù, e per questo Gesù Cristo ci dice che in essa si sintetizzano la Legge ed i Profeti; fare agli altri poi ciò che vogliamo fatto a noi stessi, è la sintesi di ciò che la Legge e i Profeti insegnano sulle mutue relazioni degli uomini, perché l'amore del nostro bene, che non ci fa mai errare nel desiderare ciò che ci giova, è la misura più sicura per non farci illudere dalla durezza a riguardo degli altri.
Sac. Dolindo Ruotolo

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