giovedì 6 marzo 2014

06.03.2014 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 9 par. 5

5. La via che conduce a Dio: abnegazione cristiana
Annunziando in termini precisi la sua Passione e la sua morte, Gesù pose gli apostoli innanzi ad un nuovo orizzonte. Anch'essi avevano sognato un Messia glorioso e trionfante, un restauratore politico del regno d'Israele, e questa loro speranza non si dileguò neppure dopo la sua risurrezione; anch'essi speravano che Egli avesse vinto clamorosamente l'ostilità dei sacerdoti, degli scribi e dei farisei; ora, sentendo dire da Lui stesso che era necessario, cioè inevitabile, che Egli patisse molto e fosse riprovato dagli anziani, dai principi dei sacerdoti e dagli scribi, il loro spirito dovette non poco disorientarsi, benché non avessero capito tutta la portata delle sue parole. Cadevano i loro sogni di grandezze, e si trovavano di fronte ad un avvenire fosco. E vero che Gesù disse che dopo essere stato ucciso sarebbe risorto il terzo giorno, ma per loro che cosa era la promessa di un miracolo inconcepibile dalla comune mentalità, di fronte alla spaventosa prospettiva della persecuzione e della morte?
Gesù li vide disorientati e notò pure in loro una profonda incredulità alle sue parole; non volevano in nessun modo ammetterle e per questo non le intendevano, come si ricava da altri luoghi paralleli dei Vangeli. Quel loro disorientamento ed il desiderio vivo che avevano di un clamoroso trionfo poteva influire anche sulle moltitudini, con le quali gli apostoli oramai avevano preso contatto, e perciò Gesù rivolto ad essi ed a tutti esclamò: Chi vuol venire appresso a me rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua.
Prendere la croce significava, anche nel comune linguaggio degli Ebrei, patire; dunque non c'era da illudersi su trionfi immediati e su vantaggi materiali da trame; chi voleva seguirlo doveva rinnegare prima se stesso e poi accettare le inevitabili pene di un cammino doloroso e di immancabili urti e contrasti col male. Rinnegare se stesso, cioè rinnegare le proprie idee, le proprie aspirazioni, il proprio giudizio e la propria volontà; rinnegare se stesso non in un vano nichilismo, ma abbracciando il pensiero e la volontà di Dio, quindi rinnegarsi per elevarsi, per trasformarsi in novelle creature, per vivere non più naturalmente, ma soprannaturalmente.
Dice Gesù: Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà
Gesù Cristo perciò soggiunse: Chi vorrà salvare la sua vita la perderà; cioè chi vorrà pretendere di servirlo conservando la propria vita naturale, egoistica, accentratrice, avida di onori e di vantaggi materiali, non conseguirà quella che è vera vita, e chi per amor suo rinnegherà i propri pensieri e le proprie aspirazioni morendo a se stesso, salverà la vera vita dell'anima, pervenendo alla perfezione e alla salvezza eterna.
Che cosa sono, infatti, le cose del mondo e i vantaggi materiali innanzi all'eternità? Sono perdite per la vera vita, perché non costituiscono un merito ma un demerito, essendo impossibile vivere mondanamente e non macchiarsi l'anima, dar luogo alle passioni e non decadere fino all'ultimo abisso. Di fronte all'interesse d'una vita eterna non si poteva dunque esitare, anche se il seguire Gesù avesse dovuto costare la vita; e perciò le parole del Redentore si riferiscono pure all'estrema testimonianza della fedeltà e dell'amore, cioè al martirio, all'ultimo sacrificio della propria vita. Rinnegare, dunque, i pensieri, la volontà, i comodi, le vanità, ed immolarsi interamente, quando ce ne fosse bisogno, per dare testimonianza alla verità e salvarsi.
Tutto questo è duro per la natura, comporta un rinnegamento completo anche innanzi al mondo, che non lo capisce e lo deride; importa la rinunzia a se stesso, alle ricchezze, agli onori, ed anche a quel minimo di rispetto che può aversi nella vita dagli altri. Andando contro la comune corrente, infatti, è facile essere esposti alla berlina, ed essere tentati di dissimulare la propria professione cristiana; tutto questo è inconciliabile con l'interesse della propria salvezza e della gloria di Dio, e perciò Gesù dichiara solennemente che Egli si vergognerà innanzi a tutto l'universo quando verrà a giudicare il mondo nella gloria, si vergognerà di chi si sarà vergognato di Lui e delle sue parole.
Contro il rispetto umano
Con questa solenne affermazione Gesù cominciò quel combattimento contro il rispetto umano che ancora dura, e sempre durerà nella Chiesa. Sembrerebbe incredibile che si possano trovare anime vili che facciano più conto della burla di un miserabile che del giudizio di Dio, eppure si trovano; anzi la piaga del rispetto umano è, dolorosamente, più comune ed estesa di quello che si possa credere. La mancanza di vera e profonda fede, la preoccupazione delle miserabili cose della terra, e la mancanza di profondo amore a Dio ne sono la radice, e per questo Gesù soggiunse che tra quelli presenti vi erano alcuni che non sarebbero morti prima di vedere il regno di Dio. Egli promise così che alcuni suoi discepoli avrebbero visto la sua gloria, e sarebbero stati in grado di giudicare se era giusto trascurare un Re gloriosissimo, vergognarsene e rinnegarlo, per le misere creature della terra.
Il senso di queste parole è chiaro da quello che Gesù fece circa otto giorni dopo, o esattamente, secondo san Matteo e san Luca, sei giorni dopo, trasfigurandosi sul monte innanzi a Pietro, Giacomo e Giovanni. Questi apostoli lo contemplarono in una gloria magnifica, in compagnia di Mosè e di Elia, come subito vedremo, e poterono lasciare agli uomini un termine sicuro di paragone, mettendo in confronto le tenebre del mondo e la luce arcana e divina del Redentore.
Chi oserà rinnegare Gesù e vergognarsi di Lui e delle sue parole, accolte da Mosè e da Elia in profonda adorazione e proclamate dal Padre come Parole di vita?
Noi abbiamo in realtà tutta la ragione di vergognarci del mondo e della sua falsa dottrina, poiché nulla v'è di più vile innanzi agli occhi di Dio, e nulla apparirà di più obbrobrioso nel giorno del giudizio e negli splendori del regno eterno.
Possiamo anche noi dire che c'è qualche parte di noi che non muore prima di avere contemplato il regno di Dio. L'anima è presa, a volte, da un interiore fervore e da una grande luce, che le anticipa in certo modo la visione del regno eterno; è tratta da un'improvvisa grazia sulle altezze dello spirito, e nel candore della purezza può affissarsi in Dio. In questi momenti d'interiore trasfigurazione dobbiamo stare attenti a custodire la luce che il Signore ci dà, per avere novello vigore nel camminare per la via dell'abnegazione e della croce.
Un giorno di luce è come una vacanza dello spirito, che così prende lena nell'ascesa, e supera con piena libertà interiore tutte le degradanti viltà del rispetto umano. Nell'illuminazione della grazia tutto sembra facile: le lotte del mondo non ci spaventano, le croci sembrano dolci, l'abnegazione piena di sé appare com'è, libertà piena dello spirito e l'anima intende che è buona cosa lo stare col Signore ed il dichiararsene serva.
Sac. Dolindo Ruotolo

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