domenica 16 marzo 2014

17.03.2014 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 6, par. 36-38

5. Il regno di Dio non può essere stabilito che nella carità
Dopo aver tracciato i mezzi soprannaturali per riuscire nell'apostolato in mezzo al mondo, Gesù Cristo mostra i frutti che deve produrre, riunendo tutte le genti nella carità. Non si può pretendere di promuovere un regno di dominio e di forza, ma si deve produrre un regno di amore, togliendo ogni causa di dissensione, ed unendo le creature in Dio, per la Chiesa e nella Chiesa. Fondamento di questo amore non può essere l'egoismo esclusivista, ma deve essere la bontà e la carità, misurata quasi sul medesimo egoismo, e perciò bisogna fare agli altri quello che vorremmo fatto a noi stessi.
È una regola ammirabile, fondata su di un fatto psicologico di prim'ordine, poiché il senso della carità e della compassione viene dalla propria esperienza.
È impossibile compatire e sollevare con piena comprensione se non si è sperimentata l'angustia del prossimo, ed è da se stessi che comincia il senso della vera carità.
Chi vede un altro soffrire ciò che egli ha sofferto sente quasi rivivere in sé quel dolore, nel ricordo angoscioso, e presta gli uffici di carità con la premura affettuosa con la quale li presterebbe a se stesso. È per lui quasi un sollievo postumo il poter alleviare una pena che una volta l'ha tormentato, ed è anche una soddisfazione intima il poter mostrare la sua esperienza del dolore, raccogliendo il compatimento postumo di chi lo soffre. Quando un male non si è sperimentato, bisogna sforzarsi di entrarne nel merito, immaginando che in quel momento ci colpisca.
È così che si fa agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi, e che si evita ciò che può dar loro pena o fastidio.
Fondamento però di ogni atto di vera carità non può essere né la simpatia naturale, né il desiderio del contraccambio; la misura del compatimento dev'essere la nostra esperienza, perché sia vivo ed efficace, ma il motivo della carità dev'essere Dio e il suo amore.
Qualunque altro motivo è illusorio e può essere anche una forma larvata di egoismo. E naturale, infatti, amare quelli che ci amano, fare del bene a chi ci benefica, e dare in prestito a quelli dai quali si spera il contraccambio; anche i peccatori, cioè le anime senza vita soprannaturale, giungono a questo senza sforzo e senza merito.
Per onorare invece il Signore e vincere se stessi, bisogna amare i nemici come figli dello stesso Padre divino e fare del bene per amor suo, imitandone la bontà. E un segreto non di debolezza, ma d'immensa superiorità e grandezza, poiché è proprio allora che ci leviamo al di sopra dei nostri nemici conquidendoli con l'amore e che mostriamo una grande superiorità di animo, beneficandoli disinteressatamente.
Dio, che è infinita grandezza, è infinitamente misericordioso e benigno con gl'ingrati e coi cattivi, perché non ha bisogno di nessuno, ma dona sempre. Noi nella benignità e nella misericordia lo imitiamo, ed invece d'impigliarci nelle basse competizioni dell'egoismo, ci eleviamo nelle altissime vette di quell'amore che vince il male col bene e mantiene l'armonia e la pace nella carità.
Oggi, dolorosamente, tanti falsi profeti, che presumono di stabilire l'umana società su altre basi, fanno intensa propaganda di principi diametralmente opposti e disseminano nel mondo le agitazioni interne e le guerre. Stabilire come principio il reagire con l'odio e con la violenza al male significa moltiplicarlo ed accrescere all'infinito le cause dei contrasti. In tal modo non si finisce mai di agitarsi, perché ogni sopraffazione violenta ne genera un'altra, e questa un'altra più feroce, di modo che l'odio termina nel desiderio di sterminare la parte contraria, e non si placa che nella rovina più spaventosa.
Il regno di Dio è regno di amore, e nella carità distrugge ogni dissenso, ridonando agli uomini la pace.
Radice delle dissensioni sono i giudizi che si fanno sulle azioni e sulle intenzioni altrui e la mancanza di generosità verso il prossimo, e per questo Gesù Cristo soggiunse: Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarà a voi perdonato, date e sarà dato a voi. È questo l'equilibrio vero della carità, ed è legge di giustizia posta da Dio stesso che si riceva nella medesima misura che si dà tanto nel bene quanto nel male.
È una legge poco considerata, dolorosamente, ed ha le radici nella giustizia di Dio e nella medesima natura umana. Chi giudica gli altri senza carità attrae su di sé incoscientemente il giudizio degli altri, e Dio permette che subisca il contraccambio di quello che fa; chi condanna e chi non perdona soggiace alla stessa legge, e praticamente danneggia se stesso.
Chi giudica, condanna e non perdona è sempre uno che ha un animo volgare e basso, ed appuntando gli strali contro gli altri, attrae l'attenzione su di sé, e subisce lo stesso trattamento. L'esperienza quotidiana dimostra quanto siano vere le parole di Gesù, come dimostrano quanto sia feconda di beni la carità e la generosità esercitate per amore di Dio.
I santi sono stati sempre i più generosi in queste virtù, e sono stati ricompensati dalla divina bontà e dalla divina provvidenza e per le loro mani caritatevoli sono passati tesori di provvidenza.
Gesù Cristo parlava principalmente agli apostoli ed a quelli che avrebbero dovuto propagare il suo regno, poiché se per tutti è un dovere la carità e la generosità, per i ministri di Dio è una necessità imprescindibile. Un sacerdote che mormora con facilità, che condanna senza misericordia, che non perdona e non è generoso nel dare è continuamente esposto agli strali altrui, e forse è proprio questa la ragione ultima di tante contrarietà che subiscono i ministri di Dio, facili a mormorare di tutto e di tutti, spietati molte volte nel valutare le azioni del prossimo, e restii nel fare la carità.
Se il regno di Dio è fondato sulla carità, è logico che chi ne è propagatore e ministro deve esserne esemplare, e perciò Gesù Cristo soggiunse che un cieco non può guidare un altro cieco senza trascinarlo con sé nella fossa, e che un discepolo non è da più del maestro.
Se un sacerdote è cieco su questi precetti di carità e non li osserva, porterà il popolo alla rovina, e formerà delle anime senza carità. Non vale la scusa che si giudica per deplorare e si è severi verso il prossimo per ottenere il suo miglioramento, perché colui che trasgredisce la legge della carità non propugna il bene vero, che deve cominciare da sé, ma osserva la pagliuzza nell'occhio del suo fratello, trascurando la trave nel proprio occhio. Non può esser frutto buono di carità un frutto colto dalla trasgressione di un precetto di Dio, e non può riguardarsi come frutto di bontà quello che è colto dalle spine della natura adirata o sconvolta. Se il cuore fosse veramente retto e buono, non darebbe come ricchezza del suo tesoro una miseria contro la carità, poiché la bocca parla dall'abbondanza del cuore.
I sacerdoti dunque non possono illudersi pensando che mancano alla carità per amore di bene, poiché un frutto di morte non può spuntare da un albero di vita.
Ecco dunque il fondamento saldo del regno di Dio: la carità. Qualunque opera di apostolato che non è fondata sulla carità è come edificio fondato sull'arena che nelle tempeste si rovina.
Il sacerdote deve stabilire il suo apostolato sulla roccia della carità e radicare così profondamente nel suo cuore questa virtù da essere incrollabile nelle tempeste che il mondo gli muove. Solo nella carità può riguardare tutti gli uomini come suoi fratelli e come figli di Dio, e solo con la carità può ammansirli e ridurli come docili pecorelle dell'ovile del Redentore.
È questa la grande risorsa dello zelo per condurre a salvezza le anime, poiché noi siamo stati redenti dalla carità di Gesù Cristo, e solo nel suo amore possiamo continuare la conquista dei cuori a Lui, fino al termine dei secoli.
Sac. Dolindo Ruotolo

Nessun commento:

Posta un commento