lunedì 24 marzo 2014

25.03.2014 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 1, par. 4

4. Il grande momento dell'Incarnazione del Verbo
In un'umile borgata, celebre non per grandezza ma per il disprezzo proverbiale nel quale era tenuta, viveva un'umile verginella, sposata ad un umile falegname. Quando si voleva dare un appellativo di disprezzo, si diceva: È stolto come uno di Nazaret, e quella borgata era così umiliata, che non si credeva potesse dare i natali a qualche cosa di buono. Il Signore, che deride le umane vedute e che si compiace dell'umiltà, volle scegliere proprio questa borgata come luogo per incarnarsi. Come Egli adagia la fava nel morbido baccello e manda la rugiada fecondante nella notte, così volle riposare nell'umiltà, e discendere in un luogo di sommo nascondimento agli uomini.
L'umiltà
L'umiltà, l'umiltà è il fascino di Dio, perché è il foco nel quale la sua luce può riflettersi e la sua grandezza può manifestarsi. Egli che, conoscendo se stesso genera il Verbo, non trova altro luogo dove riporre il Verbo fatto fiore di lesse che nell'umiltà, conoscenza di se stessi nella piccolezza. La creatura, conoscendo se stessa ed umiliandosi, attira il Creatore; nel soave vuoto dell'umiltà Egli rifulge, poiché il disprezzo amoroso nel quale la creatura si sprofonda è apprezzamento di Dio, ed ha qualche cosa di quell'etema conoscenza feconda del Verbo eterno. E un mistero d'amore che il mondo non conosce.
L'orgoglio è di sua natura ingombrante ed accecante; è disconoscimento di Dio, è apprezzamento di se stesso ed è il meno adatto a ricevere la luce eterna, perché opaco e ancorato nella sua stoltezza. L'umiltà, l'umiltà, qual sapore di pace e di fecondità ha questa dolcissima virtù! Ogni vita, ogni ricchezza preziosa nel mondo erompe dall'umiltà: la pianta viene dal seme, sempre piccolo e sprofondato sotterra, la gemma viene dalle tenebre d'una miniera, l'oro è in fondo al terreno o nei gorghi delle acque, la perla è tra le valve d'un mollusco legato allo scoglio negli abissi del mare. Non nasce la vita se una creatura non si umilia ad un'altra, non prospera nei fulgori ma nel silenzioso mistero della gestazione. Tutto quello che appare troppo o fa troppo frastuono ha più i segni della morte che della vita.
Umiltà, umiltà: quanto è alta questa bassezza ineffabile! Si curva per ricevere l'abbraccio di Dio, e diventa potenza, sapienza ed amore! Umiltà, umiltà, quanto sei bella nel tuo splendore nascosto, gemma di purissima acqua che raccoglie il raggio del divino Amore e si bea nella silenziosa contemplante adorazione! Umiltà, umiltà; virtù che attrae le angeliche schiere com'è attratta la tenerezza materna sul piccolino che dorme nella culla, poiché gli angeli, dopo la caduta di Lucifero e delle sue schiere, hanno orrore dell'orgoglio e sono attratti dall'umiltà che li rese eternamente felici!
La Verginella di Nazaret
L'umiltà attrasse Dio sulla terra, poiché la Verginella da Lui scelta come suo tabernacolo vivente era la più umile di tutte le creature. Maria, della discendenza di Davide, di stirpe regale, era in realtà sconosciuta a tutti, e viveva come umile persona del popolo nelle modeste condizioni di una vita di lavoro. S'era tutta consacrata al Signore fin dalla piccola età nel tempio, e gli aveva offerto la sua verginità immacolata; ma chi aveva cura di lei l'aveva voluta sposare ad un uomo della stessa casa di Davide, Giuseppe e, come si usava in quei tempi, aveva contrattato il matrimonio a sua insaputa. Essa aveva obbedito, fiduciosa di conservare intatto il suo giglio, poiché l'uomo al quale era stata legata era di straordinaria virtù. Può supporsi che gliene avesse parlato; ma forse, con maggiore probabilità, s'era interamente affidata al Signore, aspettando da Lui la guida nel suo misterioso cammino. Nella sua profonda intuizione della divina volontà, aveva capito che Dio aveva un fine in quel casto connubio, e s'era acquietata confidando in Lui. Questo non è una pia supposizione, ma può dedursi dal suo atteggiamento verso san Giuseppe, dopo l'Incarnazione del Verbo, poiché, come vedremo, Essa non gli svelò il mistero, ma attese che Dio glielo avesse svelato.
La purezza dell'umile Verginella era ineffabile. Nessuno ha potuto scrutarne a fondo il mistero, poiché era una purezza completa.
Concepita Immacolata, era l'unica creatura sfuggita alla macchia originale ed era discesa in terra dalle altezze dei cieli, dove Dio l'aveva creata, come un fiore tutto profumato di grazia. Il suo Santo Nome, Maria, rispecchiava la sua grandezza, poiché Essa era nobile come una grande signora, ed aveva nella sua virtù qualche cosa di immenso, bella nell'anima per l'ordine ammirabile delle sue potenze e nel corpo per la perfezione delle linee purissime, tutte fulgenti di santità. Non aveva nulla di affettato nella sua grande virtù, e l'umiltà e la semplicità erano il suo velo più bello.
Nessuno avrebbe mai sospettato che l'umile fanciulla silenziosa, soffusa tutta di un sorriso di bontà e di pace, che andava ad attingere l'acqua alla pubblica fontana e lavorava col fuso e tesseva, fosse più grande degli angeli; era un orto chiuso, abitacolo della Santissima Trinità, una fonte sigillata, un santuario di amore divino, dove s'elevavano come ostie di amore le preghiere e le offerte del suo cuore.
San Giuseppe
San Giuseppe che l'aveva sposata, vergine anche lui, e semplice, amoroso custode di tanta grandezza, la considerava in silenzio, tanto era il rispetto che gli suscitava quella purezza immacolata. Dallo stato regale dei suoi antenati nel quale era nato s'era ridotto nella povertà ed esercitava l'umile mestiere di falegname. La sua bottega non era un emporio di arte, poiché egli faceva il falegname del grosso, come si dice, e confezionava aratri, stipiti di porte e simili cose più umili, per sopperire al quotidiano sostentamento. Nessuna casa fu più pacifica e più grande della sua, benché materialmente fosse modesta e povera. Non si entra in quelle stanze che ancora si conservano, e che furono trasportate dagli angeli a Loreto, senza una profonda commozione; dopo duemila anni vi si sente ancora il profumo delle virtù di Maria e di Giuseppe, e vi si canta con immensa gratitudine: Qui il Verbo si fece carne per opera dello Spirito Santo.
Maria si trovava in questa casetta e pregava. Era sola, poiché non ancora san Giuseppe l'aveva legalmente condotta a casa sua, benché le fosse stato già sposato. Dio nella sua infinita sapienza l'aveva scelto come custode della verginale e divina Maternità di Maria, affinché innanzi al mondo rimanesse celato e tutelato il grande mistero; l'aveva scelto per dare a Gesù la paternità legale che lo costituiva discendente di Davide, ma non volle che fosse presente al momento dell'Incarnazione del Verbo, perché doveva esservi ed apparirvi completamente estraneo.
Può supporsi però che san Giuseppe, nel momento della Incarnazione, fosse in preghiera anche lui, poiché l'angelo, come per Zaccaria così per Maria, scelse l'ora dell'orazione per compiere la missione avuta da Dio. Erano due cuori distanti che pregavano ardentemente, uniti nel connubio dell'amore di Dio, pieni di desideri santi e di fervorosi sospiri alla redenzione. Dio, che è infinita delicatezza in tutte le opere sue, volle che le due grandi anime fossero congiunte in Lui e avessero parte così insieme al compimento del mistero. Era il più sublime connubio che poteva realizzarsi tra due immacolate verginità.
La preghiera di Maria
Maria pregava. Noi non conosciamo il mistero di quelle preghiere che attrassero in terra il Verbo di Dio, ma possiamo arguirlo dal contesto del Vangelo: l'angelo la salutò piena di grazia: fu questa la sua sorpresa, per così dire, nel vederla, perché la grazia rifulgeva in Lei più splendida; dunque, era inabissata in profonda umiltà, poiché sta scritto che Dio dà la grazia agli umili. L'angelo disse: Il Signore è con te dunque, era in tanta unione di contemplazione da essere in familiarità intima col Signore, e da ospitarlo in pieno nel santuario del proprio cuore. L'angelo la chiamò con un superlativo ebraico benedetta fra le donne, ossia più benedetta di tutte le donne; dunque, Essa implorava dal Signore la grande benedizione per l'umanità, e sospirava alla benedetta che avrebbe dovuto generare il Messia; in quel momento era proprio Lei la benedetta, e rifulgeva fra le donne per la verginale fecondità che stava per renderla Madre di Dio. Donna presso gli Ebrei era quasi sinonimo di maternità, e Maria doveva elevarsi come donna fra tutte le creature, mirabile miracolo di fecondità vergine.
Maria pregava in un'estasi di amore, tutta vivificata dall'eterno Amore con la pienezza dei suoi doni, dei suoi fratti e delle sue grazie; era quindi in un momento di straordinario fervore, e per ciò stesso era in un momento di straordinario abbassamento interno, perché il fervore acceso dallo Spirito Santo ha sempre un sapore di soavissima umiliazione. Stava col Signore, lo contemplava, lo conosceva come in una visione beatifica, e guardava per riflesso la propria piccolezza. Innanzi a Dio che cosa era la stessa Maria? Il suo sguardo era fisso non semplicemente a Dio con un'elevazione di fede, ma a Dio come è, nella sua augusta Trinità, ed era logico che le si svelasse luminosamente così in un momento nel quale doveva compiersi l'opera più grande della Santissima Trinità: il Padre mandava il Figlio, il Figlio discendeva dalle eterne regali sedi, lo Spirito Santo compiva il mistero donandogli in Maria un corpo vero ed un'anima splendente di arcana santità. Si abbassavano i cieli alla terra, e Maria li vedeva nel loro splendore perché si abbassavano a Lei. Chi può approfondire questo misterioso momento?
Maria pregava, meditava, contemplava. La terra le era come sparita, le mura della casetta erano come trasparenti; non la chiudevano più nella loro strettezza, ed Essa spaziava nei cieli. Quale luce arcana!... La Santissima Trinità! L'eterno Principio di tutto, incircoscritto e tutto in sé, il Padre; il fulgore della sua conoscenza eterna che eternamente genera il Figlio; e la fiamma dell'eterno Amore erompente dal Padre e dal Figlio e congiungente il Padre ed il Figlio in un Amore personale, sussistente ed eterno. Quale spettacolo!
Maria contemplò soprattutto la Paternità infinita, e vide il suo purissimo splendore, semplicissimo, che escludeva ogni composizione. Vide erompere per così dire dalla Paternità il Verbo eterno e dal Verbo e per il Verbo lo splendore della creazione. Era il miracolo dei miracoli, e la sua anima immacolata si curvò ed adorò, immota, in una felicità senza pari. Essa constatò allora quanto distava l'uomo da Dio, e come era pallida in lui l'immagine e la somiglianza col creatore! Vide lontano il vertiginoso roteare degli astri, vide la terra, e sulla terra l'uomo, germoglio corrotto nella radice, tutto rami intristiti ed infecondi, carichi anzi di germi di morte. Vide il misero sviluppo di quella vita che avrebbe dovuto glorificare il Creatore, e scorse il percorso dei secoli umani, carichi di fatuità e di delitti; vide che il raggio eterno della grazia non raggiungeva più le creature, ed esse nascevano come in un algido polo, dove il sole non sorgeva più, e dove la solitudine ed il gelo erano perenni. Che pena al Cuore Immacolato di Maria quella desolazione immensa e senza umane speranze!
Vide sì gli sforzi della povera creatura per procurarsi la luce e la vita, ma questo le offrì uno spettacolo più desolante: qua e là piccoli punti che si sforzavano di essere luminosi, la povera sapienza umana che raccoglieva i sarmenti della sua pianta inaridita per far luce e dava solo bagliori e fumo. Dovunque, eretti sui piedistalli preziosi, le ignominiose creazioni delle mani umane, gl'idoli, misera caricatura del divino, suggeriti da satana. La vita che doveva tendere in alto in alto, alla conquista di Dio, era invece inabissata nella mota dei sensi, e gemeva in una grande infelicità, consumandosi ferocemente in vane conquiste. Vide le grandi potenze terrene come soffioni che s'aprivano pomposamente, ed erano dissipati dalla tempesta. Gl'imperi, gli eserciti, le guerre erano miseri sforzi dei conquistatori del cielo, ridotti per loro colpa a raccattatori di rifiuti destinati al fuoco.
Sostò l'anima benedetta di Maria innanzi a questo spettacolo di morte, e ricordando i sospiri dei suoi patriarchi, gridò a Dio con tutto l'amor suo: Vieni, salvaci, non tardare, manda Colui che devi mandare, scendi come rugiada sul vello inaridito, inondaci come pioggia di misericordia, donaci il Giusto.
Maria pregava. Nel suo popolo, il prediletto di Dio, c'era ancora la promessa di una benedizione immensa, e questa promessa era passata di generazione in generazione e s'era fermata sulla casa di Davide. Maria volse lo sguardo al suo popolo e gemette. Languiva la fede e si attendeva non il Salvatore ma un dominatore. Le voci dei profeti stroncate prima dalle violente persecuzioni degli empi, erano dimenticate; la desolazione aveva toccato anche il luogo santo, ed i sacrifici e le oblazioni erano povere cerimonie senza vita.
Maria pregò che quelle figure oramai smorte avessero il loro compimento, e si offrì al Signore in un perenne olocausto, rinnovandogli la consacrazione della propria verginità, perché si fosse compiuta la maternità miracolosa che doveva dare il Messia.
Era l'oblazione più monda che doveva attrarre la fiamma dal cielo, l'eterna Fiamma proprio su di Lei, e compiere il mistero.
È opinione dei Padri, opinione concorde che rispecchia la verità, che Maria affrettò i momenti della discesa del Verbo di Dio fra noi; fu la sua preghiera che aprì i cieli, ed è logico supporre che questa preghiera culminasse nel momento dell'Annunciazione. Noi non facciamo perciò solo delle pie congetture, ma ricostruiamo psicologicamente, benché pallidissimamente i momenti arcani nei quali Maria divenne Madre di Dio per opera e virtù dello Spirito Santo. L'eterno Amore la fecondò quando Essa più sospirò alla gloria di Dio ed alla salvezza degli uomini.
Era raccolta in Dio e si volgeva a Lui pregando. Com'era bella! Nessun pittore ha potuto ritrarla in questa bellezza, perché nessuno ha saputo dipingere la luce dello spirito trasparente dalla carne purificata dall'amore divino. Maria era genuflessa, in atteggiamento di profonda umiltà; aveva le mani conserte, il capo velato, il cuore a Dio, e gli occhi socchiusi nella più soave modestia. Quei suoi grandi occhi, pieni della luce di Dio, erano come velati dalle palpebre, che si abbassavano quasi velo del tempio, sul mistero della verità e dell'amore. La fronte purissima era serena, e splendeva per il riflesso dei suoi grandi pensieri. Le guance pallide, con una leggera sfumatura di rosa davano al suo volto l'aspetto d'un fiore aperto nella bruma, che attende il raggio vivificante del sole. La sua bocca era atteggiata ad un sorriso di pace, riflesso della felicità interna che l'inondava.
Era un monumento di purezza, e le sue stesse vesti spiravano come profumo di nardo soavissimo. Essa non supponeva neppure lontanamente che potesse essere l'eletta di Dio.
Pregava.
Quand'ecco giunse un angelo di Dio
Quand'ecco una gran luce invase la stanzetta e la fece trasalire. In quella luce splendeva più fulgido un angelo di Dio.
Maria non si turbò e non temette, perché era abituata alla compagnia degli angeli; ma s'accorse che quel celeste messaggero non era come gli altri in quel momento. Non aveva un aspetto di maestà, ma sembrava prostrato in riverente ossequio; rifulgeva di luce più grande, poiché portava il più grande messaggio che sia stato mai portato dal cielo in terra; ma la sua grandezza era velata dall'umiltà.
Sostò per un momento, si curvò, ed ammirando il capolavoro di Dio esclamò: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne. E si fermò adorando Dio che l'aveva fatta così bella, poiché in lei vedeva i riflessi più luminosi dell'infinita santità.
Maria, l'umilissima Maria si sentiva salutata con parole grandi che per Lei erano incomprensibili; allora si turbò perché quelle parole non avevano eco nel suo Cuore, abituato ad impiccolirsi; erano come un linguaggio sconosciuto per lei, e pensò che cosa potessero significare. Non sospettò che fossero un elogio, ma temette che fossero un rimprovero, un segno dello scontento di Dio. Si rileva chiaro da ciò che l'angelo soggiunse: Non temere, perché hai trovato grazia innanzi a Dio.
Si direbbe, è la psicologia delle anime veramente umili; esse si turbano negli elogi, perché sembrano loro un assurdo, e li riguardano come un traviamento del loro cuore, perché ad esse sembrano che manomettano la gloria di Dio.
Maria non si turbò nella visione dell'angelo, come suppongono alcuni, ma nelle sue parole, come dice esplicitamente il Sacro Testo, e non sapendone intendere il significato, come chi ascolta una lingua sconosciuta, mostrò fino a qual punto giungeva la sua umiltà! Fu in quel momento di abbassamento interiore che l'angelo la preconizzò Madre di Dio: Ecco, concepirai nel tuo seno un figlio e lo chiamerai Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo, ed il Signore gli darà la sede di Davide suo padre, e regnerà in eterno nella casa di Giacobbe, ed il suo regno non avrà mai fine. L'angelo disse: Concepirai nel tuo seno e partorirai; dunque, doveva diventare veramente madre; doveva dare nome al suo Figlio Gesù, Salvatore', dunque, si compivano i vaticini che annunziarono la salvezza d'Israele e del mondo; il Figlio sarebbe chiamato Figlio dell'Altissimo', e quindi Essa sarebbe stata la Madre di Dio. Avrebbe avuto il regno di Davide in eterno, il vero regno promesso al santo Re, il regno della grazia e dell'amore che sarebbe durato in eterno.
Maria rimase pensosa. Essa era sposata a san Giuseppe, aveva promesso a Dio il fiore verginale, e sapeva che l'aveva promesso anche Giuseppe; che cosa doveva fare? Desiderosa solo di compiere la divina volontà voleva sapere come doveva compierla. Maria in quel momento fece un atto di virtù più grande di quello di Abramo, ed invece di mostrarsi pronta ad immolare il suo figlio, si mostrò pronta anche a rinunziare alla sua verginale integrità, se così a Dio fosse piaciuto. Non è esatto il supporre ed il dire che Maria avrebbe rinunziato alla divina Maternità per non rinunziare alla verginità; questo non sembrerebbe consono alla piena sottomissione di Maria al volere di Dio. La Vergine espose solo la sua particolare condizione, ed implicitamente quella di san Giuseppe: Essa non conosceva uomo e, dato il suo voto, non poteva conoscerlo; se Dio l'avesse voluto Essa aveva uno sposo vergine, che per la sua consacrazione apparteneva a Dio solo; come sarebbe avvenuta la concezione? Essa non poteva rompere il legame che san Giuseppe aveva stretto con Dio, e domandava come sarebbe potuto avvenire il concepimento. Ma l'angelo subito la rassicurò; Essa avrebbe concepito per opera dello Spirito Santo, e la sua verginità, come quella di san Giuseppe, sarebbe rimasta integra.
Le parole dell'angelo non furono una semplice affermazione, furono una gran luce, poiché egli parlava a nome di Dio. Nessuno può capire con quale amoroso rispetto un angelo pronunzia il Nome di Dio, dal quale tutto riceve e nel quale si bea. Gabriele, nel nominare lo Spirito Santo, rifulse di amore fruendo dell'eterno Amore e, nell'accennare alla virtù dell'Altissimo, mostrò nel suo volto il suo riverente timore per l'onnipotenza divina. Era fulgido di amore e prono in adorazione talmente profonda, da fare apprezzare l'infinita distanza che sta tra la potenza della creatura e quella del Creatore. Maria in quel momento contemplò la potenza di Dio e vi si abbandonò con un atto di fede illimitata. Non aveva bisogno di sapere altro, non aveva bisogno di scrutare, non volle pensare alle conseguenze esterne di una sua concezione miracolosa; curvò l'intelletto e credette, piegò la volontà e si donò, aprì il cuore ed amò d'intenso amore Dio.
L'angelo soggiunse che anche Elisabetta, benché sterile, aveva miracolosamente concepito un figlio, e stava già al sesto mese, perché niente era impossibile a Dio. Era questa la prova umana che dava per la ragione di Maria, giacché Dio nelle sue grandi opere e nelle sue rivelazioni, ha sempre un riguardo delicato per l'umana ragione. La fede piena in Lui è in tal modo sostenuta, ed ha una maggiore facilità nel suo slancio. La luce nella ragione è come la spinta della catapulta all'aeroplano che deve spingersi al volo senza motore, e lo lancia d'un colpo nell'azzurro del cielo.
Fede e ragione
Si crede prima e poi si ha la luce nella stessa ragione, poiché dall'altezza si può contemplare la valle e misurare l'altezza, mentre dalla valle non può contemplarsi l'orizzonte dell'altezza. È una cosa di grande importanza: non si va alla fede scrutando, ma si può scrutare quando si crede, per maggiormente amare, contemplare e credere.
Gli sforzi della ragione umana precedenti la fede sono utili solo a spingerci a Dio ricercando da Lui la fede; ma questa è luce trascendente e vivificante che non si trova nelle povere caverne della ragione, appena fosforescenti. È più bello illuminare la ragione col sole della fede che pretendere di far luce col lucignolo della ragione. Noi non ponderiamo quanto è meschina questa nostra ragione di fronte alla luce ineffabile di Dio; per questo le diamo tanta importanza. I santi semplici, che si sono abbandonati alla luce di Dio, hanno avuto sempre una ragione illuminata immensamente più di quella dei grandi pensatori della nostra povera terra.
Maria credette: «Ecco la serva del Signore...»
Maria credette al grande mistero che le si annunziò e credette all'effusione dello Spirito Santo in Lei. Curvò la fronte con immensa umiltà, aprì il cuore con piena dedizione, e pronunziò quelle ammirabili parole che dovevano far compiere il grande mistero dell'Incarnazione del Verbo: Ecco la serva del Signore, sia fatto di me secondo la tua parola. Fu un momento solenne che la povera penna non sa rendere; fu il momento delle nozze d'una creatura con l'eterno Amore, e della discesa del Verbo nel suo immacolato seno. Si direbbe che questa discesa di amore fu come l'immenso peso che fece traboccare la bilancia della misericordia, e sollevò Maria fin là dove il Verbo era disceso, fino alle altezze eterne. Maria si raccolse in silenzio, si inabissò in Dio, si donò a Lui interamente, umiliandosi fino alla polvere del proprio nulla. Sparì quasi in questo atto di profondissima umiltà e pregò ardentemente. Avvertì una grande pace, e sentì rifluire nella sua vita una corrente di purezza sterminata.
Il suo corpo sembrava fosse diventato spirito, tanto era luminoso e diafano in quella gran luce che l'adombrava. Fu tutta come un cantico vivente di amore: cantavano le sue potenze nelFarmonia dei doni dello Spirito Santo, rifulgeva l'intelletto di sapienza divina, rifulgeva la volontà tutta unita a quella di Dio, l'inondava una luce immensa di scienza celeste per la quale conversava nei cieli, anzi nella pace amorosa della Santissima Trinità, poiché da quel momento Dio la chiamava quasi nel divino consesso: era infatti la figlia, la sposa, la madre di Dio, aveva in sé l'immagine più grande della Santissima Trinità, era principio generante del Verbo Incarnato, l'aveva nel suo seno, congiunto a sé per l'eterno Amore, e poteva rispondere come eco alle eterne parole: Ex utero ante luciferum genui te, dette da Dio Padre, con le parole del suo amore materno: Dal mio seno, nella luce di Dio ti ho generato. È mirabile! Dio parlando dell'eterna generazione del Figlio paragonò il suo eterno seno all'utero verginale, perché non fosse sembrato strano che da una vergine un giorno potesse essere concepito il Verbo Incarnato, e Maria poteva paragonare il suo utero al seno eterno di Dio Padre!
Ed il Verbo si fece Carne
L'angelo fu testimone delle nozze di Maria con lo Spirito Santo e dell'Incarnazione del Verbo; fu quello un momento di grande gioia per il suo spirito ardente, e sostò in adorazione. L'eterno Amore che congiunge il Figlio al Padre, congiunse il Figlio alla Madre divina. Attivò in Lei un amore immenso e l'avvolse con la sua fiamma; l'adombrò, cioè la fece quasi sparire in quella fiamma, rendendola quasi incandescente in Lui. Quell'amore era Lui stesso fatto fiamma del Cuore di Maria, di modo che Maria visse tutta di Lui e per Lui in quel momento. Egli ardeva come la fiamma del Sinai, e non la consumava, ma la vivificava. Maria era come assorbita da Lui, pur conservando la propria personalità; un germe vitale del suo seno fu penetrato dalla vita che lo Spirito Santo attivava e cominciò il suo sviluppo. Era un germe incontaminato, verginale, penetrato senza alcuna lesione non da un germe umano ma creato dalla virtù di Dio, e la vita che lo attivò era quella dell'eterno Amore. Maria poté dirgli con verità più grande di quello che non lo dicano le creature alle creature: Sposo d'amore sei tu per me.
La grazia dello Spirito Santo s'irradia nelle creature e le arricchisce di doni perché possano essere lode di Dio; in Maria lo Spirito Santo non s'irradiò ma la vivificò, rendendola feconda del Verbo Incarnato lode sostanziale di Dio; Maria si sentì doppiamente come divinizzata, e la gratitudine che aveva per Dio le fece sentire in una tenerezza ineffabile la divina Paternità. Chiuse gli occhi, glorificò il Signore esultando, nel silenzio del suo cuore, rimase prona in adorazione, più bella di tutti gli angeli del cielo. Gabriele la guardò stupefatto, vide trasparire da Lei la luce stessa di Dio, poiché in quel momento s'era realizzato il grandioso miracolo: La donna aveva circondato ed avvolto l'uomo Dio nella propria vita, lo faceva vivere di sé e viveva di Lui, di modo che la sua vita per Lui aveva qualche cosa di divino. Il sangue che fluiva nel Figlio era suo, ed in Lui diventava Sangue divino per l'unione ipostatica; rifluiva poi dal Figlio in Lei come Sangue divino, comunicandola di sé. La grande e piccola circolazione passava nel Cuore Immacolato della Madre, ma rifluiva nel Cuore divino del Figlio, e ritornava a quello della Madre. Si saturava naturalmente di ossigeno nei polmoni della Madre e di vita divina nel Figlio, di modo che la vita materna era continuamente vivificata dal Figlio divino.
È questa la più grande meraviglia dell'Incarnazione del Verbo in Maria, ed è la Comunione che la elevò alla più grande santità in ciascuno di quei 20 o 30 secondi nei quali il sangue compiva tutto il suo giro nel sistema arterioso e venoso. Tutto il corpo di Maria ne era santificato, e fin nelle più piccole fibre dove i vasi capillari raggiungono un diametro di cinque millesimi di millimetro, fin negli organi più lontani dalla vita razionale, fluiva la vita divina, e santificava tutte le attività, rendendole lode di Dio.
Era logico che dove viveva la lode sostanziale di Dio tutto dovesse essere lode, e che il corpo che aveva dato la vita temporale al Verbo Incarnato fosse un corpo tutto voci di amorosa lode a Dio.
La bellezza anche fisica di Maria divenne arcana, poiché d'un tratto i suoi lineamenti spirarono qualche cosa di divino. I suoi muscoli erano santificati; le sfumature del suo colorito erano come illuminate dalla tavolozza divina; splendeva come sole, più del sole in un placido azzurro mattutino; aveva nel suo candore il fulgore di un'alba, nei suoi pigmenti il brillare degli astri, nelle sue ciglia la maestà dell'arco del firmamento, nella sua bocca la serenità d'un cielo silenzioso a meriggio.
Era una meraviglia di soprannaturale bellezza, poiché tutto il suo corpo immacolato aveva la posa espressiva di una novella arte di amore che nessun artista può dare alle sue sculture. Le ammirabili proporzioni della sua persona erano più semplici per la sua purezza, più spontanee per il suo abbandono in Dio; spiravano un profumo di vita, benché fermate in un solo gesto e prone in un'estatica adorazione.
Il suo non era un corpo, era un cantico vivo, una melodia sommessa che si diffondeva d'intorno come sussurro soave dell'orto chiuso e della fontana sigillata da Dio.
Le mani conserte cantavano nel loro abbandono di umiltà, cantavano le braccia pronte alla divina volontà, cantava il corpo fatto tempio di Dio, come cantano gli archi lanciati in alto, fermati sul vuoto e trionfanti del peso, delicate armonie tratte dalla rude materia; cantava come cantano gli ori d'una volta raccolta, brillanti nei raggi del sole, occhi di luce sul sereno abisso della navata, cantava come cantano le salde colonne dell'abside, ferme come cherubini adoranti, ed ingentilite nei ricami dei capitelli corinzi, cantava come canta un altare che raccoglie la Vittima divina tra le volute del soavissimo incenso. L'anima traspariva tutta da quel corpo velato di arcana modestia, ed il cantico del suo amore echeggiava da tutta la persona immacolata: Magnificat anima mea Dominum.
Il Cuore di Maria, tabernacolo dell'Eterno
L'angelo abituato ai cantici del cielo trasalì di gioia; abituato a raccogliere le preghiere dei santi, porse le mani adoranti per raccogliere quelle di Maria, perché nelle sue preghiere c'erano già i sospiri del Verbo Incarnato; abituato a vigilare i cuori degli uomini come principe forte, si abbassò innanzi al Cuore di Maria, tabernacolo dell'Eterno. Non osò parlare più, non la salutò, ma, incurvandosi come fiore innanzi al sole, si profumò degli effluvi divini, divina rugiada che era discesa placidissima sul vello immacolato nella notte del mondo, e spiccò il suo volo nei cieli, ricco delle prime offerte dell'altare dell'olocausto e di quelle del timiama divino, per presentarle al trono dell'Eterno: Discessit ab illa angelus, l'angelo si allontanò da lei.
Maria rimase sola, non si mosse, tutt'assorta in preghiera; era una sola cosa col Verbo del Padre, fattosi piccolo, silenzioso e prigioniero per amore. Essa era in quel momento la sua parola, Essa doveva raccoglierla dalla profondità del suo seno, e farla erompere dalle sue labbra, come erompe la fresca polla di acqua dagli abissi del suolo.
Pregò. Era in suo intimo possesso la vita divina, era mille e mille volte di più di un'anima che dopo la Comunione prega, ringrazia ed adora, per pregare col suo Redentore.
Pregò, ed il suo fervore era come triplice fiamma accesa in Lei dallo Spirito Santo, era fiamma che voleva diffondersi nella carità, perché l'amore a Dio porta con sé immancabilmente quello del prossimo. Pregò.
La casetta era tutto un silenzio di pace; sembrava un bosco fiorito, tutto illuminato dal sole e gorgogliante di fresche fontane. Le pareti parevano esultanti e sorridenti, soffuse d'un mistico incenso, come le pareti d'un tempio dopo la Messa solenne. Entrava il sole dalle aperte finestre e segnava sul pavimento una fascia di oro, quasi volesse essere tappeto di gala alla Regina del cielo, ricca di Dio. C'era una frescura di vita in quelle umili stanze, che sembravano come un campo di biondissima messe, poiché là era maturato nella terra benedetta il frumento degli eletti. Era spoglia nella povertà e sembrava ricchissima, anzi era ricchissima, custodia della più bella gemma dei secoli e del più splendente brillante dell'eterna miniera.
Maria pregò per gli uomini. Se li sentiva tutti nel Cuore, e le loro miserie come le loro pene la commuovevano. Il Cuore le si era dilatato e si sentiva Regina di grazie. Donarle, ecco l'impeto della sua novella carità; donarle prima di tutto a chi doveva preparare le vie alla divina misericordia, ecco il suo vivo desiderio. La premurava Gesù che voleva cominciare la santificazione degli uomini santificando il Precursore, poiché in quel momento non poteva cercare altra anima nella quale cominciare il compimento dei suoi disegni. Lo zelo divenne fiamma, e Maria uscì di casa e si pose frettolosamente in cammino verso i monti di Ebron, per raggiungere una delle città sacerdotali della Giudea dove abitavano Zaccaria ed Elisabetta.
Sac. Dolindo Ruotolo

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