1. Il significato letterale di questo capitolo.
San Pietro comincia la sua lettera con un prologo, nel quale indica il suo nome, quale gli fu imposto da Gesù Cristo nel suo primo incontro con lui, in luogo o in aggiunta al suo nome di nascita, e manifesta la sua qualifica principale, apostolo di Gesù Cristo. Scrive lui posto a capo della Chiesa, e perciò si annunzia col nome che gli fu posto proprio per designarlo come capo e salda pietra fondamentale della Chiesa che Gesù Cristo cominciò a fondare eleggendo ad uno ad uno i dodici suoi discepoli, e poi unendoli in un solo corpo, chiamandoli precisamente Apostoli.
Questo corpo fondamentale con a capo S. Pietro lo formò dopo lunga orazione. S. Luca, infatti, così racconta l’elezione degli Apostoli: « Avvenne in quei giorni che Gesù andò sopra un monte a pregare, e stava passando la notte in orazione a Dio. E, fattosi giorno, chiamò i suoi discepoli, e scelse dodici di essi, ai quali diede anche il nome di Apostoli: Simone, cui diede il soprannome di Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo e Giovanni, Filippo e Bartolomeo, Matteo e Tommaso, Giacomo d’Alfeo e Simone chiamato Zelote, e Giuda di Giacomo, e Giuda Iscariota, che fu il traditore (Luc. 6, 14).
Anche S. Matteo e S. Marco parlano di questa elezione dei dodici, con la stessa particolarità di S. Pietro al primo posto. Il primo posto era dato per dignità di capo, come l’ultimo era dato per indegnità di traditore (Matt. 10, 2; Marc. 3, 16).
Dopo essersi presentato col suo nome di autorità postogli da Gesù Cristo, e con la sua qualifica di Apostolo, avendo la missione di annunziare la parola di Dio, S. Pietro elenca i destinatari della lettera, e li chiama eletti pellegrini della diaspora, ossia cristiani, chiamati alla fede perché oggetto di una speciale scelta gratuita da parte di Dio. Li chiama pellegrini sia perché ogni uomo sta sulla terra solo di passaggio sia perché i cristiani ai quali scrive erano dispersi in varie regioni, fuori della loro patria. Come cristiani, però, benché in minoranza, erano eletti, come lo era stato il popolo ebreo, perché formavano il novello popolo di Dio.
Le regioni nominate da S. Pietro sembrano indicate secondo l’ordine col quale doveva percorrerle Silvano, nel portare questa lettera di S. Pietro: Ponto, Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinia, regioni che si trovano nella zona centrale e settentrionale dell’attuale Anatolia. La Galizia propriamente detta, o Gallogrecia, abitata da Celti, era nel centro dell’Anatolia con le città di Ancira, oggi Ankara, Pessinunte e Tavia. La provincia romana imperiale, detta Galazia, invece, comprendeva anche le regioni vicine, Pisidia, Frigia, Licania, parte del Ponto ecc. S. Pietro usa il termine Galazia nel senso stretto, perché la distingue dalle regioni appartenenti alla provincia galatica.
In quelle regioni Silvano doveva portare il messaggio del capo degli Apostoli, agli eletti di Dio, ai cristiani, eletti non per proprio merito, o come seguaci di una nuova dottrina, ma eletti per grazia speciale, secondo la prescienza di Dio Padre, la prima Persona della SS. Trinità, alla quale si attribuisce l’elezione degli uomini alla fede con un suo disegno provvidenziale non di semplice prescienza, ma di amore, per il quale li elegge alla salvezza mediante la santificazione dello Spirito, che si concretizza nella infusione della grazia santificante, per la quale l’elezione amorosa di Dio, fatta ab aeterno, si realizza nel tempo, per la fede e per i meriti del Sangue di Gesù Cristo.
Dio Padre, per suo eterno decreto, stabilisce di eleggere e chiamare gli uomini all’eterna felicità dopo averli creati per questo fine altissimo. Li elegge ma non li forza, perché li ha fatti liberi, e la libertà è il fondamento del merito e quindi del premio della felicità eterna dovuta al merito. Gli eletti, e sono tutti, perché Dio vuole che tutti si salvino, sono aiutati nella loro libertà dalla grazia dello Spirito Santo, eterno amore di Dio, e sono arricchiti per l’aspersione del Sangue di Gesù Cristo, ossia per i meriti suoi.
Gli eletti da Dio, debbono obbedire a Lui, accettando la parola dell’eterna verità, e quindi, per la fede, aiutati dalla grazia dello Spirito Santo, e debbono santificarsi unendosi a Gesù Cristo, Verbo di Dio fatto uomo, mediatore di grazia per il suo Sangue, versato per amore; Sangue di alleanza tra l’uomo e Dio; Sangue di remissione dei peccati, nei quali l’uomo, perché libero, può cadere ed è caduto; Sangue d’infinito valore che arricchisce l’anima che si unisce a Gesù Cristo, Sacerdote e Vittima sull’Altare della Croce e nella SS. Eucaristia.
In poche parole, mirabilmente feconde di profondo significato, S. Pietro traccia tutto il disegno divino nella creazione e nella salvezza degli uomini, e lo traccia ai fedeli ai quali scrive, che già sono nella luce della fede, e perciò li saluta con un augurio di grazia e di pace: Grazia a voi e pace abbondi!
Dice grazia, per significare ogni favore divino adatto a conseguire la salvezza: dice pace, perché questa parola per gli Ebrei significava il complesso di tutti i beni messianici, ed il compimento dell’amore divino per gli uomini, e per questo Gesù ripetutamente disse agli Apostoli: « Vi lascio la mia pace, vi dono la mia pace (Giov. 14, 27). E protestò che la sua pace non era quella che dava il mondo, sterile parola di semplice augurio di tranquillità oziosa, ma la ricchezza dei suoi doni e della sua grazia.
Il mistero della SS. Trinità, col quale S. Pietro comincia la sua lettera, doveva orientare i fedeli nella loro vita soprannaturale di fede, poiché è il grande mistero che ci dà la conoscenza di Dio, nella sua verità: Un solo Dio in tre Persone, uguali e distinte, nella sua vita divina, ad intra, come si dice teologicamente. Un solo Dio nelle operazioni all'infuori della vita divina trinitaria; ad extra, operazioni che sono comuni a tutte e tre le Persone divine, ma che si distinguono per una particolare manifestazione della grandezza e della bontà divina rispetto a noi, creati da Lui.
Quindi per appropriazione, a maggiore intelligenza della reale distinzione delle tre divine Persone, noi attribuiamo le operazioni di potenza al Padre, le operazioni di redenzione al Figlio, che s’incarnò per salvarci, e le operazioni di santificazione allo Spirito Santo. Vediamo così in tre splendide luci che giungono a noi, l’infinita luce di Dio: nel Padre la decisione, nel Figlio l’esecuzione, nello Spirito Santo il compimento ed il perfezionamento.
Nelle operazioni ad extra, fuori della vita trinitaria di Dio, operazioni che sono la diffusione della sua bontà per la sua gloria, noi riconosciamo la potenza creatrice di Dio, principio e fine di tutte le cose; la misericordia provvidenziale di Dio che scende fino alle sue creature ragionevoli, cadute nel peccato, e risana l’abuso della loro libertà con l’obbedienza ed il sacrificio del Figliuolo incarnato; l’amore infinito di Dio, che con la grazia eleva e santifica le creature redente.
La vita divina ad intra, intima di Dio, infinita potenza, infinita sapienza, infinito amore. Eterno principio che conoscendosi per quello che è nella sua infinità, genera il Verbo eterno, ed amandosi, spira l’eterno Amore, lo Spirito Santo, che procede, come da unico principio, dal Padre che genera e dal Figliuolo che è generato; Amore infinitamente sussistente, eterna felicità di Dio in Se stesso, che si diffonde ad extra creando, redimendo e santificando le sue creature ragionevoli, fatte ad immagine e somiglianza sua, per operare per la sua gloria, cooperandovi con l’obbedienza alla sua parola ed alla sua Legge, arricchendosi dei meriti del Verbo Umanato, perfezionandosi per lo Spirito Santo, ed amando Dio sopra tutte le cose, precetto supremo della Legge divina, suprema Legge della vita umana nel tempo e nell’eternità.
Dio, padre di misericordia
Per queste profondissime verità da S. Pietro accennate in una mirabile sintesi nel suo prologo, l’Apostolo sente una gratitudine grande a Dio e perciò esclama: « Sia benedetto il Dio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, il quale Dio per la sua grande misericordia ci rigenerò ad una speranza viva, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti. Con la sua resurrezione dalla morte Gesù Cristo dette il più grande argomento della sua verità; primogenito della resurrezione, ci dette la speranza viva della nostra resurrezione, e c’incorporò a Lui col Battesimo, per il quale con Lui risorgiamo a novella vita. S. Pietro benedice e quindi ringrazia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre in modo unico e specialissimo, perché lo ha generato ad aeterno.
Dio è anche Padre nostro, perché ci ha creati, e come tale Gesù ce lo fa invocare nel Padre nostro, ma solo del Verbo eterno, anche nell’assunta umanità può dirsi veramente Padre. Dio per la sua grande misericordia ci ha rigenerati, per mezzo del suo Figliuolo umanato e morto per noi, aprendo così l’anima nostra all’eterna speranza. Misericordia e rigenerazione, due parole che muovono il cuore di S. Pietro a grande riconoscenza.
Misericordia nel significato della parola greca eleos, significa: animo prono a soccorrere i miseri, beneficenza verso i miseri, ed include perciò il concetto di un’anima disposta a soccorrere gl’infelici, e la beneficenza effettiva verso i miseri. Il termine ebraico: besed significa bontà, benignità, e quindi la misericordia di Dio è effusione della sua bontà, ed è benignità che si effonde abbracciando e perdonando, soccorrendo con infinito amore.
Non è, quindi, una semplice compassione per una cosa spregevole o indegna; non è una tolleranza, come potrebbe essere la misericordia di un padre che lascia correre gli errori del figlio suo, o di un maestro che lascia nel compito gli spropositi dell’alunno, segnandoli solo con un frego di matita rossa, attraendo solo sterilmente l’attenzione di lui; è invece un richiamo di amore, che può suscitare il pentimento in chi pecca, un richiamo anche doloroso, che nel dolore, risveglio dell’anima, effonde la grazia per la sua rigenerazione. La misericordia di Dio, perciò, non è separata mai dalla giustizia, è come l’abbraccio affettuoso e profondo che si fa con la destra e con la sinistra, è come un sorriso di bontà accompagnato da un gesto di rammarico.
Supremo atto di misericordia fu il sacrificio di Gesù Cristo sulla Croce, atto di misericordia che abbracciava tutte le umane responsabilità, tutti i secoli, amore immenso che fu unito ad un dolore spaventoso. La lampada, illuminando le tenebre, si consuma; il fuoco, riscaldando quello che è gelido, sfavilla, sì, ma si riduce in cenere; la terra, alimentando la pianta, porta lo splendore della fecondità nei campi, ma cede ai morti semi tutto quello che ha, e li risuscita alla vita.
La misericordia di Dio è luce, è calore, è vita, ma a prezzo del sacrificio del Figlio suo umanato. Per Lui, la terra fu piena della misericordia di Dio, come cantò il Salmista (33, 5). Per lui e per il suo sacrificio. Dio è pietoso ed indulgente, paziente e pieno di bontà: (Salmo 103, 8). Per Lui presso il Signore è la misericordia, e da Lui viene generoso riscatto (131, 7). La misericordia di Dio si estende a tutti: Il Signore scioglie i prigionieri; il Signore apre gli occhi ai ciechi; il Signore raddrizza i curvati; il Signore ama i giusti; il Signore protegge i forestieri; mantiene l’orfano e la vedova, e sventa le insidie dei malvagi (147, 8, 9). Alla sua misericordia ricorse Davide quando peccò: « Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia (Salmo 51, 2).
Nella pienezza dei tempi, Maria SS., piena del Verbo di Dio che in Lei si era incarnato, visitando S. Elisabetta, cantò per prima la misericordia di Dio, che, per lei, si sarebbe effusa di generazione in generazione su quelli che temono Dio (Lue. 1, 50). Ed era logico che cantasse Lei per prima la misericordia divina, avendone nel seno suo il pegno ammirabile, ed in Lei, immacolata e piena di grazie, il frutto più bello.
Dio ci ha rigenerati
S. Pietro benedice Dio e lo ringrazia, proprio per la grande misericordia di Dio che ci ha generati alla vita soprannaturale per Gesù Cristo. La parola greca che usa S. Pietro nel dire che Dio ci ha generati: anaghennan, rigenerare, far nascere di nuovo, ricorre solo qui in tutta la Scrittura, ed è perciò detta petrina, ossia propria e solo di S. Pietro. Anche questa sfumatura rivela l’ardore della gratitudine a Dio per averci rigenerati, e la grandezza di questa rigenerazione: psicologicamente, infatti, quando si parla di una cosa che prende tutta l’anima, è facile, anche nelle forme dialettali, creare una parola nuova, un neologismo unico per l’idea che si esprime.
Dio ci generò, anaghennan, c’infuse una novella vita, come la infuse ad Adamo, rendendo, col suo soffio il corpo fatto dal fango, anima vivente. Ci rigenerò dal fango del peccato, che ci traeva tutti alla terra, ad una speranza viva, che ci trae al cielo con una vita soprannaturale di grazia. Ci rigenerò e ci rigenera ad una novella vita nel Battesimo, come risorse Gesù Cristo, ad una novella vita immortale, tre giorni dopo la sua morte, poiché nel Battesimo noi risorgiamo con Lui. L’immersione nell’acqua ci rende come morti con Lui.
Nasciamo nel peccato, nasciamo per la vita terrena, perché nasciamo in questo mondo, e la nostra speranza, allora, è crescere nella carne e nelle aspirazioni della terra, speranza che non può dirsi viva, perché dalla nascita termina e si esaurisce nella morte. Ma col Battesimo, incorporati a Gesù Cristo risorto glorioso, noi siamo rigenerati, anaghennan, nasciamo ad una novella vita, risorgiamo da una vita terrena che è morte, ad una vita di grazia, che non ci dona come speranza la terra, ma ci orienta alla vita eterna, con l’esercizio della perfezione in tutta la vita terrena, e col conseguimento della gloria nella vita eterna, eredità incorruttibile, immacolata nella perfetta giustizia e santità, inalterabile, perché non può venir meno.
Trasalite di gioia...
Questa eredità, soggiunge S. Pietro, esortando i fedeli a custodirla menando una vita santa, questa eredità è serbata nei cieli per voi che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, come in una fortezza. S. Pietro usa un termine militare per indicare la forte custodia che, per la fede, l’anima fa del dono immenso della salvezza, che si manifesterà completa nell’ultimo tempo, nel giudizio universale, quando Gesù Cristo suggellerà con la grande sentenza finale per i fedeli, il possesso dell’eterna felicità: «Venite, o benedetti dal Padre mio, possedete il regno che vi ha preparato fin dalla costituzione del mondo (Matt. 25, 34).
Il termine militare che usa S. Pietro, per indicare la forte custodia che, per la fede, si fa del dono dell’eterna eredità, include il concetto del combattimento che deve sostenersi per conquistare il regno preparato da Dio ai suoi eletti, giacché la milizia è fatta proprio per il possesso e la custodia di un regno.
Perciò l’Apostolo, con logica illazione, esorta i fedeli a combattere sostenendo le pene e le tribolazioni della vita non solo con pazienza ma con gioia, perché per le pene e le tribolazioni la speranza viva dell’eterna ricompensa e dell’eterna gloria diventa realtà immortale che non può perdersi più: « Per questo motivo — egli dice — trasalite di gioia, anche se conviene che, anche per poco tempo, co- m’è il breve percorso della vita terrena, siate molestati da prove di vario genere, affinché la vostra fede sia provata, ben più preziosa dell’oro che perisce, e che pur viene saggiato dal fuoco.
Gioite nelle tribolazioni, perché la vostra fede sia trovata degna di lode, di gloria e di onore nella manifestazione di Gesù Cristo. Nelle prove, voi senza averlo visto lo amate, ma nel quale ora senza vederlo credete, ed esultate di gioia ineffabile e gloriosa, conseguendo lo scopo della vostra fede, la salvezza delle anime vostre.
Gli Ebrei dispersi fuori della Palestina non avevano visto Gesù personalmente; eppure per la fede che avevano in Lui lo amavano, e, senza vederlo nel mistero Eucaristico, gli credevano; e questo rendeva la loro fede più meritoria, secondo la parola di Gesù Cristo e S. Tommaso: « Beati quelli che non veggono e credono » Giov. 22, 29).
Le profezie messianiche
La fede, però, di chi crede senza vedere poteva apparire ai fedeli quasi come un assenso superficiale, quasi incosciente, quasi irragionevole se non superstizioso; e perciò S. Pietro conferma nei fedeli ai quali scrive, e per essi a noi, la profonda ragionevolezza della nostra fede, con l’argomento delle profezie che annunziarono la salvezza che doveva venire al mondo per il Redentore. Esse, infatti, sono argomento saldissimamente teologico della verità. Con divino acume teologico, S. Pietro determina l’origine e la natura delle profezie messianiche, che non erano indovinelli, ma anche oscure diventarono luminose e comprensibili nel loro pieno avveramento che i fedeli potevano constatare nella fede loro insegnata.
I Profeti erano illuminati dallo Spirito di Cristo che era in loro, cioè dallo Spirito Santo; profetizzavano per lume divino intorno alla salvezza che doveva venire al mondo per il Redentore, per il Messia, mediante i suoi dolori e il suo sacrificio; ma essi stessi, ricevendo quei lumi soprannaturali, meditavano e scrutavano con grande diligenza il loro significato. Intorno alla salvezza della quale vi parlo, soggiunge S. Pietro, indagarono e scrutarono i Profeti che pronunziarono i vaticini riguardanti la grazia destinata a voi, poiché per voi si sono compiuti nella Redenzione, e nel loro compimento sono riusciti evidente prova della verità della fede.
I Profeti non avevano la visione chiara del futuro, quasi fossero naturali chiaroveggenti... chiromanti; il che non avrebbe dato valore alla loro profezia, non essendo frutto di luce divina, ma di umana intuizione. Essi vedevano solo gli aspetti parziali della figura e dell’opera del Messia. Non comprendevano essi stessi il senso pieno o i sensi tipici intesi da Dio nelle loro profezie, come i personaggi biblici, che furono tipi profetici del Redentore; non intendevano quello che rappresentavano come preannunzi divini del disegno di Dio.
Così Isacco, caricato delle legna dell’olocausto e ascendendo il monte del sacrificio, non capiva di rappresentare il futuro Redentore, caricato della Croce, che ascese al Calvario; ma ne viveva, diremmo, lo spirito, obbedendo al Padre suo. Proprio in questa oscurità misteriosa sta il valore divino dei tipi e delle profezie riguardanti il Redentore, argomento e luce della verità della Fede.
Dio tracciava il suo disegno nei tipi e nelle figure, ed annunziava per i Profeti quello che sarebbe avvenuto nel compirsi il mistero della Redenzione, con parole di accenno fugace, che dovevano intendersi come chiaro argomento della verità del loro compimento, da quelli che dovevano ricevere la salvezza e credervi per ottenerla. Un’oscurità tipica o profetica poteva servire proprio a scrutare con la meditazione la grande promessa divina, credendovi e sperandovi con fiducia in Dio, proprio con la fede di Abramo che credette e sperò contro la speranza.
L’oscurità dei Profeti, che erano uomini santi, tutti di Dio, animava la loro fede e la loro preghiera, perché si compisse la grande misericordia divina. Ecco perché S. Pietro dice che i Profeti intorno alla salvezza indagarono e scrutarono a quale tempo ed a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo, lo Spirito Santo che era in loro, e che li faceva profetizzare in antecedenza le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle. Essi non profetarono per loro, come dice S. Pietro, ma per voi, avevano la missione di preannunziare quelle verità che ora vi furono predicate da quelli che, mossi dallo Spirito Santo mandato dal Cielo, vi comunicarono la lieta novella.
I Profeti normalmente non vedevano chiaramente la successione dei tempi. E perciò scrutavano meditando a quale tempo ed a quali circostanze accennasse lo Spirito Santo in antecedenza, le sofferenze destinate a Cristo, e la gloria che doveva seguirle. Non tutti i Profeti vedevano tutte le circostanze del futuro, e per questo occorrevano loro indagini per investigare a che cosa il Signore in realtà accennasse con le visioni concesse al loro intelletto, alla loro fantasia o ai loro sensi esterni.
I dolori ed i trionfi del Messia predetti soprattutto da Davide nel Salmo 22, e da Isaia nei carmi del servo di Dio, specialmente nei capitoli 52 e 53, formavano l’oggetto delle indagini amorose dei Profeti e dei giusti dell’Antico Testamento; tanto è vero che i dottori della Legge, alla domanda di Erode dove sarebbe nato il Messia, risposero prontamente: in Betlem di Giuda. Evidentemente era per essi molto familiare l’indagine sulle profezie riguardanti il Messia.
Nella luce della verità della fede gli Angeli stessi bramano curvare lo sguardo
Dopo la Passione e la Resurrezione di Gesù Cristo, apparve pieno e chiaro il senso delle profezie messianiche, e Gesù Cristo stesso lo spiegò ai discepoli di Emmaus (Lue. 24, 26, 27). L’argomento dedotto dalle profezie era preferito da S. Pietro nei suoi primi discorsi apologetici, che miravano a togliere lo scandalo della Croce (Atti, 2, 23-36; 3, 18).
Nella luce delle verità della fede predicate dagli Apostoli, compimento delle figure e delle profezie, gli Angeli stessi bramano curvare lo sguardo, soggiunge S. Pietro, e secondo l’espressione del verbo greco: parachipto, usato da S. Pietro, che significa curvarsi per vedere meglio, guardare chinando il capo su quello che si vede, considerare attentamente qualche cosa, indica che gli Angeli sono in gioiosa contemplazione delle verità della fede quando sono annunziate ai fedeli, ammirandone la realtà divina col lume della gloria. Mentre la fede si predica ai fedeli con oscurità inevitabili alla limitazione della loro mente, nel terreno pellegrinaggio, gli Angeli ne contemplano la ineffabile luce, e questo accresce la loro felicità, perché nella luce di quelle verità per loro evidenti, essi fruiscono della bontà e della verità di Dio non solo col lume della gloria, ma anche col lume del loro intelletto angelico.
La fede annunziata ai fedeli è come un’armonia orchestrale meravigliosa; è come un firmamento di stelle lontane, delle quali, con le umane conseguenze, si apprezza velatamente l’ordine e lo si crede con un’ammirazione di silenziosa pace. La fede, per quelli ai quali è predicata, è un godimento di Dio, ma è come un’armonia che si percepisce e s’intuisce dai movimenti dei sonatori della lontana orchestra. La fede si percepisce nelle parole che si credono, ma le parole del divino annunzio sono come accenni di una realtà infinita, che, credendo, beatifica nella speranza di raggiungerla e di possederla.
Sulla terra noi siamo come chi vede di lontano i movimenti degli strumenti che suonano in un’orchestra, e prova la gioia di quell’ordine armonico, unicamente credendolo, intuendolo dai movimenti di... un violinista che solleva o abbassa il suo arco sulle cetre, e con la mano tremula, su due corde dissonanti, ne trae certamente un suono che nel semitono diventa espressivo, gemente ed esultante. Lo crede perché conosce teoricamente l’ordine di un’orchestra insegnatogli da un maestro.
Il cuore può anche vibrargli, vedendo l’energica percussione dei timpani, o il pizzicare delle lunghe corde di un contrabasso. Crede, intuisce l’effetto magari dai gesti del maestro direttore che agita la bacchetta di comando; indica con essa, come con un dito teso, l’entrata di una viola, l’intermezzo di un violoncello, il risuonare delle trombe, l’irruente tremolare di tutti gli strumenti, il troncarsi sincopato di suoni. Conosce l’armonia di quell’orchestra lontana, e, benché non la senta, vi crede, e credendola può dilettarsene.
Ma quando sulla terra si annunziano le verità della fede da quelli che, mossi dallo Spirito comunicano ai fedeli la lieta novella della verità, la sua ammirabile armonia non risulta agli Angeli in un silenzio intuito, in un assenso di fede: credo, ma nella realtà armonica erompente come da un’orchestra vicina, della quale non intuiscono solo, ma percepiscono la gioiosa armonia, pur nelle sfumature che sulla terra sono come armonie in sordina, e per essi sono come carezzevoli armonie di provvidenza e di amore.
Le verità della fede non sono per gli Angeli come stelle lontane, che si percepiscono solo col tremulo scintillare nella notte, come lo sono per chi le ascolta e vi crede; sono luci fulgenti nella realtà divina; sono come movimenti sibilanti, quasi cantici, nelle maestose orbite, e nei saettanti movimenti, quasi di danza, di forza e di dolcezza; sono come abbracci di luci nelle costellazioni, ordine immenso nei loro intrecci, stupefacente sorpresa nel loro arcano svelato.
Per questo S. Pietro dice con profonda verità: Nelle verità a voi predicate, gli Angeli stessi bramano curvare lo sguardo, «parachipto», curvando l’angelico sguardo sulle armonie dell’eterna verità, considerandone con adorante meditazione la sublime bellezza, e lodandone Dio. La Passione di Gesù Cristo, preannunziata dai Profeti e compiuta sul Calvario, è una scena di delittuosa crudeltà umana, ma nella luce della fede è una sublime armonia di amore, e la gloria che seguì la Passione è come uno scintillare di stelle sulla tenebrosa foschia del delitto consumato dagli uomini.
Gli Angeli si estasiano nel contemplare il Calvario, e godono di essere stati e di essere umili ministri del trionfo di Gesù abbattendo la pietra sepolcrale suggellata dal Sinedrio per suggellare per sempre nell’oblio Colui che avevano odiato e crocifisso, per avere la certezza della sua morte ammantata dell’obbrobrio di un malfattore, fra due ladri. Messaggeri di gioia e di pace sulla grotta di Betlem, quando nacque Gesù, squarciarono il velo del Tempio, velarono il sole e scossero la terra quando Gesù morì. Osannanti lo accompagnarono al Cielo quando ascese alla destra del Padre, e adoranti lo circondano nascosto nell’Eucaristia, riparando l’ingratitudine e la vergognosa dimenticanza umana.
Curvano il loro intelletto quando sulla terra si annunzia il finale giudizio che compie il trionfo di Gesù, e fremono le ali del loro potente e nobilissimo spirito nello sconvolgere la terra con le ampolle della divina giustizia, e nel richiamare col potente soffio del loro spirito, come con voci di tromba, i morti dalle tombe, per suonarle trionfanti nella trionfante sentenza: per i cattivi: In ignem aeternum, e per i buoni: Venite benedicti in regnum Patris.
Vivete austeramente, dice S. Pietro
Da quello che ha detto ai fedeli, chiamati da Dio al possesso della vita eterna, rigenerati da Gesù Cristo, che per loro ha patito ed è morto, è risorto ed ha dato loro la grazia di risorgere in Lui nel Battesimo, S. Pietro trae le conseguenze pratiche del suo profondo insegnamento.
La prima conseguenza l’ha tratta dal ricordo della morte e passione di Gesù Cristo, compimento delle figure e delle profezie che l’annunziarono, esortandoli a sopportare con pazienza e con gioia le pene della vita, prove della loro fede e purificazione delle loro anime per ottenere la salvezza eterna. Ma non bastava questo per ottenere il possesso dell’eterna verità; occorreva meritarla con una vita santa, conforme all’insegnamento delle verità del Vangelo loro annunziato da quelli che ne ebbero la missione da Dio. Verità sublimi, che gli Angeli stessi bramano meditare come oggetto della loro felicità.
L’allusione che S. Pietro fece agli Angeli compresi di ammirazione nel considerare il disegno di Dio nella Redenzione del genere umano per la Croce, incantevole suggello della sua sapienza e del suo amore, fa uscire S. Pietro, che ne aveva il cuore pieno, in una forte esortazione ai fedeli affinché vivano conforme agli insegnamenti avuti. Una gradazione di motivi eloquenti per giungere a quella conclusione.
Essi, infatti, sono eletti da Dio secondo la sua prescienza eterna, mediante la santificazione dello Spirito Santo, eletti per obbedire alla parola di Dio con la fede, e per santificarsi per i meriti del Sangue di Gesù Cristo. Per il suo Sangue furono rigenerati ad una speranza viva, certissima, immarcescibile, eterna, e perciò non debbono scoraggiarsi nelle sofferenze ma accoglierle con gioia, come purificazione e prezzo dell’eterna vita in unione dei dolori di Gesù Cristo.
Grandioso disegno di amore, predetto dai Profeti, compiuto da Gesù Cristo, manifestato per la predicazione degli Apostoli, disegno ammirabile nel quale s’incantano gli Angeli stessi, abituati alla contemplante adorazione di Dio, Uno e Trino nella sua ammirabile potenza, sapienza ed amore.
Ed allora — soggiunge S. Pietro con logica illazione — potete voi prendere la vita alla leggiera, e non dovete riguardarvi piuttosto come pellegrini che viaggiano verso la patria eterna, e come lavoratori intenti ad un lavoro costante, senza inceppi per avere la mercede? Servendosi proprio dell’uso che avevano i pellegrini nel viaggiare ed i lavoratori nella fatica, di sollevare l’ampia tunica e stringerla ai fianchi con una cintura, per avere più libero il passo e meno inceppate le mani e i movimenti del corpo, S. Pietro esclama: Tenete succinte le reni del vostro spirito, vivete austeramente, per andare verso la vita eterna senza impacci di vita terrena, vivendo santamente, senza lasciarvi sedurre dalle passioni, con la piena speranza della grazia della salvezza e dell’eterna gloria che vi sarà apportata nella manifestazione di Gesù Cristo, ossia quando Egli vi giudicherà nel suo ritorno sulla terra per il giudizio universale
S. Pietro, dopo aver esortato con una parola energica e forte a non essere pigri od incoscienti nel provvedere alla salvezza dicendo: Tenete perciò succinte le reni del vostro spirito, vivete austeramente, abbiate piena fiducia nella grazia che vi sarà apportata nella manifestazione di Gesù Cristo, continua affettuosamente, spiegando che cosa significa vivere austeramente, ossia, come indica la parola greca, vivere perfettamente desti e temperanti in tutto da figliuoli obbedienti alla parola ed alla Legge di Dio, non modellate la vostra vita in modo conforme alle passioni del passato, di quando eravate nell’ignoranza, ma secondo l’immagine di Colui che vi chiamò, che è santo, diventate anche voi santi in tutta la vostra condotta, perché sta scritto-. Siate santi, perché io sono santo.
Dio, autore della vostra vocazione alla fede ed all’eterna salvezza, è santo per natura, e voi imitatelo, perché siete stati creati ad immagine sua; imitatelo e siate santi in tutta la vostra vita. Siate perfetti in tutte le virtù, nell’agire, nel parlare, nel camminare, nel
prendere cibo, nelle dispute, nel lavorare, nel comandare, nell’obbedire, nel dormire, ecc. Tutta la vostra vita interna ed esterna sia cristiana, pura, santa, angelica. I cristiani, infatti, nei primi tempi venivano chiamati santi.
Siate dunque santi...
S. Pietro esorta ad una santità completa, ad immagine di Dio, nella propria vita cristiana, ed adduce per convincente motivo di questo dovere la parola che Dio disse ai Leviti: Siate santi perché io sono santo (11, 44, 45; 19, 2; 20, 7, 8). Se questa Legge valeva per i Leviti dell’antico patto, sol perché ministravano al Tempio, semplice figura di Gesù Cristo, molto più valevano per i cristiani che vivevano in comunione viva col Redentore, ai quali disse Gesù: Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che è nei Cieli (Matt. 5, 48).
Per i Leviti il dovere della santità era sentito non solo per la santità di Dio al quale servivano, ma anche per il timore dei castighi che Dio poteva loro infliggere in ogni loro vizio o difetto. Questo santo timore doveva anche comprendere i cristiani, e perciò S. Pietro soggiunge: Se voi chiamate Padre Quegli che giudica senza riguardi personali, secondo l’opera di ciascuno, abbiate una condotta timorata nel tempo del vostro pellegrinaggio terrestre, perché la vostra responsabilità nel mancare di santità è maggiore innanzi a Dio.
Voi, è vero, lo chiamate Padre, nell’orazione domenicale, ma sapete pure che è giusto nel ponderare ogni vostra azione, specialmente dopo che vi ha redenti. Sappiate, infatti, che non a prezzo di metalli corruttibili, argento o oro, siete stati riscattati dalla vostra vana forma di vita trasmessavi dai padri, ma con il prezioso Sangue di Cristo, immolato come agnello illibato ed immacolato sulla Croce.
Uno schiavo si riscattava col prezzo di oro e di argento, ma voi cristiani, schiavi del presente, siete stati riscattati dal prezioso inestimabile Sangue di Cristo, immolatosi per noi come Agnello illibato ed immacolato sulla Croce.
La grandezza del nostro riscatto, che c’impone di essere santi e menare una vita santa, si desume dal fatto che prima ancora della creazione del mondo, nei disegni di Dio era già decretata la salvezza delle libere creature che voleva creare, prevedendo la loro caduta. Dio, dunque, prima di crearci, ci amava già di amore eterno, prede
stinando nel suo Figliuolo umanato il prezzo del nostro riscatto e della nostra salvezza. Mistero ineffabile di amore!
Volendo creare l’uomo ad immagine sua, libero, e quindi capace di merito, per essere associato alla sua eterna felicità; libero, e perciò anche capace di demerito, che poteva allontanarlo da Lui, per infinito amore, il Signore manifestò, con la volontà di creare l’uomo, la volontà salvifica di riscattarlo dal peccato per mezzo del suo stesso Figliuolo. È ammirabile!
Conoscendo Se stesso, generò ab aeterno il Figliuolo, e conoscendo, nella sua prescienza divina la caduta della libera creatura che voleva creare a sua immagine, predestinò il Figliuolo suo umanato per salvarla, riscattando così l’uomo caduto. Quando già ab aeterno il Figlio del Padre era Dio, esercitò la sua divina attività salvifica nella storia, infondendo il suo spirito nei Profeti; fu manifestato visibilmente per l’incarnazione in Maria SS., immagine santissima e perfettissima di Dio, poiché come Dio generò il Figliuolo ab aeterno, Essa lo generò, vero Figlio suo, nel tempo, per opera dello Spirito Santo.
Essa fu così adombrata dalla virtù dell’altissimo, generando nell’immacolata purezza, che la rendeva più spirito che creatura di carne, come le disse l’Angelo nell’annunziarle il disegno eterno di Dio: Lo Spirito Santo sopravverrà in te, e la virtù dell’Altissimo ti adombrerà. Nato nel tempo da Maria Vergine, Gesù si donò come agnello illibato ed immacolato, s’immolò col suo sacrificio visibile, si fece riconoscere uomo nell’immolazione e Dio nella resurrezione gloriosa. Si donò così nella pienezza dei tempi a noi cristiani, privilegiati nell’umana storia, perché abbiamo visto e viviamo dell’opera divina che i patriarchi ed i Profeti bramarono vedere.
Col compimento dell’opera della Redenzione, si manifestò l’uomo Dio, vero Figlio di Dio anche come uomo, e l’uomo in Lui e per Lui fu adottato come Figlio di Dio. L’umanità peccatrice, riscattata per il Sangue di Gesù Cristo, fu elevata in Lui, che perciò vivendo in terra volle chiamarsi Figliuolo dell’uomo, rappresentando Egli tutta la umanità. Figliuolo eterno di Dio lo era per natura, generato ab aeterno dal Padre; ma, incarnatosi per amore dell’uomo, amò chiamarsi Figliuolo dell’uomo, perché sublimava per lui in Dio Padre, per lo Spirito Santo, tutta l’umanità.
Dal fango della terra vergine Dio creò l’uomo, innocente e santo, elevandolo allo stato soprannaturale di grazia; ma l’uomo peccò, perdette lo stato di grazia, e Dio ne rinnovò, per così dire, la creazione, formando il corpo del secondo Adamo nel seno della Vergine Immacolata, e perciò Gesù Cristo, nato da Maria SS., amò chiamarsi Figliuolo dell’uomo. Era l’Eterna Sapienza che si dilettava così di essere tra i figli degli uomini, come predisse e cantò il libro della Sapienza.
È questo l’ammirabile mistero di amore che S. Pietro annunzia col suo stile sinteticamente divino: Sappiate che non a prezzo di metalli corruttibili, argento ed oro, foste riscattati dalla vostra vana forma di vita trasmessavi dai padri, ma col prezioso Sangue di Cristo, immolato come agnello illibato ed immacolato. Egli fu predestinato prima della creazione del mondo, e manifestato negli ultimi tempi per voi, che per mezzo suo credete nel Dio che lo risuscitò dai morti, e gli diede la gloria, così che la vostra fede è anche speranza in Dio.
Credendo in Gesù Cristo Redentore, logicamente si crede nella salvezza che Egli ci dona a prezzo del suo Sangue, e, credendolo risuscitato da morte, glorioso alla destra del Padre, l’anima non crede solo di salvarsi, per Gesù Cristo Redentore, ma crede e spera anch’essa di risorgere un giorno dalla morte, per Lui, che, risorgendo, primizia dei morti, ci meritò di risorgere un giorno. Si chiamò Figliuolo dell’uomo per redimerci con l’assunta umanità; s’immolò e morì come Figliuolo dell’uomo per darci la vita eterna; risorse come Figliuolo dell’uomo, primizia dei risorti, per trarci dalla tremenda umiliazione della morte.
All’uomo peccatore Dio disse: Peccando morirai, morte morieris, sei polvere ed in polvere ritornerai. Questa terribile sentenza fu cancellata per la resurrezione gloriosa del Figliuolo dell’uomo. Sulla Croce Gesù Cristo cancellò il chirografo della colpa, morendo; e nel sepolcro cancellò la sentenza della morte, risorgendo. È così che, come dice S. Pietro nel suo stile sintetico, la nostra fede è anche speranza in Dio.
Ma la fede unisce tutti gli uomini, nella Chiesa, in una sola famiglia, e perciò ancora una volta, con logica illazione, S. Pietro fa una viva esortazione alla carità. Non è un’esortazione staccata dal contesto come in impeto di carità, ma è strettamente legata al contesto di quello che ha detto. Egli, infatti, ne trae una logica conseguenza, dicendo: Dopo che avete purificato le anime vostre con l’obbedienza alla verità, cioè ricevendo la fede col santo Battesimo, che vi unisce in un sol corpo nella Chiesa, per possedere un amore fraterno senza finzioni, di cuore, a vicenda amatevi continuamente, senza liti, senza dissensioni, con un cuore che non si spezza mai ed è costante, poiché foste rigenerati non da un seme corruttibile, ma incorruttibile, mediante la parola di Dio viva e permanente.
Gli uomini si chiamano fratelli e si considerano tali quando sono generati dallo stesso padre e da una medesima madre, e quindi da uno stesso seme umano, che è corruttibile, e può subire alterazioni nel carattere e nell’indole di quelli che sono stati generati nella carne.
Ma i Cristiani col Battesimo sono rigenerati, come da uno stesso seme incorruttibile, dall’acqua e dalla Parola divina che accompagna l’acqua che si versa o nella quale si è immersi, nel caso di Battesimo per immersione, come si faceva in antico. È infatti per le parole o, come si dice teologicamente, per la forma che accompagna e si unisce al segno del Sacramento, che l’anima è rigenerata, rinasce.
La Parola divina, la forma del Sacramento, è veramente viva e permanente, perché dona la vita soprannaturale ed imprime carattere; perciò quelli che sono battezzati sono veramente fratelli, più di quelli che lo sono nella carne; e debbono amarsi senza finzioni di cuore costantemente.
Il Battesimo, negli adulti, come era nei primi tempi della Chiesa, supponeva un catecumenato, cioè l’istruzione della fede in perfetta obbedienza alla verità. Sono le verità della fede che orientano l’anima nella vita, e la purificano dagli errori e dalle illusioni del mondo. Per questo S. Pietro dice ai fedeli battezzati ai quali scrive: Dopo che avete purificato le anime vostre con l’obbedienza alla verità per avere il Battesimo e farvi fratelli in Gesù Cristo e per Gesù Cristo, amatevi con amore fraterno, senza finzioni, di cuore, a vicenda, continuamente, ricordando il saldo fondamento di questo amore fraterno, perché siete generati per la stessa parola di Dio; nella mente con le verità della fede, e nell’anima con le parole sacramentali.
Il Battesimo è, perciò, un vincolo fraterno che rimane in eterno, e S. Pietro lo conferma con le parole di Isaia (40, 6-8), citate anche da S. Giacomo nella sua lettera (1, 10, 11) opponendo alla fraternità della carne quella che viene dalla parola di Dio:
Ogni carne è come erba, ogni gloria sua è come fiore d’erba.
Seccò l’erba, cadde il fiore...
Ma la parola del Signore rimane in eterno...
E conchiude il pensiero dicendo: Questa è la parola che venne predicata come lieta novella in mezzo a voi. Parola di verità che vi istruì con la predicazione del Vangelo e che vi rigenerò con la parola sacramentale del Battesimo.
Sac. Dolindo Ruotolo