venerdì 11 aprile 2014

11.04.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 10, par. 4

4. Gesù proclama la sua divinità alla festa della Dedicazione, ed i Giudei irrompono contro di Lui per lapidarlo
La festa della Dedicazione del tempio era stata istituita da Giuda Maccabeo, in memoria della purificazione del tempio fatta dopo le profanazioni del luogo santo consumate da
Antioco Epifane. Essa cominciava il 25 del nono mese, detto Casleu, novembre-dicembre, e durava otto giorni. Si chiamava anche festa dei lumi, per le illuminazioni che si solevano fare in quella circostanza.
Gesù camminava sotto il portico di Salomone. Questo portico, risparmiato dai Caldei nella distruzione di Gerusalemme, sorgeva al lato orientale dell'atrio dei pagani, e Gesù vi passeggiava pregando, con lo sguardo al Padre, in un atteggiamento pensoso e raccolto che dovette impressionare i Giudei, divisi com'erano da una doppia tendenza, e incerti sul modo come dovevano riguardare Gesù. Si affollarono perciò intorno a Lui e gli domandarono: Fino a quando terrai sospesa l'anima nostra? Se tu sei il Cristo diccelo apertamente.
Probabilmente non gli fecero questa domanda insidiosamente per avere occasione di condannarlo, perché non gli chiesero se fosse il Figlio di Dio, ma se fosse il Cristo. Essi però non si accorgevano di non avere l'anima disposta a sentire la verità, anzi molti di loro avrebbero inconsciamente desiderato che Egli avesse risposto come il Battista: non sono io il Cristo. C'è a volte, nelle domande che si fanno, una strana psicologia: si interroga con la risposta già formulata, si chiede più per sentir confermato quello che si pensa che per essere veramente consigliati; si è certi che non ci si può rispondere diversamente. Gesù Cristo, che conosceva bene il cuore dei suoi interlocutori, rispose: Ve lo dico e voi non credete; ve lo dico con le parole e ve lo dico anche con le opere, poiché le opere che compio nel nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza. Sapete dunque già quale risposta io posso dare alla vostra domanda, ma voi non la intendete perché non siete delle mie pecorelle.
Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi vengono appresso, ed io dò loro la vita eterna, e non periranno in eterno, e nessuno me le strapperà di mano. Gesù Cristo non voleva dire che essi erano impossibilitati a credere quasi per un destino ineluttabile ma che non essendo sue pecorelle, cioè non seguendolo con amore e col desiderio d'essere guidati, illuminati e pascolati da Lui, non intendevano le sue parole e non davano peso o significato ai suoi miracoli. Egli li aveva chiamati, li voleva come sue pecorelle, ardeva dal desiderio di averli, ma essi si rifiutavano di seguirlo, e quindi rendevano impossibile in loro la penetrazione e la luce della verità. Se l'avessero seguito come sue pecorelle, avrebbero capito le sue parole, e inteso il significato dei suoi miracoli, sarebbero stati in comunione con Lui ed avrebbero avuto la bella speranza dell'eterna salvezza.
Gli scribi e farisei cercavano in realtà non di sapere la verità, ma di strappargli le anime, mettendole in imbarazzo, e presumendo di disingannarle poi con le stesse sue parole; perciò Gesù in un impeto di amore, quasi serrandosi al Cuore le sue pecorelle fedeli disse: Nessuno me le strapperà di mano. Quando esse vengono a me, io le nutro e le sostento con la grazia che il Padre mio mi ha data, e questa incomparabile ricchezza sorpassa ogni cosa, è superiore a qualunque insidia ed a qualunque forza umana o diabolica. Nessuno potrà rapire le anime dalle mani del Padre mio e dalle mie mani, poiché io e il Padre siamo una sola cosa.
Dicendo questo, il Redentore rispose anche alla domanda che gli era stata fatta; Egli non solo era il Cristo che veniva a salvare le anime, ma era il Figlio di Dio, una cosa col Padre, consustanziale a Lui, e veramente distinto da Lui: Io e il Padre siamo una sola cosa.
Gesù, con calma, confuta i Giudei pronti a lapidarlo con un argomento ad hominem
Questa categorica e solenne affermazione suscitò tra i Giudei un putiferio. Pieni d'ira e di furore diabolico raccolsero le pietre che si trovavano presso il portico, e stavano già per lanciarle contro Gesù, quando Egli, pacatamente, fermandoli con la sua maestà disse: Vi ho fatto vedere molte opere buone che venivano dal Padre mio; per quale di queste opere mi lapidate? Le opere dimostravano che Egli era veramente Figlio di Dio, ed essi, volendolo lapidare per la sua affermazione, in realtà lo lapidavano per le opere miracolose che la confermavano. Misericordiosamente Gesù li stringeva con questa domanda, costringendoli a ricordare le sue opere; ma essi, sfuggendo al suo argomento, risposero con tracotanza: Non ti lapidiamo per alcun 'opera buona, ma per la bestemmia, e perché tu, essendo uomo ti fai Dio. Riconoscevano le opere dunque, ma non volevano riconoscere quello che esse dimostravano e, prendendo le pietre per lapidarlo, si appellavano col fatto alla Legge (Lv 24,16) che condannava a quella pena quelli che usurpavano il Nome di Dio bestemmiando.
Gesù con un argomento ad hominem li confonde, dimostrando che, anche prescindendo dai miracoli che confermano la sua affermazione, questa non è contraria alla Legge, e strettamente parlando non può essere condannata come blasfema. Nella Legge infatti, dice Gesù, e per Legge intende tutta la Scrittura, è scritto: Io dissi: Siete dèi (Sai 81,6). Sono chiamati così, col nome di Dio, Elohim: dèi, i giudici che debbono governare il popolo o amministrare la giustizia, perché partecipi della divina autorità, e illuminati da una speciale grazia, quasi da interna Parola di Dio, per giudicare con giustizia. Ora se questi sono chiamati dèi, e la Scrittura non può errare, come potete riguardare blasfema la mia affermazione, anche al solo lume della Legge, se io sono stato santificato dal Padre, cioè ho ricevuto da Lui la stessa sua santissima natura per l'eterna generazione, e sono stato mandato nel mondo per giudicare tutti gli uomini? A questo poi aggiungete che io faccio le opere del Padre mio, e che dimostro così non solo la mia missione, ma la mia identità di natura con Lui, poiché il Padre è in me ed io sono nel Padre.
L'argomento era stringente, e quel che è più, era accompagnato da quella gran luce di verità che rifulgeva da tutte le divine parole di Gesù Cristo, ma i Giudei non solo non se ne mostrarono convinti, ma cercarono di catturarlo per condurlo innanzi ai Giudici e farlo condannare.
Egli però uscì loro di mano, passando tranquillamente in mezzo a loro, ed avviandosi verso il luogo dove Giovanni aveva battezzato, al di là del Giordano, cioè nella Perèa, sia per non dare agio ai suoi nemici di catturarlo, e sia per far ricordare al popolo la grande testimonianza che di Lui aveva data il Battista. Molti infatti andarono da Lui in quei luoghi che parlavano ancora del Precursore, e dicevano: Giovanni non fece alcun miracolo, ma tutto quello che disse di Gesù era vero', lontani dalla triste influenza degli scribi e farisei constatarono la verità e credettero in Gesù Cristo, confessandolo vero Figlio di Dio.
5. Per la nostra vita spirituale
Nel mondo siamo soli e incompresi: come Gesù
I  Giudei dicevano al popolo parlando di Gesù: Egli è un indemoniato ed impazzisce; perché state a sentirlo?
II  Figlio di Dio, la sapienza eterna, trattato da pazzo!
Come mai possiamo sperare noi un trattamento diverso
dal mondo, quando glorifichiamo Dio? Il mondo ci considera come squilibrati, ed il demonio tenta così di farci temperare talmente lo spirito cristiano con facili condiscendenze alle stoltezze della vita terrena, da non conservarlo più in noi. È così che diventiamo schiavi del rispetto umano, e finiamo spesso per non conservare in noi altro che l'apparenza dello spirito cristiano! Non dobbiamo piuttosto ritorcere noi l'insulto al mondo, stimandolo per quello che è, folle ed indemoniato? Possiamo abdicare alla nostra libertà interiore per gli stupidi apprezzamenti e giudizi di chi è schiavo del male? Quale uso e quale legge sociale potrebbe mai giustificare il nostro allontanamento dalla pietà, od anche il semplice rilassamento nei doveri della nostra professione cristiana? Leviamo la fronte, per carità, scuotiamo il giogo che ci opprime, respiriamo l'aria salutare del cielo, e siamo contenti di essere considerati come folli dal mondo, per non apparire insensati nel giorno del giudizio!
Gesù Cristo parla, conferma la sua parola coi miracoli, ma i Giudei non gli credono e non ascoltano la sua voce perché non sono sue pecorelle. Seguiamo Gesù, nutriamo l'anima nostra dei suoi insegnamenti, coi suoi Sacramenti e col vitale alimento che ci viene dalla sua Chiesa, se vogliamo essere pecorelle dei suoi pascoli ed ascoltarne la voce. Com'è possibile essere cristiani ed avvelenarci alle putride fonti del mondo? Quanti distruggono in loro i germi della grazia, e spengono nell'intelletto la luce della verità leggendo libri stolti, partecipando a conversazioni o a spettacoli frivoli, e gettando nel loro cuore a piene mani le cattive sementi delle passioni! Siamo gelosi della nostra fede, siamo tutelatori accorti dei tesori che da essa ci vengono, ed intenderemo la voce di Gesù ogni volta che si fa sentire nel nostro cuore ed ogni volta che ci parla per mezzo della Chiesa.
Quanto è difficile vivere nel mondo e conversare con le creature!...
Siamo pecorelle di Gesù, e dobbiamo andare appresso a Lui con grande docilità. È un titolo di sommo onore ed un'immensa grazia. Che c'importa del mondo? Non ci accorgiamo che la vita sfugge e che il mondo non è nostra eredità? Ci siamo per morirvi, e possiamo dire che esso è la nostra bara, che si forma quasi a strati a strati con gli anni della nostra vita. Ogni giorno vi aggiunge una particella, e l'ultimo giorno
Sac. Dolindo Ruotolo

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