3. Gesù Cristo risponde alle malignità dei Giudei manifestandosi Dio come il Padre
Quando il paralitico s'incontrò con Gesù Cristo nel tempio e riconobbe colui che lo aveva sanato, andò a riferirlo ai capi del sinedrio, evidentemente non con intenzione ostile, ma perché avessero constatato la verità ed avessero creduto.
Gli scribi e farisei però ne presero occasione per avversare maggiormente il Redentore, giudicandolo come un perturbatore delle loro tradizioni ed un violatore della Legge. È evidente dal contesto che l'infermo guarito, trovandosi nel tempio, andò allora stesso a parlare coi capi del sinedrio, e che costoro, saputo da lui che Gesù era nel tempio, siano andati da Lui per rimproverarlo ed imporgli di non ardire più di violare il sabato.
Gesù Cristo però, con la sua calma divina, li confuse, rivelandosi Dio come il Padre, ed esclamò: Il Padre mio opera fino al presente ed anche io opero. Evidentemente i suoi avversari gli dovettero dire: Come mai tu ardisci di operare nel sabato se Dio medesimo, creando l'universo, riposò nel sabato da qualunque opera? Gli opposero il testo scritturale prendendolo materialmente alla lettera (Gen 2,2), e Gesù lo spiegò loro per quello che veramente significava, giustificando ciò che Egli stesso faceva nel giorno di sabato: Dio cessò di creare cose nuove nel settimo giorno, ma non cessò dal muovere, conservare e governare ciò che aveva creato, come non cessa di farlo continuamente.
E un assurdo l'immaginare Dio estraneo o assente con la sua azione dalle sue creature, poiché Egli le sostenta con la sua potenza, le armonizza con la sua sapienza, e le feconda e governa col suo amore.
Se la sapienza di Dio armonizza le cose, dice Gesù, io che sono l'eterna ed increata sapienza opero insieme con Lui, opero diffondendo la sua bontà e la sua misericordia, e quindi,
lungi dal violare il giorno di Dio, lo santifico glorificando il Padre con opere di bontà e di misericordia.
Gesù rivela il mistero grandioso della sua eterna generazione e filiazione divina
I Giudei, a questa chiara proclamazione della sua divinità, consustanziale al Padre, irruppero maggiormente contro di Lui, e pensarono che bisognava disfarsene ad ogni costo uccidendolo, giacché Egli, secondo loro, non solo violava il sabato, ma si faceva uguale a Dio. Perciò Gesù, rispondendo ai loro pensieri stolti e malvagi, soggiunge: In verità, in verità vi dico: Il Figlio non può fare da sé alcuna cosa se non la vede fare dal Padre, poiché qualunque cosa questi fa, la fa anche il Figlio.
II Figlio divino è inseparabile dal Padre, ed ha con Lui comune la potenza e l'azione. Egli è generato dal Padre come suo Verbo, ed è il termine della visione e della cognizione nozionale del Padre. Il Padre conoscendo se stesso genera il Figlio e per ciò stesso gli comunica la sua visione e la sua azione. Il Verbo, conoscenza del Padre, conosce ed apprezza il Padre, perché è Verbo infinitamente sussistente, persona distinta dal Padre; il Verbo quindi niente vede o fa se non ciò che il Padre vede o fa, essendo Egli il Verbo e l'idea in cui, quasi nel termine, il Padre esprime ed imprime ogni sua visione e cognizione tanto speculativa che pratica.
Gesù rivelò così con termini meravigliosamente precisi il mistero grandioso della sua eterna generazione e filiazione; se Egli fosse stato un uomo che per fissazione o per vanità avesse voluto proclamarsi uguale a Dio, non avrebbe usato un linguaggio così preciso dal punto di vista filosofico e teologico, ma avrebbe detto semplicemente di essere Dio; la precisione dei termini del suo discorso era già un argomento della verità.
Rispondendo direttamente agli scribi e farisei, Gesù volle dire: ciò che io opero l'opera anche il Padre, con la stessa visione, cognizione, volontà, potenza ed azione; perciò se voi mi accusate di aver fatto nel sabato un bene, voi accusate anche Dio Padre, poiché Egli ha operato con me, ed Egli in me e per me opera tutto; anzi io ricevo dal Padre tutto ciò che opero, ed opero come il Padre, essendo della stessa natura divina.
Gesù spiega perché il Padre, comunicandogli la natura divina per l'eterna generazione, gli comunichi anche la sua identica potenza, la sua stessa identica scienza, e tutti gli attributi suoi, in modo che ciò che opera il Padre l'opera anche il Figlio. Il Padre, infatti, generandolo, l'ama d'infinito amore ed amandolo gli manifesta1, ossia gli comunica tutto quello che fa, tutto quello che ha in se stesso, cioè, e tutto quello che vuol compiere fuori di sé diffondendo la sua bontà. Il Figlio quindi opera ciò che il Padre opera, e tutto quello che compie anche nell'assunta natura umana gli viene dal Padre, perché per l'unità della Persona è vero Figlio di Dio.
Voi credete, voleva dire Gesù profondissimamente, che io da me abbia guarito questo paralitico, e mi rimproverate perché abbia voluto guarirlo facendogli portare il lettuccio; stimate tutto questo un atto ed un arbitrio della mia volontà, e non pensate invece che è un'azione che io ho compiuto nella divina volontà, con la potenza divina comunicatami dal Padre nell'eterna generazione, con la padronanza divina che il Padre ha di tutto, anche del sabato. Ché se non vi basta questo miracolo, così evidente per credere, ecco che il Padre me ne farà fare molto maggiori di questo, fino a rendervi stupiti, e me li farà fare perché mi ama, cioè perché amandomi mi vuole glorificare, e vuole mostrare l'opera del suo amor che compie per me, redimendo le sue creature cadute.
Dalla sua eterna generazione e filiazione divina Gesù passa a parlare di sé come Dio-Uomo, Verbo Incarnato, che opera
per il Padre e nel Padre la redenzione, essendo mandato dal Padre, e ridona la vita alle anime con la grazia che merita loro.
Egli, infatti, non ha risanato il paralitico per ridonargli solo i movimenti del corpo, ma lo ha risanato anche nell'anima perdonandogli i peccati, ed ingiungendogli di non peccare più. Voi non vi stupite che il Padre possa risuscitare i morti e dare la vita; ebbene, ecco, anche io dono la vita a chi voglio. E questa l'opera grande che mi farà fare il Padre: donare la vita dell'anima a chi non l'ha. Chi poi non accoglie questa vita credete che rimarrà senza castigo? Il Padre, che mi ha dato il potere di dare la vita come Redentore, mi ha dato anche il potere di giudicare il mondo e di condannare quelli che rifiutano la salvezza.
Nel dire queste parole Gesù Cristo assunse un tono di grande maestà e severità verso quegli scribi e farisei che ardivano giudicarlo malignamente, e rifiutavano la salvezza. Egli, anche come uomo, ha ricevuto dal Padre un pieno potere giudiziario su di ogni creatura, di modo che, benché il Figlio non giudichi senza il Padre e il Padre senza il Figlio, perché le opere divine ad extra sono comuni a tutte le tre Persone della Santissima Trinità, pure Egli ha riservato ogni giudizio al Figlio Incarnato, poiché questi soltanto ha assunto l'umana natura, ed apparirà glorificato su tutte le creature come giudice delle loro azioni e come condannatore delle loro perversità.
Gesù non è venuto per dare l'effimero trionfo d'un regno politico
Dare la vita e giudicare sono due attributi divini che nessuna creatura può neppure lontanamente avere, ed a cui non può partecipare in nessun modo, perché Dio solo è infinito principio che esiste da sé e comunica l'esistenza e la vita diffondendo la sua bontà, e Dio solo è la suprema ragione che vuole il bene e condanna il male.
Prescindendo da Dio non è possibile né la vita né la ragione suprema dell'ordine della vita, fondamento del giudizio; Gésù Cristo, affermando con la conferma dei miracoli che Egli dà la vita e giudica gli uomini, afferma la sua divinità con l'argomento più grande che poteva dare.
Dello stesso argomento si servì nel tramonto della sua vita mortale, poiché Egli nell'Eucaristia si donò per darci la vita, ed innanzi a Caifas affermò solennemente che sarebbe ritornato dal cielo con grande maestà per giudicare tutti gli uomini.
Stabilita su questa solida base la sua divinità, Gesù Cristo mostra da una parte la gravità del peccato di quelli che lo disconoscono e lo avversano, e dall'altra chi sono quelli che hanno la vita che Egli è venuto a dare con la redenzione: se il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio, affinché questi sia onorato come Lui stesso è onorato, è evidente che ehi non lo riconosce, chi non lo onora, non riconosce e non onora il Padre che lo ha mandato. Ed allora a che serve tutta la pretesa degli scribi e dei farisei di voler onorare Dio, se disconoscono e disonorano il suo Figlio? Essi gli fanno guerra lusingandosi di salvaguardare l'onore di Dio; sappiamo però che con ciò stesso si condannano e sono condannati come gente che disonora il Signore.
Solo chi ascolta la parola del suo Figlio disceso in terra e crede in Colui che lo ha mandato ha la vita eterna, non incorre nel giudizio e, morendo, passa dalla morte temporale alla vita vera d'interminabile felicità.
Con parole enfatiche e grandiose Gesù Cristo determina che cosa sia la redenzione che Egli viene a compiere nel mondo: Egli non viene per dare ad Israele l'effimero trionfo d'un regno politico, e non è questo che bisogna attendere da Lui; viene per dare la vita alle anime morte alla grazia e per darla con la sua Parola e con la sua Grazia; quelli che lo ascolteranno, praticando la sua Parola, vivranno. Come il Padre ha la vita in se stesso, essendo il principio e la fonte della vita e,
comunicando al Figlio per l'eterna generazione la sua stessa natura, lo rende principio e fonte della vita com'è Lui, così il Figlio, incarnandosi, rigenera le anime, dona loro la vita sua, le incorpora a sé, le salva, e giudica poi tutti gli uomini secondo questa unione di vita o meno che hanno avuta con Lui.
Voi vi stupite che io abbia risanato un paralitico, voleva dire Gesù, e cavillate che io l'abbia fatto in giorno di sabato, facendogli portare il lettuccio; orbene, sappiate che un giorno i morti dei sepolcri ascolteranno la mia voce e riavranno tutti la vita per essere giudicati; riprenderanno non un lettuccio ma il corpo lasciato sulla terra, e risusciteranno i buoni per avere la vita eterna, ed i cattivi per essere giudicati, cioè per avere l'eterna condanna.
Io non posso far nulla da me, cioè io non sono un uomo che agisce a capriccio e si regola con la sua ragione e la sua volontà; io, come Figlio vero di Dio, ho la stessa sua scienza, e giudico secondo le eterne ragioni del bene che sono in Lui e, per Lui, in me, e come ascolto così giudico anche come uomo, non vivendo nella mia volontà ma in quella del Padre mio.
Con queste solenni parole Gesù Cristo si proclamò vero Dio, ma per i suoi nemici che lo credevano un mestatore qualunque quale valore avevano le sue parole?
Egli perciò conferma la sua asserzione con una testimonianza che il popolo credeva vera per la santità dell'uomo che la dette, è che era suffragata dalla medesima austerità della sua vita; una testimonianza resa solennemente ai membri stessi del sinedrio allorché mandarono per indagare sul suo conto: la testimonianza di Giovanni Battista.
L'argomento di Gesù poggiato sulla testimonianza di Giovanni non era più forte di quello poggiato sulla sua reale divinità, testimoniata dal Padre stesso e dallo Spirito Santo, ma per gli scribi e farisei poteva essere una luce tale da scuotere la loro durezza ed indurli a salvezza, giacché anche per essi Giovanni era come lampada ardente e luminosa, pieno di
amore a Dio e fulgente di verità a tal segno, da non poter dubitare delle sue parole; anche essi avevano voluto godere della sua luce per poco tempo, erano andati da lui, ed avevano riconosciuto che non mentiva, allontanandosi poi da lui quando li aveva rimproverati dei loro vizi. Ora Giovanni l'aveva additato come vero Messia, ed aveva solennemente proclamato la sua divinità, affermando che Gesù era prima di lui, e di così alta dignità, ch'egli non era degno neppure di sciogliergli i calzari.
Ma, oltre a questa testimonianza, Gesù Cristo afferma di averne una più grande, quella delle opere miracolose che Egli compie per mandato avutone dal Padre, e quella delle Scritture che parlano di Lui, annunziandone la venuta e predicendone la vita.
I miracoli possono venire solo dalla potenza di Dio, e provano il suo intervento e la missione che Dio ha dato al suo Figlio.
Ora, quando i miracoli confermano la sua solenne affermazione d'essere Dio, come si può mettere in dubbio che Egli dica il vero? Ma anche se non si volesse badare ai miracoli o prestarvi fede, ci sono le Scritture che tracciano in modo inconfondibile i caratteri del Messia e la sua divinità.
Voi credete alle Scritture come Parola di Dio, benché non abbiate udito la sua voce o veduto il suo volto; ora, se ci credete, come non vi accorgete che esse parlano di me? Ma voi studiate le Scritture indagandone solo la lettera, non avete la divina Parola che dimora in voi, non ne vivete, non ve ne nutrite, non la guardate nell'unica sua luce che è quella del Cristo al quale si riferisce e nel quale s'incentra; e per questo, pur scrutando le Scritture, voi non volete venire a me per avere quella vita che credete di trovare in esse. Se parlano di me ed il loro senso è vano se non si riferisce a me come potete presumere di trovarvi la vita rinnegandomi, e come non riconoscete, da ciò che esse dicono, che io sono Colui che esse annunziano?
L'insistere di Gesù sulla sua divinità e sulle testimonianze che la confermavano, poteva sembrare agli scribi e farisei una vana ostentazione, per desiderio di gloria umana; perciò Egli, prevenendo questa difficoltà, esclama: Io non aspetto la gloria degli uomini. Se dico queste cose e lamento la vostra incredulità, non è perché desidero che mi applaudiate, ma perché desidero che voi amiate veramente Dio e vi salviate.
Se viene un intrigante qualunque voi subito gli prestate fede...
Voi non amate Dio, e per questo non riconoscete e non amate il Figlio che nel suo infinito amore Egli vi ha mandato per salvarvi. Non credete a me che vengo nel nome del Padre con la testimonianza delle sue opere e della sua Parola, e v'illudete che non mi ricevete perché amate la verità; ma ecco, se viene un mestatore qualunque nel proprio nome, poggiandosi alla sua autorità ed alla sua sapienza fallace, voi subito gli prestate fede, lo accogliete come faro di luce e lo seguite.
Perché cadete in questa aberrazione e perché non mi credete, prestando poi orecchio a quelli che v'illudono?
Perché siete pieni di vanità, cercate gli onori e la gloria terrena; vi gonfiate per la gloria che viene dagli uomini, e non cercate né la gloria che viene da Dio a voi per la verità né la gloria che voi dovete dare a Dio seguendo la verità.
Ora com'è possibile che con queste disposizioni voi possiate credere?
E come potete scrutare la verità, se amate solo di apparire voi colti, profondi, sapienti, e mendicate la gloria dagli uomini?
Se cercate la gloria umana voi cercate di carezzare le passioni degli altri per raccattarla, cedete all'errore quando è ammantato di vanità, lo accogliete come glorificazione del vostro orgoglio, e perite miseramente, lontani dalla verità!
Gesù conclude il suo discorso con una protesta che conferma lo scopo per il quale egli parla, e fa risaltare la colpabilità
di quelli che si rifiutano di riconoscerlo: Non pensate che io sia qui per accusarvi presso il Padre, cioè non crediate che io invochi castighi e vendetta per la vostra ostinazione; io invoco misericordia e perdono e vi scuso compatendovi, poiché, se voi non credete a Mosè che ha parlato di me, pur gloriandovi di lui, come crederete alle mie parole, che riguardate come false? Siete accecati, v'illudete di credere a Mosè, ma in realtà non date peso a quello che egli ha scritto, rifiutando la mia parola, avendo egli scritto di me. E voleva dire, come nota opportunamente il Sales contro i moderni neocritici, tutto ciò che sta nei libri di Mosè, e quindi non solo le profezie messianiche, mi riguarda e parla di me; i sacrifici, le istituzioni, le leggi, i racconti, ecc. tutto parla di me (Sales, Nuovo Testamento, p. 369). Dunque Mosè stesso sarà la vostra condanna poiché egli innanzi a Dio attesterà che vi ha parlato del Messia, e quando Egli è venuto voi non l'avete ricevuto.
Gesù Cristo non parlava solo ai suoi interlocutori, parlava a tutto il popolo ebreo, ed a tutti i popoli della terra. Egli misurava fino all'estremo confine l'ingratitudine ebrea e, guardando fin d'allora la croce cui sarebbe stato condannato, protestò che non avrebbe accusato al Padre i suoi carnefici, ma avrebbe implorato perdono; come fece dicendo: Perdona loro perché non sanno quel che fanno.
Quando il paralitico s'incontrò con Gesù Cristo nel tempio e riconobbe colui che lo aveva sanato, andò a riferirlo ai capi del sinedrio, evidentemente non con intenzione ostile, ma perché avessero constatato la verità ed avessero creduto.
Gli scribi e farisei però ne presero occasione per avversare maggiormente il Redentore, giudicandolo come un perturbatore delle loro tradizioni ed un violatore della Legge. È evidente dal contesto che l'infermo guarito, trovandosi nel tempio, andò allora stesso a parlare coi capi del sinedrio, e che costoro, saputo da lui che Gesù era nel tempio, siano andati da Lui per rimproverarlo ed imporgli di non ardire più di violare il sabato.
Gesù Cristo però, con la sua calma divina, li confuse, rivelandosi Dio come il Padre, ed esclamò: Il Padre mio opera fino al presente ed anche io opero. Evidentemente i suoi avversari gli dovettero dire: Come mai tu ardisci di operare nel sabato se Dio medesimo, creando l'universo, riposò nel sabato da qualunque opera? Gli opposero il testo scritturale prendendolo materialmente alla lettera (Gen 2,2), e Gesù lo spiegò loro per quello che veramente significava, giustificando ciò che Egli stesso faceva nel giorno di sabato: Dio cessò di creare cose nuove nel settimo giorno, ma non cessò dal muovere, conservare e governare ciò che aveva creato, come non cessa di farlo continuamente.
E un assurdo l'immaginare Dio estraneo o assente con la sua azione dalle sue creature, poiché Egli le sostenta con la sua potenza, le armonizza con la sua sapienza, e le feconda e governa col suo amore.
Se la sapienza di Dio armonizza le cose, dice Gesù, io che sono l'eterna ed increata sapienza opero insieme con Lui, opero diffondendo la sua bontà e la sua misericordia, e quindi,
lungi dal violare il giorno di Dio, lo santifico glorificando il Padre con opere di bontà e di misericordia.
Gesù rivela il mistero grandioso della sua eterna generazione e filiazione divina
I Giudei, a questa chiara proclamazione della sua divinità, consustanziale al Padre, irruppero maggiormente contro di Lui, e pensarono che bisognava disfarsene ad ogni costo uccidendolo, giacché Egli, secondo loro, non solo violava il sabato, ma si faceva uguale a Dio. Perciò Gesù, rispondendo ai loro pensieri stolti e malvagi, soggiunge: In verità, in verità vi dico: Il Figlio non può fare da sé alcuna cosa se non la vede fare dal Padre, poiché qualunque cosa questi fa, la fa anche il Figlio.
II Figlio divino è inseparabile dal Padre, ed ha con Lui comune la potenza e l'azione. Egli è generato dal Padre come suo Verbo, ed è il termine della visione e della cognizione nozionale del Padre. Il Padre conoscendo se stesso genera il Figlio e per ciò stesso gli comunica la sua visione e la sua azione. Il Verbo, conoscenza del Padre, conosce ed apprezza il Padre, perché è Verbo infinitamente sussistente, persona distinta dal Padre; il Verbo quindi niente vede o fa se non ciò che il Padre vede o fa, essendo Egli il Verbo e l'idea in cui, quasi nel termine, il Padre esprime ed imprime ogni sua visione e cognizione tanto speculativa che pratica.
Gesù rivelò così con termini meravigliosamente precisi il mistero grandioso della sua eterna generazione e filiazione; se Egli fosse stato un uomo che per fissazione o per vanità avesse voluto proclamarsi uguale a Dio, non avrebbe usato un linguaggio così preciso dal punto di vista filosofico e teologico, ma avrebbe detto semplicemente di essere Dio; la precisione dei termini del suo discorso era già un argomento della verità.
Rispondendo direttamente agli scribi e farisei, Gesù volle dire: ciò che io opero l'opera anche il Padre, con la stessa visione, cognizione, volontà, potenza ed azione; perciò se voi mi accusate di aver fatto nel sabato un bene, voi accusate anche Dio Padre, poiché Egli ha operato con me, ed Egli in me e per me opera tutto; anzi io ricevo dal Padre tutto ciò che opero, ed opero come il Padre, essendo della stessa natura divina.
Gesù spiega perché il Padre, comunicandogli la natura divina per l'eterna generazione, gli comunichi anche la sua identica potenza, la sua stessa identica scienza, e tutti gli attributi suoi, in modo che ciò che opera il Padre l'opera anche il Figlio. Il Padre, infatti, generandolo, l'ama d'infinito amore ed amandolo gli manifesta1, ossia gli comunica tutto quello che fa, tutto quello che ha in se stesso, cioè, e tutto quello che vuol compiere fuori di sé diffondendo la sua bontà. Il Figlio quindi opera ciò che il Padre opera, e tutto quello che compie anche nell'assunta natura umana gli viene dal Padre, perché per l'unità della Persona è vero Figlio di Dio.
Voi credete, voleva dire Gesù profondissimamente, che io da me abbia guarito questo paralitico, e mi rimproverate perché abbia voluto guarirlo facendogli portare il lettuccio; stimate tutto questo un atto ed un arbitrio della mia volontà, e non pensate invece che è un'azione che io ho compiuto nella divina volontà, con la potenza divina comunicatami dal Padre nell'eterna generazione, con la padronanza divina che il Padre ha di tutto, anche del sabato. Ché se non vi basta questo miracolo, così evidente per credere, ecco che il Padre me ne farà fare molto maggiori di questo, fino a rendervi stupiti, e me li farà fare perché mi ama, cioè perché amandomi mi vuole glorificare, e vuole mostrare l'opera del suo amor che compie per me, redimendo le sue creature cadute.
Dalla sua eterna generazione e filiazione divina Gesù passa a parlare di sé come Dio-Uomo, Verbo Incarnato, che opera
per il Padre e nel Padre la redenzione, essendo mandato dal Padre, e ridona la vita alle anime con la grazia che merita loro.
Egli, infatti, non ha risanato il paralitico per ridonargli solo i movimenti del corpo, ma lo ha risanato anche nell'anima perdonandogli i peccati, ed ingiungendogli di non peccare più. Voi non vi stupite che il Padre possa risuscitare i morti e dare la vita; ebbene, ecco, anche io dono la vita a chi voglio. E questa l'opera grande che mi farà fare il Padre: donare la vita dell'anima a chi non l'ha. Chi poi non accoglie questa vita credete che rimarrà senza castigo? Il Padre, che mi ha dato il potere di dare la vita come Redentore, mi ha dato anche il potere di giudicare il mondo e di condannare quelli che rifiutano la salvezza.
Nel dire queste parole Gesù Cristo assunse un tono di grande maestà e severità verso quegli scribi e farisei che ardivano giudicarlo malignamente, e rifiutavano la salvezza. Egli, anche come uomo, ha ricevuto dal Padre un pieno potere giudiziario su di ogni creatura, di modo che, benché il Figlio non giudichi senza il Padre e il Padre senza il Figlio, perché le opere divine ad extra sono comuni a tutte le tre Persone della Santissima Trinità, pure Egli ha riservato ogni giudizio al Figlio Incarnato, poiché questi soltanto ha assunto l'umana natura, ed apparirà glorificato su tutte le creature come giudice delle loro azioni e come condannatore delle loro perversità.
Gesù non è venuto per dare l'effimero trionfo d'un regno politico
Dare la vita e giudicare sono due attributi divini che nessuna creatura può neppure lontanamente avere, ed a cui non può partecipare in nessun modo, perché Dio solo è infinito principio che esiste da sé e comunica l'esistenza e la vita diffondendo la sua bontà, e Dio solo è la suprema ragione che vuole il bene e condanna il male.
Prescindendo da Dio non è possibile né la vita né la ragione suprema dell'ordine della vita, fondamento del giudizio; Gésù Cristo, affermando con la conferma dei miracoli che Egli dà la vita e giudica gli uomini, afferma la sua divinità con l'argomento più grande che poteva dare.
Dello stesso argomento si servì nel tramonto della sua vita mortale, poiché Egli nell'Eucaristia si donò per darci la vita, ed innanzi a Caifas affermò solennemente che sarebbe ritornato dal cielo con grande maestà per giudicare tutti gli uomini.
Stabilita su questa solida base la sua divinità, Gesù Cristo mostra da una parte la gravità del peccato di quelli che lo disconoscono e lo avversano, e dall'altra chi sono quelli che hanno la vita che Egli è venuto a dare con la redenzione: se il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio, affinché questi sia onorato come Lui stesso è onorato, è evidente che ehi non lo riconosce, chi non lo onora, non riconosce e non onora il Padre che lo ha mandato. Ed allora a che serve tutta la pretesa degli scribi e dei farisei di voler onorare Dio, se disconoscono e disonorano il suo Figlio? Essi gli fanno guerra lusingandosi di salvaguardare l'onore di Dio; sappiamo però che con ciò stesso si condannano e sono condannati come gente che disonora il Signore.
Solo chi ascolta la parola del suo Figlio disceso in terra e crede in Colui che lo ha mandato ha la vita eterna, non incorre nel giudizio e, morendo, passa dalla morte temporale alla vita vera d'interminabile felicità.
Con parole enfatiche e grandiose Gesù Cristo determina che cosa sia la redenzione che Egli viene a compiere nel mondo: Egli non viene per dare ad Israele l'effimero trionfo d'un regno politico, e non è questo che bisogna attendere da Lui; viene per dare la vita alle anime morte alla grazia e per darla con la sua Parola e con la sua Grazia; quelli che lo ascolteranno, praticando la sua Parola, vivranno. Come il Padre ha la vita in se stesso, essendo il principio e la fonte della vita e,
comunicando al Figlio per l'eterna generazione la sua stessa natura, lo rende principio e fonte della vita com'è Lui, così il Figlio, incarnandosi, rigenera le anime, dona loro la vita sua, le incorpora a sé, le salva, e giudica poi tutti gli uomini secondo questa unione di vita o meno che hanno avuta con Lui.
Voi vi stupite che io abbia risanato un paralitico, voleva dire Gesù, e cavillate che io l'abbia fatto in giorno di sabato, facendogli portare il lettuccio; orbene, sappiate che un giorno i morti dei sepolcri ascolteranno la mia voce e riavranno tutti la vita per essere giudicati; riprenderanno non un lettuccio ma il corpo lasciato sulla terra, e risusciteranno i buoni per avere la vita eterna, ed i cattivi per essere giudicati, cioè per avere l'eterna condanna.
Io non posso far nulla da me, cioè io non sono un uomo che agisce a capriccio e si regola con la sua ragione e la sua volontà; io, come Figlio vero di Dio, ho la stessa sua scienza, e giudico secondo le eterne ragioni del bene che sono in Lui e, per Lui, in me, e come ascolto così giudico anche come uomo, non vivendo nella mia volontà ma in quella del Padre mio.
Con queste solenni parole Gesù Cristo si proclamò vero Dio, ma per i suoi nemici che lo credevano un mestatore qualunque quale valore avevano le sue parole?
Egli perciò conferma la sua asserzione con una testimonianza che il popolo credeva vera per la santità dell'uomo che la dette, è che era suffragata dalla medesima austerità della sua vita; una testimonianza resa solennemente ai membri stessi del sinedrio allorché mandarono per indagare sul suo conto: la testimonianza di Giovanni Battista.
L'argomento di Gesù poggiato sulla testimonianza di Giovanni non era più forte di quello poggiato sulla sua reale divinità, testimoniata dal Padre stesso e dallo Spirito Santo, ma per gli scribi e farisei poteva essere una luce tale da scuotere la loro durezza ed indurli a salvezza, giacché anche per essi Giovanni era come lampada ardente e luminosa, pieno di
amore a Dio e fulgente di verità a tal segno, da non poter dubitare delle sue parole; anche essi avevano voluto godere della sua luce per poco tempo, erano andati da lui, ed avevano riconosciuto che non mentiva, allontanandosi poi da lui quando li aveva rimproverati dei loro vizi. Ora Giovanni l'aveva additato come vero Messia, ed aveva solennemente proclamato la sua divinità, affermando che Gesù era prima di lui, e di così alta dignità, ch'egli non era degno neppure di sciogliergli i calzari.
Ma, oltre a questa testimonianza, Gesù Cristo afferma di averne una più grande, quella delle opere miracolose che Egli compie per mandato avutone dal Padre, e quella delle Scritture che parlano di Lui, annunziandone la venuta e predicendone la vita.
I miracoli possono venire solo dalla potenza di Dio, e provano il suo intervento e la missione che Dio ha dato al suo Figlio.
Ora, quando i miracoli confermano la sua solenne affermazione d'essere Dio, come si può mettere in dubbio che Egli dica il vero? Ma anche se non si volesse badare ai miracoli o prestarvi fede, ci sono le Scritture che tracciano in modo inconfondibile i caratteri del Messia e la sua divinità.
Voi credete alle Scritture come Parola di Dio, benché non abbiate udito la sua voce o veduto il suo volto; ora, se ci credete, come non vi accorgete che esse parlano di me? Ma voi studiate le Scritture indagandone solo la lettera, non avete la divina Parola che dimora in voi, non ne vivete, non ve ne nutrite, non la guardate nell'unica sua luce che è quella del Cristo al quale si riferisce e nel quale s'incentra; e per questo, pur scrutando le Scritture, voi non volete venire a me per avere quella vita che credete di trovare in esse. Se parlano di me ed il loro senso è vano se non si riferisce a me come potete presumere di trovarvi la vita rinnegandomi, e come non riconoscete, da ciò che esse dicono, che io sono Colui che esse annunziano?
L'insistere di Gesù sulla sua divinità e sulle testimonianze che la confermavano, poteva sembrare agli scribi e farisei una vana ostentazione, per desiderio di gloria umana; perciò Egli, prevenendo questa difficoltà, esclama: Io non aspetto la gloria degli uomini. Se dico queste cose e lamento la vostra incredulità, non è perché desidero che mi applaudiate, ma perché desidero che voi amiate veramente Dio e vi salviate.
Se viene un intrigante qualunque voi subito gli prestate fede...
Voi non amate Dio, e per questo non riconoscete e non amate il Figlio che nel suo infinito amore Egli vi ha mandato per salvarvi. Non credete a me che vengo nel nome del Padre con la testimonianza delle sue opere e della sua Parola, e v'illudete che non mi ricevete perché amate la verità; ma ecco, se viene un mestatore qualunque nel proprio nome, poggiandosi alla sua autorità ed alla sua sapienza fallace, voi subito gli prestate fede, lo accogliete come faro di luce e lo seguite.
Perché cadete in questa aberrazione e perché non mi credete, prestando poi orecchio a quelli che v'illudono?
Perché siete pieni di vanità, cercate gli onori e la gloria terrena; vi gonfiate per la gloria che viene dagli uomini, e non cercate né la gloria che viene da Dio a voi per la verità né la gloria che voi dovete dare a Dio seguendo la verità.
Ora com'è possibile che con queste disposizioni voi possiate credere?
E come potete scrutare la verità, se amate solo di apparire voi colti, profondi, sapienti, e mendicate la gloria dagli uomini?
Se cercate la gloria umana voi cercate di carezzare le passioni degli altri per raccattarla, cedete all'errore quando è ammantato di vanità, lo accogliete come glorificazione del vostro orgoglio, e perite miseramente, lontani dalla verità!
Gesù conclude il suo discorso con una protesta che conferma lo scopo per il quale egli parla, e fa risaltare la colpabilità
di quelli che si rifiutano di riconoscerlo: Non pensate che io sia qui per accusarvi presso il Padre, cioè non crediate che io invochi castighi e vendetta per la vostra ostinazione; io invoco misericordia e perdono e vi scuso compatendovi, poiché, se voi non credete a Mosè che ha parlato di me, pur gloriandovi di lui, come crederete alle mie parole, che riguardate come false? Siete accecati, v'illudete di credere a Mosè, ma in realtà non date peso a quello che egli ha scritto, rifiutando la mia parola, avendo egli scritto di me. E voleva dire, come nota opportunamente il Sales contro i moderni neocritici, tutto ciò che sta nei libri di Mosè, e quindi non solo le profezie messianiche, mi riguarda e parla di me; i sacrifici, le istituzioni, le leggi, i racconti, ecc. tutto parla di me (Sales, Nuovo Testamento, p. 369). Dunque Mosè stesso sarà la vostra condanna poiché egli innanzi a Dio attesterà che vi ha parlato del Messia, e quando Egli è venuto voi non l'avete ricevuto.
Gesù Cristo non parlava solo ai suoi interlocutori, parlava a tutto il popolo ebreo, ed a tutti i popoli della terra. Egli misurava fino all'estremo confine l'ingratitudine ebrea e, guardando fin d'allora la croce cui sarebbe stato condannato, protestò che non avrebbe accusato al Padre i suoi carnefici, ma avrebbe implorato perdono; come fece dicendo: Perdona loro perché non sanno quel che fanno.
Sac. Dolindo Ruotolo
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