2. La cena di Betania. Maria Maddalena cosparge il capo di Gesù di unguento prezioso
Gesù Cristo da Efrem, dove s'era rifugiato coi suoi discepoli, andò prima a Gerico, e di là a Betania, dove aveva risuscitato Lazzaro. In questa borgata quelli che erano stati beneficati da Lui gli offrirono una cena, com'è detto in san Matteo (26,6), in casa di Simone il lebbroso, chiamato così perché era stato guarito dalla lebbra. Forse fu scelta la casa di Simone perché più ampia e più adatta allo scopo.
Lazzaro era uno dei commensali, e Marta, sempre piena di riconoscenza verso Gesù e sempre pronta a prestarsi per gli altri, serviva a tavola. Maria poi, attratta al Redentore da un amore più profondo e soprannaturale, lo contemplava, avida di ascoltare da Lui una parola di vita. Era stata colpita dalla sua parola quando era ancora peccatrice, e se ne era sentita trasformata; profonda nell'umiltà e nell'amore, era meglio disposta ad ascoltarla e cercava non farsi sfuggire nessuna occasione per accoglierla nel cuore.
Per la ressa dei convitati essa dovette situarsi alle spalle di Gesù, al fine di non perderne una sillaba e, visto quel capo divino, d'incomparabile bellezza e i piedi distesi, si sentì mossa da tanto rispetto e venerazione, che preso un vasetto di unguento prezioso di nardo, del peso di una libbra, cioè circa 325 grammi, lo spezzò all'altezza del capo di Gesù e glielo sparse tra le chiome, come dicono san Matteo (26,7) e san
Marco (14,3), poi si prostrò, e ne sparse anche sui piedi di Lui, raccogliendo dai cocci dell'alabastro il resto dell'unguento con i propri capelli, e spargendolo così interamente su quei piedi divini. Tutta la casa fu ripiena dell'odore dell'unguento, e dallo squisito profumo tutti si accorsero della sua preziosità.
Maria Maddalena era stata troppo abituata a contemplare le bellezze umane, durante gli anni della sua vita disordinata. Aveva quasi naturalmente un senso profondo di estetica, e diremmo un'anima di artista. Per lei era stata familiare occupazione il notare le proporzioni, i profili, e l'armonia delle creature, ma le era stato pur familiare l'esperimentare il vuoto che queste armonie avevano lasciato in lei. La divina bellezza di Gesù l'aveva attratta, lasciandole nell'anima una grande purezza, e conservava ancora il ricordo soave del contatto che ebbe coi suoi piedi divini, quando pianse i propri peccati e domandò misericordia. Essa perciò, quando lo vide a mensa, standogli vicino, sentì da Lui un effluvio di purezza che la ristorò e, contemplando quel capo e quei piedi così belli e così divinamente puri, non si trattenne, e volle effondervi sopra il vasetto prezioso di unguento che ancora forse conservava dopo la conversione, residuo della sua vita di lusso. Nel compiere questo atto di venerazione e di amore, le dovette passare anche per la mente qualche mesto pensiero: Gesù aveva tante volte preannunziato la sua morte, e le insidie che gli tendevano i sacerdoti, gli scribi e farisei per farlo morire, erano notorie; essa perciò, nel vederlo semidisteso, come si usava nei banchetti, e spargendogli l'unguento in un momento di silenzio e di raccoglimento, ebbe quasi l'idea che ungesse un morto, e si sentì stringere il cuore pensando che se l'avessero ucciso a tradimento, come ordivano, essa non avrebbe potuto ungere il suo corpo. Questo triste pensiero, che in realtà le veniva da un lume profetico sulla morte e sepoltura di Gesù, la rese anche più pronta nel suo atto di generosità.
Quando, infatti, si ha il presentimento che uno possa morire, si sente verso di lui una maggiore tenerezza, e gli si è larghi di doni e di espansioni di carità.
Giuda, avido e avaro, condanna il gesto della Maddalena
I discepoli di Gesù, come notano san Matteo e san Marco, e Giuda in particolare, con un senso di avida avarizia, come osserva a posta san Giovanni, credettero superfluo quell'atto costoso di omaggio, e si sdegnarono con Maria, pensando che quell'unguento si sarebbe potuto vendere a caro prezzo, ed avrebbe potuto darsi ai poveri (Mt 26,9). Giuda, in particolare, stimò che potevano ricavarsene 300 denari ossia circa 234 lire, ed anche di più (Me 14,5), e fece il suo calcolo interessato non perché gl'importasse dei poveri, ma perché, tenendo in custodia le elemosine che si raccoglievano, ne prendeva parte per sé, furtivamente, come indica il testo greco, e se ne appropriava indebitamente.
Gli altri apostoli ebbero in realtà un pensiero per i poveri, perché il loro cuore non era capace di capire l'atto di delicato amore di Maria, ma Giuda parlò dei poveri per dissimulare il suo atto di avida avarizia, ed il suo sdegno perché era stato fatto a Gesù quell'ossequio costoso; egli non amava Gesù, anzi forse già cominciava a pensare di disfarsene, assicurandosi col denaro che portava, una certa posizione finanziaria; non è inverosimile, anzi è probabile, che proprio per questo mancato guadagno cominciò a nascergli il pensiero di tradire il suo Maestro e rifarsene col prezzo vistoso che sperava ottenere dal sinedrio.
Gesù, difendendo l'operato di Maria, disse con grande dolcezza ai suoi apostoli e in particolare a Giuda: Lasciala stare, cioè non la turbare, e san Matteo aggiunge: Essa ha fatto veramente un'opera buona verso di me (26,10). Ha agito per amore, ed ha anticipato l'unzione della mia sepoltura.
Col ricordare l'imminente sua morte, Gesù gettò nel cuore degli apostoli un motivo di compassione e di tristezza, per farli desistere dall'inveire contro Maria; al suo delicatissimo amore faceva gran pena che quella creatura fosse contristata proprio in un atto di bontà, ed accettò quell'unzione come un atto di carità al suo Corpo, già pronto alla morte. Le pie donne infatti non avrebbero avuto il tempo di ungerlo dopo la crocifissione, come avrebbero desiderato, e Gesù con l'allusione alla sua sepoltura, anticipò a Maria il conforto di quella mancata unzione, che al suo amore fu penosissima. Quando andò al sepolcro e non trovò più il Corpo del Maestro, nell'impeto della sua angustia, fu soddisfatta di avere impiegato per Lui in vita l'unguento più prezioso che aveva. Gesù anzi annunziò, come notano san Matteo e san Marco, che quell'atto pietoso e gentile di ungerlo sarebbe stato annunziato in tutto il mondo e in tutti i secoli. Con questo nobilitò quell'azione, giudicata dagli apostoli come un inconsulto scialacquio di una ricchezza, e tolse Maria dal fastidio che quella mormorazione dovette arrecarle. Voi parlate dei poveri, soggiunse Gesù, ma i poveri li avete e li avrete sempre con voi, mentre non sempre avrete me. Con queste parole volle bollare allora e per i secoli la falsa carità e compassione verso i poveri, che fa credere superfluo ed inutile quello che si dà al Signore nell'esercizio del culto.
Sulla provvidenza di Dio
Non sono le nostre ricchezze quelle che soccorrono i poveri, ma è la provvidenza di Dio, che può servirsi anche delle nostre ricchezze. Non basta tassare gli averi dei ricchi per ottenere i fondi dell'assistenza sociale; occorre tassarne, per così dire, il cuore, affinché la carità riscaldi il soccorso, e l'umiltà lo renda una funzione della divina provvidenza. Tutto quello che si dà a Dio non è sottratto ai poveri, ma si muta in loro vero vantaggio, attraendo su di loro la benedizione della sua provvidenza. L'esperienza storica, del resto, dimostra che quando si sono saccheggiate le ricchezze destinate al culto, col pretesto di investirle in soccorso ai poveri, o quando si è stati avari con Dio, non solo i poveri non ne hanno avuto vantaggio, ma sono caduti in maggiore miseria. Le ricchezze sottratte a Dio cadono dolorosamente nelle borse dei ladri e dei Giuda, e finiscono per essere sperperate.
Chi dona a Dio, principalmente a Dio, dona ai poveri, poiché attrae su di essi la provvida benedizione divina. È una leggenda da sfatare quella che presume laicizzare la carità per renderla più efficace come funzione dello Stato. La carità è funzione essenzialmente provvidenziale, ed ha le sue radici nell'amore di Dio. Più si ama Dio e più fiorisce e si moltiplica. I milioni raccolti dallo Stato si polverizzano, i soldini raccolti dalla carità si moltiplicano; i milioni hanno l'impronta della miseria, il raccolto della carità ha quella della ricchezza divina. I milioni laici sono semi infecondi che si spargono e marciscono, i soldini della carità sono germi ubertosi. Dare prima di tutto a Dio, con pienissimo amore, significa attrarre la benedizione sulle fonti della ricchezza, sui campi, sulle industrie, sui mestieri, e produrre un benessere comune, che si risolve in maggiore soccorso dei poveri.
L'alabastro spezzato versa nardo puro e prezioso
Maria spezzò il vasetto di alabastro per dare a Gesù tutta la profusione dell'unguento prezioso. Se avesse voluto trarlo dalla stretta imboccatura del vasetto avrebbe potuto dame ben poco. Anche noi, nel donare a Gesù noi stessi in profumo di
amore, dobbiamo avere la generosità d'infrangere quello che impedisce la nostra piena dedizione a Lui. È necessario infrangere le passioni perché si spanda dall'anima il soave olezzo della purità e della carità; infrangere la carne perché venga fuori, quasi profumo soave, l'attività dello spirito che loda il Signore.
Maria per ungere Gesù usò unguento di nardo puro e prezioso; il Sacro Testo lo chiama unguento di nardi pistici, e questa espressione, nella migliore interpretazione, significa che l'unguento non era adulterato da aromi falsi o selvatici. Ecco come dev'essere l'omaggio del nostro amore a Dio; amore puro nelle intenzioni, non adulterato da fini umani, non mescolato a mancanze ed a deficienze. L'amore è sempre totalitario, nella sua essenza e nel modo in cui si dona; è profumo puro che s'effonde infrangendo tutta la natura. Maria unse prima il capo di Gesù e poi i piedi; in tal modo gli manifestò la pienezza del suo amore, ed andò diritto al suo Cuore divino.
Onoriamo Gesù nelle autorità che ne rappresentano il capo, e nei piccoli e poveri che ne rappresentano i piedi; onoriamolo nelle altezze della contemplazione, figurate dal suo capo, e nell'umiltà delle attività della vita, figurate dai suoi piedi. Onoriamolo poi senza rispetto umano, e senza curarci di quelli che riguardano l'amore di Dio e la carità verso il prossimo come riprovevoli esagerazioni. Ci sono sempre quelli che, vedendo impiegate per Dio certe attive intelligenze o certe qualità preziose, dicono con rammarico che un ingegno vivace o una mente feconda ed organizzatrice non debbono perdersi e quasi sperperarsi in attività spirituali e mistiche. Vorrebbero che si donasse a Dio chi è povero di mente e di cuore, e considerano come un peccato o una sventura che gli si doni chi è ricco di qualità spirituali. Darebbero volentieri a Dio nella carriera ecclesiastica un figlio deficiente, ma credono un male dargliene uno di vivace e spiccata intelligenza, perché pensano che potrebbe fare carriera nel mondo.
È questa una mentalità simile a quella di Giuda, ed è ingiurioso per Dio. È sintomo di un cuore avaro col Signore e ladro della sua gloria, d'un cuore che vive non elevandosi a Dio, ma portando sempre con sé la borsa degli umani interessi. Quando si pensa a raccogliere denaro e ricchezze, il cuore s'immeschinisce e non è capace d'apprezzare la generosità dell'amore che si dona a Dio.
A Betania, nella casa dell'obbedienza, nella casa della grazia e del cantico del Signore, Maria ruppe il vaso prezioso di alabastro, e sparse sul capo e sui piedi di Gesù l'unguento prezioso. Così debbono fare le anime che si consacrano a Dio nelle comunità religiose, case di obbedienza e di grazia, dove si cantano le lodi di Dio; debbono infrangere la natura, e ciò che di più prezioso ha la natura, cioè la volontà, e darsi senza riserve a Gesù, amandolo e umiliandosi. Chi vuol darsi senza infrangersi così, non si dona mai, e chi vuol riservare per sé qualche cosa di sé, non s'effonde completamente in Dio. Maria unse Gesù anticipatamente per la sepoltura; in un banchetto e nell'effusione di un atto di amore pieno, si delineò l'ombra mesta della morte e della sepoltura di Gesù. Non dobbiamo essere anche noi consepolti con Lui dopo essere morti con Lui?
Diamoci dunque senza riserve al suo amore, morendo con Lui a tutto ciò che è terreno, e seppellendoci con Lui nel più profondo raccoglimento interiore. La nostra vita sia nascosta tutta con Gesù Cristo, in Dio. La vita non è un banchetto di piaceri; ha sempre con sé l'ombra della morte e della sepoltura, anche quando sembra un profumo di delizie ed un'espansione di amore. Consideriamola in questa luce, ed ogni sua attività ci apparirà quasi un'anticipazione della morte e della sepoltura. Ogni attività, terrena o spirituale che sia, è un'avanzarsi sul quadrante del tempo, un passo di più verso la morte. Operiamo dunque per il Paradiso, e segniamo ogni
giorno sul nostro quadrante un passo di più verso la beata eternità cui tendiamo.
Gesù Cristo da Efrem, dove s'era rifugiato coi suoi discepoli, andò prima a Gerico, e di là a Betania, dove aveva risuscitato Lazzaro. In questa borgata quelli che erano stati beneficati da Lui gli offrirono una cena, com'è detto in san Matteo (26,6), in casa di Simone il lebbroso, chiamato così perché era stato guarito dalla lebbra. Forse fu scelta la casa di Simone perché più ampia e più adatta allo scopo.
Lazzaro era uno dei commensali, e Marta, sempre piena di riconoscenza verso Gesù e sempre pronta a prestarsi per gli altri, serviva a tavola. Maria poi, attratta al Redentore da un amore più profondo e soprannaturale, lo contemplava, avida di ascoltare da Lui una parola di vita. Era stata colpita dalla sua parola quando era ancora peccatrice, e se ne era sentita trasformata; profonda nell'umiltà e nell'amore, era meglio disposta ad ascoltarla e cercava non farsi sfuggire nessuna occasione per accoglierla nel cuore.
Per la ressa dei convitati essa dovette situarsi alle spalle di Gesù, al fine di non perderne una sillaba e, visto quel capo divino, d'incomparabile bellezza e i piedi distesi, si sentì mossa da tanto rispetto e venerazione, che preso un vasetto di unguento prezioso di nardo, del peso di una libbra, cioè circa 325 grammi, lo spezzò all'altezza del capo di Gesù e glielo sparse tra le chiome, come dicono san Matteo (26,7) e san
Marco (14,3), poi si prostrò, e ne sparse anche sui piedi di Lui, raccogliendo dai cocci dell'alabastro il resto dell'unguento con i propri capelli, e spargendolo così interamente su quei piedi divini. Tutta la casa fu ripiena dell'odore dell'unguento, e dallo squisito profumo tutti si accorsero della sua preziosità.
Maria Maddalena era stata troppo abituata a contemplare le bellezze umane, durante gli anni della sua vita disordinata. Aveva quasi naturalmente un senso profondo di estetica, e diremmo un'anima di artista. Per lei era stata familiare occupazione il notare le proporzioni, i profili, e l'armonia delle creature, ma le era stato pur familiare l'esperimentare il vuoto che queste armonie avevano lasciato in lei. La divina bellezza di Gesù l'aveva attratta, lasciandole nell'anima una grande purezza, e conservava ancora il ricordo soave del contatto che ebbe coi suoi piedi divini, quando pianse i propri peccati e domandò misericordia. Essa perciò, quando lo vide a mensa, standogli vicino, sentì da Lui un effluvio di purezza che la ristorò e, contemplando quel capo e quei piedi così belli e così divinamente puri, non si trattenne, e volle effondervi sopra il vasetto prezioso di unguento che ancora forse conservava dopo la conversione, residuo della sua vita di lusso. Nel compiere questo atto di venerazione e di amore, le dovette passare anche per la mente qualche mesto pensiero: Gesù aveva tante volte preannunziato la sua morte, e le insidie che gli tendevano i sacerdoti, gli scribi e farisei per farlo morire, erano notorie; essa perciò, nel vederlo semidisteso, come si usava nei banchetti, e spargendogli l'unguento in un momento di silenzio e di raccoglimento, ebbe quasi l'idea che ungesse un morto, e si sentì stringere il cuore pensando che se l'avessero ucciso a tradimento, come ordivano, essa non avrebbe potuto ungere il suo corpo. Questo triste pensiero, che in realtà le veniva da un lume profetico sulla morte e sepoltura di Gesù, la rese anche più pronta nel suo atto di generosità.
Quando, infatti, si ha il presentimento che uno possa morire, si sente verso di lui una maggiore tenerezza, e gli si è larghi di doni e di espansioni di carità.
Giuda, avido e avaro, condanna il gesto della Maddalena
I discepoli di Gesù, come notano san Matteo e san Marco, e Giuda in particolare, con un senso di avida avarizia, come osserva a posta san Giovanni, credettero superfluo quell'atto costoso di omaggio, e si sdegnarono con Maria, pensando che quell'unguento si sarebbe potuto vendere a caro prezzo, ed avrebbe potuto darsi ai poveri (Mt 26,9). Giuda, in particolare, stimò che potevano ricavarsene 300 denari ossia circa 234 lire, ed anche di più (Me 14,5), e fece il suo calcolo interessato non perché gl'importasse dei poveri, ma perché, tenendo in custodia le elemosine che si raccoglievano, ne prendeva parte per sé, furtivamente, come indica il testo greco, e se ne appropriava indebitamente.
Gli altri apostoli ebbero in realtà un pensiero per i poveri, perché il loro cuore non era capace di capire l'atto di delicato amore di Maria, ma Giuda parlò dei poveri per dissimulare il suo atto di avida avarizia, ed il suo sdegno perché era stato fatto a Gesù quell'ossequio costoso; egli non amava Gesù, anzi forse già cominciava a pensare di disfarsene, assicurandosi col denaro che portava, una certa posizione finanziaria; non è inverosimile, anzi è probabile, che proprio per questo mancato guadagno cominciò a nascergli il pensiero di tradire il suo Maestro e rifarsene col prezzo vistoso che sperava ottenere dal sinedrio.
Gesù, difendendo l'operato di Maria, disse con grande dolcezza ai suoi apostoli e in particolare a Giuda: Lasciala stare, cioè non la turbare, e san Matteo aggiunge: Essa ha fatto veramente un'opera buona verso di me (26,10). Ha agito per amore, ed ha anticipato l'unzione della mia sepoltura.
Col ricordare l'imminente sua morte, Gesù gettò nel cuore degli apostoli un motivo di compassione e di tristezza, per farli desistere dall'inveire contro Maria; al suo delicatissimo amore faceva gran pena che quella creatura fosse contristata proprio in un atto di bontà, ed accettò quell'unzione come un atto di carità al suo Corpo, già pronto alla morte. Le pie donne infatti non avrebbero avuto il tempo di ungerlo dopo la crocifissione, come avrebbero desiderato, e Gesù con l'allusione alla sua sepoltura, anticipò a Maria il conforto di quella mancata unzione, che al suo amore fu penosissima. Quando andò al sepolcro e non trovò più il Corpo del Maestro, nell'impeto della sua angustia, fu soddisfatta di avere impiegato per Lui in vita l'unguento più prezioso che aveva. Gesù anzi annunziò, come notano san Matteo e san Marco, che quell'atto pietoso e gentile di ungerlo sarebbe stato annunziato in tutto il mondo e in tutti i secoli. Con questo nobilitò quell'azione, giudicata dagli apostoli come un inconsulto scialacquio di una ricchezza, e tolse Maria dal fastidio che quella mormorazione dovette arrecarle. Voi parlate dei poveri, soggiunse Gesù, ma i poveri li avete e li avrete sempre con voi, mentre non sempre avrete me. Con queste parole volle bollare allora e per i secoli la falsa carità e compassione verso i poveri, che fa credere superfluo ed inutile quello che si dà al Signore nell'esercizio del culto.
Sulla provvidenza di Dio
Non sono le nostre ricchezze quelle che soccorrono i poveri, ma è la provvidenza di Dio, che può servirsi anche delle nostre ricchezze. Non basta tassare gli averi dei ricchi per ottenere i fondi dell'assistenza sociale; occorre tassarne, per così dire, il cuore, affinché la carità riscaldi il soccorso, e l'umiltà lo renda una funzione della divina provvidenza. Tutto quello che si dà a Dio non è sottratto ai poveri, ma si muta in loro vero vantaggio, attraendo su di loro la benedizione della sua provvidenza. L'esperienza storica, del resto, dimostra che quando si sono saccheggiate le ricchezze destinate al culto, col pretesto di investirle in soccorso ai poveri, o quando si è stati avari con Dio, non solo i poveri non ne hanno avuto vantaggio, ma sono caduti in maggiore miseria. Le ricchezze sottratte a Dio cadono dolorosamente nelle borse dei ladri e dei Giuda, e finiscono per essere sperperate.
Chi dona a Dio, principalmente a Dio, dona ai poveri, poiché attrae su di essi la provvida benedizione divina. È una leggenda da sfatare quella che presume laicizzare la carità per renderla più efficace come funzione dello Stato. La carità è funzione essenzialmente provvidenziale, ed ha le sue radici nell'amore di Dio. Più si ama Dio e più fiorisce e si moltiplica. I milioni raccolti dallo Stato si polverizzano, i soldini raccolti dalla carità si moltiplicano; i milioni hanno l'impronta della miseria, il raccolto della carità ha quella della ricchezza divina. I milioni laici sono semi infecondi che si spargono e marciscono, i soldini della carità sono germi ubertosi. Dare prima di tutto a Dio, con pienissimo amore, significa attrarre la benedizione sulle fonti della ricchezza, sui campi, sulle industrie, sui mestieri, e produrre un benessere comune, che si risolve in maggiore soccorso dei poveri.
L'alabastro spezzato versa nardo puro e prezioso
Maria spezzò il vasetto di alabastro per dare a Gesù tutta la profusione dell'unguento prezioso. Se avesse voluto trarlo dalla stretta imboccatura del vasetto avrebbe potuto dame ben poco. Anche noi, nel donare a Gesù noi stessi in profumo di
amore, dobbiamo avere la generosità d'infrangere quello che impedisce la nostra piena dedizione a Lui. È necessario infrangere le passioni perché si spanda dall'anima il soave olezzo della purità e della carità; infrangere la carne perché venga fuori, quasi profumo soave, l'attività dello spirito che loda il Signore.
Maria per ungere Gesù usò unguento di nardo puro e prezioso; il Sacro Testo lo chiama unguento di nardi pistici, e questa espressione, nella migliore interpretazione, significa che l'unguento non era adulterato da aromi falsi o selvatici. Ecco come dev'essere l'omaggio del nostro amore a Dio; amore puro nelle intenzioni, non adulterato da fini umani, non mescolato a mancanze ed a deficienze. L'amore è sempre totalitario, nella sua essenza e nel modo in cui si dona; è profumo puro che s'effonde infrangendo tutta la natura. Maria unse prima il capo di Gesù e poi i piedi; in tal modo gli manifestò la pienezza del suo amore, ed andò diritto al suo Cuore divino.
Onoriamo Gesù nelle autorità che ne rappresentano il capo, e nei piccoli e poveri che ne rappresentano i piedi; onoriamolo nelle altezze della contemplazione, figurate dal suo capo, e nell'umiltà delle attività della vita, figurate dai suoi piedi. Onoriamolo poi senza rispetto umano, e senza curarci di quelli che riguardano l'amore di Dio e la carità verso il prossimo come riprovevoli esagerazioni. Ci sono sempre quelli che, vedendo impiegate per Dio certe attive intelligenze o certe qualità preziose, dicono con rammarico che un ingegno vivace o una mente feconda ed organizzatrice non debbono perdersi e quasi sperperarsi in attività spirituali e mistiche. Vorrebbero che si donasse a Dio chi è povero di mente e di cuore, e considerano come un peccato o una sventura che gli si doni chi è ricco di qualità spirituali. Darebbero volentieri a Dio nella carriera ecclesiastica un figlio deficiente, ma credono un male dargliene uno di vivace e spiccata intelligenza, perché pensano che potrebbe fare carriera nel mondo.
È questa una mentalità simile a quella di Giuda, ed è ingiurioso per Dio. È sintomo di un cuore avaro col Signore e ladro della sua gloria, d'un cuore che vive non elevandosi a Dio, ma portando sempre con sé la borsa degli umani interessi. Quando si pensa a raccogliere denaro e ricchezze, il cuore s'immeschinisce e non è capace d'apprezzare la generosità dell'amore che si dona a Dio.
A Betania, nella casa dell'obbedienza, nella casa della grazia e del cantico del Signore, Maria ruppe il vaso prezioso di alabastro, e sparse sul capo e sui piedi di Gesù l'unguento prezioso. Così debbono fare le anime che si consacrano a Dio nelle comunità religiose, case di obbedienza e di grazia, dove si cantano le lodi di Dio; debbono infrangere la natura, e ciò che di più prezioso ha la natura, cioè la volontà, e darsi senza riserve a Gesù, amandolo e umiliandosi. Chi vuol darsi senza infrangersi così, non si dona mai, e chi vuol riservare per sé qualche cosa di sé, non s'effonde completamente in Dio. Maria unse Gesù anticipatamente per la sepoltura; in un banchetto e nell'effusione di un atto di amore pieno, si delineò l'ombra mesta della morte e della sepoltura di Gesù. Non dobbiamo essere anche noi consepolti con Lui dopo essere morti con Lui?
Diamoci dunque senza riserve al suo amore, morendo con Lui a tutto ciò che è terreno, e seppellendoci con Lui nel più profondo raccoglimento interiore. La nostra vita sia nascosta tutta con Gesù Cristo, in Dio. La vita non è un banchetto di piaceri; ha sempre con sé l'ombra della morte e della sepoltura, anche quando sembra un profumo di delizie ed un'espansione di amore. Consideriamola in questa luce, ed ogni sua attività ci apparirà quasi un'anticipazione della morte e della sepoltura. Ogni attività, terrena o spirituale che sia, è un'avanzarsi sul quadrante del tempo, un passo di più verso la morte. Operiamo dunque per il Paradiso, e segniamo ogni
giorno sul nostro quadrante un passo di più verso la beata eternità cui tendiamo.
Sac. Dolindo Ruotolo
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