3. San
Paolo rimprovera ai Corinzi gli abusi che si facevano
nelle agapi fraterne che precedevano il Sacrificio
eucaristico.
Oltre
all’abuso nell’abbigliamento delle donne nelle sacre adunanze, si
erano introdotti presso i Corinzi abusi più gravi nella celebrazione
dei sacri misteri. In quei tempi l’Eucaristia si celebrava la sera,
per ricordare la Cena di Gesù Cristo, ed era preceduta da un pasto
comune che si chiamava agape, ossia carità, perché doveva servire a
rinsaldare i vincoli della carità tra i fedeli. Il necessario per
questi fraterni banchetti veniva fornito dai ricchi, i quali venivano
così in soccorso dei poveri. Ben presto, però, questi banchetti
diventarono occasione d’intemperanze e di abusi, e furono prima
trasportati al mattino, isolandoli dalla celebrazione dei sacri
misteri, e poi furono totalmente soppressi, introducendosi anzi il
digiuno rigoroso prima della Santa Comunione, per evitare in ogni
modo qualunque mancanza di rispetto nella celebrazione dei sacri
misteri.
San
Paolo espone i vari abusi introdottisi a Corinto nelle agapi, li
riprova e dà delle norme pratiche per evitarli. Egli comincia a
dichiarare che quelle riunioni fraterne, che avrebbero dovuto
rinsaldare nei Corinzi i vincoli della carità, si risolvevano per
essi in danno, dando luogo a contrasti e divisioni, delle quali l’eco
era giunto fino a lui. San Paolo mostra di stimare i Corinzi credendo
esagerate le informazioni avute, ma confessa che in parte almeno deve
crederci, sapendo quanto essi fossero facili a discussioni e contese
che ledevano in loro la carità.
Egli
qui non allude ai vari partiti che avevano diviso i Corinzi, ma a
quelle animate e spesso intemperanti discussioni che si facevano a
tavola, ed a quelle ostentazioni di lusso e di abbondanza nei più
ricchi che erano in contrasto con la carità. San Paolo non
drammatizza su queste discussioni, anzi con un argomento dal più al
meno, mostra di non stupirsene, perché se è necessario che vi siano
delle eresie affinché si manifesti la virtù dei buoni, e se il
Signore stesso disse che era necessario, ossia inevitabile che vi
fossero scandali (Mt 18,7, Le 17,1), non faceva meraviglia che vi
fossero discussioni e divisioni tra i Corinzi.
Queste
divisioni, però andavano al di là di una semplice discussione, e si
risolvevano in vere e profonde scissure della carità, perché quando
si faceva l’adunata, non la si faceva per celebrare la Cena del
Signore, ma ognuno presumeva
di mangiare la propria cena, consumando con ostentazione quello che
aveva portato con sé, senza fame parte agli altri, come sarebbe
stato dovere ed esigenza dell’agape. Ne veniva di conseguenza che
alcuni rimanevano digiuni, ed altri mangiavano abbondantemente e
bevevano sino ad inebriarsi. San Paolo, conoscendo l’indole
orgogliosa e attaccabrighe, li prende col dolce, temendo delle gravi
ripercussioni tra loro per le sue esortazioni.
Avrebbe
voluto, infatti, com’è chiaro dal contesto, stigmatizzare
fortemente gli abusi che profanavano la celebrazione del Mistero
eucaristico, ma prima non drammatizza, attribuendo quegli abusi quasi
ad una fatalità generale a tutte le Chiese: E necessario che tra di
voi ci siano anche eresie, e dopo li rimprovera, rammaricandosi quasi
di non poterli lodare. Ma non avete delle case per mangiare e bere -
egli esclama - ovvero disprezzate la chiesa di Dio ossia l’adunanza
dei fedeli, ostentando un lusso di cibi che fa arrossire quelli che
non hanno nulla? Che devo io dirvi? Devo lodarvi? No, in questo non
vi lodo.
San
Paolo ricorda l’istituzione dell’Eucaristia
Per
mostrare poi ad essi quanto fossero gravi gli abusi che avevano
introdotto nella celebrazione dei sacri misteri, san Paolo ricorda
l’istituzione della Santissima Eucaristia, così come egli l’aveva
conosciuta per immediata rivelazione dal Signore, e della quale già
li aveva istruiti quando aveva loro annunciato il Vangelo. La
narrazione che egli fa ha molta rassomiglianza con quella di san Luca
{Le 22,19-20), il quale, essendo stato discepolo dell’Apostolo,
ricevette dalla bocca di lui la narrazione del grande avvenimento.
San
Paolo ricorda prima di tutto il tempo nel quale fu istituita
l’Eucaristia: In quella notte nella quale Gesù Cristo fu tradito;
sono poche parole di un’efficacia meravigliosa per richiamare
l’anima al ricordo della Passione del Signore, e per i Corinzi
erano parole atte a far loro capire che in un mistero che rinnovava
quello della Passione essi non potevano presumere di fare banchetti
di gioia e simposi di lusso.
Nella
notte nella quale fu tradito, Gesù diede al mondo questa suprema
prova di amore, e quel contrasto drammatico e meraviglioso tra il
tradimento di Giuda che per pochi denari consegnava alla morte il suo
Maestro, e l’amore di Gesù che per infinito amore tutto si donava,
costituiva per le anime un motivo di grande tenerezza e commozione.
In
quella notte, con un gesto semplicissimo, senza alcun apparato
esterno, Gesù Cristo prese il pane (Mt 26,20, 29; Me 14,17-25; Le
22,10-20), e rendendo grazie cioè pregando e ringraziando Dio, lo
spezzò e disse: Questo è il mio Corpo che per voi è dato a morte,
fate questo in memoria di me. Similmente, dopo aver cenato, prese il
calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue,
fate questo tutte le volte che lo berrete, in memoria di me.
Evidentemente
san Paolo accenna al fatto prodigioso, come lo accennano gli
evangelisti, e quindi non riporta rigorosamente le parole della
consacrazione che furono raccolte dagli apostoli e conservate nella
liturgia.
Questo
spiega le differenze leggere e accidentali che ci sono tra le parole
riportate da ciascun evangelista. San Matteo dice così: E mentre
quelli cenavano, Gesù prese il pane e lo benedì e lo spezzò e lo
diede ai suoi discepoli e disse: Prendete e mangiate, questo è il
mio Corpo. E preso il calice, rese le grazie e lo diede loro dicendo:
Bevete di questo tutti, poiché questo è il Sangue mio del Nuovo
Testamento, il quale sarà sparso per molti per la remissione dei
peccati (26,26-28). San Marco riporta così le parole della
consacrazione: E mentre quelli mangiavano, Gesù prese del pane, e
benedettolo lo spezzò e lo diede loro e disse: Prendete, questo è
il mio Corpo. E preso il calice rese le grazie, lo diede ad essi e
tutti ne bevvero. E disse loro: Questo è il Sangue mio del Nuovo
Testamento il quale sarà sparso per molti (14,22-24). San Luca dice
così: E preso il pane rese le grazie, e lo spezzò, e lo diede loro
dicendo: Questo è il mio Corpo il quale è dato (a morte) per voi,
fate questo in memoria di me. Similmente ancora, (prese) il calice,
finita che fu la cena dicendo: Questo calice è il Nuovo Testamento
nel mio Sangue che per voi si spargerà (22,19-20).
La
Chiesa, nella Santa Messa, riporta così le parole di Gesù: Il quale
prima di patire prese il pane nelle sante e venerabili sue mani, e
levati gli occhi al cielo a te Dio Padre onnipotente, rendendoti
grazie lo benedì, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo:
Prendete e mangiate di questo tutti, poiché questo è il mio Corpo.
Similmente dopo la cena, prendendo anche questo calice nelle sante e
venerabili sue mani, e rendendo grazie allo stesso modo, lo benedì e
lo diede ai suoi discepoli dicendo: Questo, infatti, è il calice del
mio Sangue del nuovo ed eterno Testamento, mistero di fede, che per
voi e per molti sarà sparso per la remissione dei peccati. Le
parole, come si vede, sostanzialmente sono le stesse.
Nel
testo di san Paolo i quattro codici greci più antichi hanno questo
testo: Questo è il mio Corpo che è per voi, sottintendendo il
participio derivato dal verbo precedente: spezzò, e quindi che è
per voi spezzato, come difatti hanno altri codici. Questo participio,
però, mancante nei codici più importanti, potrebbe anche non
sottintendersi, e l’espressione: Questo è il mio corpo che è per
voi, riprodurrebbe vivamente l’amore col quale Gesù si donava e si
dona nell’Eucaristia.
Il
tempo presente, usato da Gesù Cristo nella consacrazione del suo
Corpo e del suo Sangue, mostra chiaramente che l’Eucaristia è un
vero sacrificio, come le parole: Fate questo in memoria di me,
mostrano che Gesù diede ai suoi apostoli e a tutti i sacerdoti la
potestà di consacrare, e comandò loro di offrire a Dio l’incruento
Sacrificio, come dice il Concilio di Trento (Sess. XXII, cap. II).
Per la consacrazione del Sangue, tra le parole riferite da san Paolo
e da san Luca e quelle riferite da san Matteo e da san Marco v’è
questa differenza che, mentre presso san Matteo e san Marco si
enuncia ciò che vi è nel calice dopo la consacrazione, cioè il
Sangue di Gesù Cristo, e indirettamente l’effetto, cioè la
confermazione del Nuovo Testamento, presso san Paolo invece e san
Luca, si esprime direttamente l’effetto e indirettamente ciò che è
contenuto nel calice dopo la consacrazione.
Le
disposizioni con le quali bisogna ricevere Gesù
Da
quello che ha detto dell’Eucaristia, san Paolo deduce una
conseguenza che sarebbe inutile se le parole riguardanti
l’istituzione del grande Sacramento dovessero prendersi in senso
figurato e non in senso realissimo. Egli dice: Perciò chiunque
mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente, si rende
reo del Corpo e del Sangue del Signore. Egli pone due atti distinti e
disgiunti: chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore
indegnamente, supponendo che si possa ricevere anche o il solo pane o
il solo calice, e dice che in ambedue i casi è reo non del solo
Corpo nel pane, o del solo Sangue nel vino, ma è reo in ambedue i
casi del Corpo e del Sangue del Signore, il che indica chiaramente
che sotto ciascuna specie eucaristica c’è il Corpo e il Sangue di
Gesù Cristo. Ricevere indegnamente il pane e il calice significa
riceverlo in peccato mortale; essere, per questo, reo del Corpo e del
Sangue del Signore, significa nella frase originale, essere reo di
lesa maestà regale contro il Corpo e il Sangue del Signore.
Quindi
una conferma di più, se fosse necessaria, che non è lecito
accostarsi all’Eucaristia con il peccato grave nell’anima.
Sarebbe il bacio di Giuda! Perciò si deve premettere una buona
confessione con sincero pentimento e con fermo proposito di
conversione e di vita nuova. Non è mai consentito accostarsi
all’Eucaristia col peccato. E la norma della Chiesa per rispetto a
Gesù Cristo è quella di confessarsi frequentemente, anche ogni otto
o quindici giorni per una maggiore purità di coscienza
nell’accostarsi al Cristo. Perciò, se qualche sacerdote dice che
non è necessario confessarsi per ricevere la Santa Comunione, il suo
insegnamento è contro quello della Chiesa e non si deve ascoltare.
Sarebbe
assurdo questo peccato di lesa maestà se l’Eucaristia fosse
semplicemente un simbolo, e se sotto le sacre specie non ci fosse
realmente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo,
insieme con l’Anima e la Divinità. La conseguenza pratica che san
Paolo trae da questo principio di fede ne è la conferma. Egli
infatti dice: Ciascuno, dunque esamini se stesso, valutando bene lo
stato della sua coscienza per mettersi poi in grazia di Dio, e così
esaminato mangi di questo pane e beva di questo calice. Se non fa
questo, mangiando e bevendo indegnamente, mangia e beve la sua
condanna, perché così commette un sacrilegio gravissimo non
discernendo il Corpo del Signore, cioè non pensando e ponderando che
il Signore è realmente presente e vivente nelle specie eucaristiche.
Il
castigo col quale il Signore punisce quelli che ricevono indegnamente
la Santissima Eucaristia, è una conferma della presenza reale Gesù
Cristo sotto le sacre specie. Molti tra i Corinzi, infatti, erano
stati colpiti da gravi malanni e persino dalla morte per aver
profanato il Corpo del Signore, e molti ancora si erano debilitati
spiritual- mente sino a morire completamente alla vita cristiana; per
questo, dice, infatti, san Paolo, per la profanazione del Corpo e del
Sangue del Signore, molti tra voi sono ammalati ed infermi e molti
dormono già il sonno della morte.
L’espressione
greca indica il malanno e la morte corporale, ma può indicare
figuratamente anche il malanno e la morte spirituale. Di fronte ad un
così manifesto castigo corporale e spirituale, san Paolo insiste
nell’esortare i Corinzi a giudicarsi da se stessi per non essere
giudicati e castigati dal Signore insieme col mondo infedele ed
ingrato, crapulone e noncurante della gloria di Dio.
Evidentemente
la profanazione eucaristica alla quale allude l’Apostolo era quella
che si faceva premettendo alla celebrazione dei santi Misteri non
l’agape fraterna, ma un simposio che offendeva la carità e
manometteva la temperanza, e perciò san Paolo conclude la sua
esortazione raccomandando a tutti di non mangiare ciascuno per conto
proprio, e di aspettarsi tutti per celebrare insieme, nel
raccoglimento e nella grazia di Dio, la cena del Signore. Se qualcuno
ha fame - egli soggiunge - mangi a casa sua, per soddisfare la fame
corporale, e non muti una riunione di santificazione in una riunione
di condanna. Egli, poi, si riserva di dare a viva voce altre
disposizioni riguardanti la mensa eucaristica, e di rispondere ad
altre questioni che gli erano state proposte.
L’esortazione
di san Paolo ai Corinzi è sempre di fresca attualità per tutta la
Chiesa e per le anime nostre. Prima di tutto, consideriamo
l’atteggiamento dei fedeli nelle chiese, alla presenza di Gesù
Sacramentato e nel Santo Sacrificio della Messa. Ad essi può
ripetersi quello che l’Apostolo dice: Vi dichiaro, e non per
darvene lode, che le vostre riunioni non sono per voi di vantaggio
spirituale, ma di danno. Basta entrare in una chiesa, specialmente
nei giorni più solenni e di maggiore affollamento, per
convincersene. L’educazione e la buona creanza, alla quale tutti
dicono di tenere, fino al punto di offendersi seriamente ad ogni più
piccolo richiamo in questo campo, sembra esulare completamente o
quasi dal luogo santo. Atteggiamenti mondani e molto spesso
peccaminosi, nudità obbrobriose per la Casa di Dio, assenza completa
o quasi di preghiera, gambe a cavalcioni, chiacchierio, risa,
critiche, atti di curiosità, e non raramente convegni di affari, di
matrimoni, di amori anche illeciti. Niente preghiere, a meno che non
vogliano riguardarsi come preghiera quel negligente segnarsi di croce
che si fa qualche volta, o un inchino fatto a qualche immagine santa.
Eppure
alla presenza di Gesù Sacramentato tutto il popolo dovrebbe essere
in silenziosa adorazione, e dovrebbe rispondere con amore vivissimo
all’infinita Carità che ci si dona. È proprio per questo
atteggiamento di profanazione che le riunioni del popolo nelle chiese
non sono di vantaggio spirituale ma di danno, perché diseducano
l’anima dal rispetto dovuto alla maestà di Dio, e dalla preghiera,
che è il sostegno e l’alimento della nostra vita.
È
da notarsi il gravissimo danno che deriva ai fanciulli ed alla
gioventù da questi atteggiamenti ineducati e profanatori nelle
chiese. Non raramente, infatti, i ragazzi e i giovani si abituano a
profanare il luogo santo, e vi si radunano come ad un convegno
sportivo qualunque, soprattutto nelle sagrestie e nei luoghi
adiacenti alla Casa di Dio.
Non
sarebbe fuori posto il richiamare al rispetto della presenza del
Signore con opportuni, manifesti e inviti posti alle porte delle
chiese, in modo da essere intelligibili anche agli analfabeti. Per
esempio, una bella figura di angeli, con dito sulla bocca per
invitare al silenzio, una ri- produzione del tabernacolo eucaristico,
con una persona prona davanti in atto di adorazione, e simili
richiami, fatti bene anche dal punto di vista artistico, potrebbero
indurre molte anime al rispetto e all’adorazione di Gesù
Sacramentato. Più che da cartelli indicatori, l’educazione delle
anime deve essere fatta poi dal sacerdote, che deve porsi come suo
principale dovere quello di condurre ordinatamente le anime ai
pascoli della vita. È un dovere il cui compimento è sommamente
utile anche alla vita civile, perché il popolo viene principalmente
nelle chiese, e in questi santi luoghi impara ad essere rispettoso,
ordinato, pulito, ed a riguardare il prossimo suo come fratello ai
piedi del Redentore.
Quanti
disordini, quanti egoismi nelle famiglie cristiane!
I
disordini che san Paolo lamenta nelle agapi fraterne si realizzano
dolorosamente nella famiglia cristiana per mancanza di spirito di
carità. Ci sono tante divisioni tra i fedeli, tanti egoismi, tante
ingiustizie che rendono poco fruttuosa la Mensa del Signore, che è
mensa di unità, di carità e di pace. Dovremmo recarci a piè
dell’altare come una sola famiglia, e vi ci rechiamo tutti
isolatamente, o- gnuno per conto proprio, quasi che Gesù Cristo non
ci si donasse per raccoglierci in Lui, nell’unità del suo amore e
della carità. È necessario, perciò, ricordarci dell’istituzione
dell’Eucaristia come lo ricorda san Paolo, poiché è la fede viva
in un mistero tanto sublime che induce in noi sentimenti di profondo
amore per Dio e di carità per il prossimo.
Gesù
Cristo ci si donò in quella medesima notte nella quale fu tradito,
dandoci un attestato di infinita misericordia e d’infinito amore.
Lo tradiva Giuda Iscariota, ma in Giuda quanti di noi eravamo
presenti per tormentare l’amorosissimo Cuore di Gesù! Non lo
barattiamo noi per un misero diletto e un più misero interesse
temporale? Non ci troviamo noi sempre pronti a rinnegarlo innanzi al
mondo, e con i nostri peccati non gli diamo anche noi il bacio del
tradimento?
Nella
notte del tradimento, Gesù prese il pane, il nostro cibo quotidiano,
il cibo che non manca neppure ai più poveri e, volendosi donare a
noi peregrinanti verso la terra promessa del Paradiso, ci si donò
come cibo, e transustanziò il pane nella sua sostanza, affinché ci
avesse cibati non trasformandosi nella nostra sostanza, come avviene
nel nutrirci, ma trasformando noi in Lui. Similmente prese il vino,
come il vero Isacco prossimo alla suprema immolazione, e lo donò ai
suoi discepoli per darlo al mondo, e per dare la grande benedizione
del Nuovo Testamento.
Egli,
dunque, ci volle nutrire di sé, e volle donarci la sua benedizione
prima di morire, volle essere nostro cibo e nostra bevanda per darci
la sua vita, e volle essere la grande vittima del Nuovo Testamento
per contrarre Lui, novello Adamo, padre di tutti i credenti, la nuova
alleanza con Dio, alleanza che doveva essere stipulata nel sacrificio
della croce, e doveva essere rinnovata ogni giorno in tutte e parti
del mondo nel Sacrificio eucaristico.
Avviciniamoci
con amore e rispetto a Gesù Sacramentato
Un
dono così grande non dovrebbe essere ricevuto dall'umanità che in
un trasporto di vivissimo amore, e non dovrebbe neppure lontanamente
affacciarsi l’idea di un sacrilegio o anche di una semplice
ingratitudine nel riceverlo. Eppure, dolorosamente, san Paolo, fin
dai suoi tempi, ha dovuto non solo porre come un’ipotesi
l’ingratitudine e il sacrilegio, ma come un fatto che si verificava
nella sua diletta Chiesa di Corinto. Chiunque - egli esclama - mangia
il pane o beve il calice indegnamente, si rende reo del Corpo e del
Sangue del Signore. È logico che, essendovi nel Sacramento
eucaristico veramente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue di Gesù
Cristo, chi lo mangia stando in peccato è reo della profanazione del
Corpo e del Sangue di Gesù Cristo.
Il
sacrilegio che si commette con questa profanazione è tanto grave ed
ha effetti così disastrosi, che san Paolo esorta tutti ad esaminarsi
bene, nella propria coscienza, prima di ricevere un Sacramento così
eccelso, ammonendo gli indegni che col loro sacrilegio avrebbero
mangiato e bevuto la loro condanna. Queste grandi parole hanno dato
all’umanità tutta la legge di un controllo della coscienza, che è
unica in tutte le genti e in tutte le età.
Salvo
rari casi di gente insanita e perciò rozzamente incosciente, non
abbiamo alcuno, sia pure tra gli empi, che osi avvicinarsi al
Sacramento dell’altare con la coscienza macchiata. C’è anche
negli empi un senso di terrore nell’avvicinarsi indegnamente alla
Sacra Mensa, un timore dei castighi di Dio, un senso d’incosciente
rispetto, che è testimonianza indiretta della fede dell’umanità
nella reale presenza di Gesù nell’Eucaristia. Si giunge, in
questo, persino allo scrupolo, e ci sono anime superficiali le quali,
viceversa sono accorte nel giudicare severamente se stesse quando si
tratta di avvicinarsi a Gesù Sacramentato.
Nessun
legislatore è stato mai capace di creare una coscienza così
profonda e universale della propria responsabilità, e tanto meno è
stato capace di crearla con un mezzo apparentemente così semplice,
anzi per i sensi compieta- mente vuoto di ogni manifestazione
sensibile. Salvo rare eccezioni, nessuno che abbia la più
superficiale cognizione del Mistero eucaristico, osa avvicinarsi
senza avere la certezza morale di essere puro da ogni peccato grave,
da ogni odio, da ogni furto, da ogni prepotenza o sopraffazione e da
ogni abito di peccato. Da questo punto di vista, nei riflessi della
vita civile e del vero progresso umano la Comunione quotidiana o
anche semplicemente frequente, è un grande segreto di onestà e di
probità, perché l’unica luce, unica assolutamente in tutto il
senso della parola, che illumina e piega la coscienza al bene, è
l’adorabile presenza di Gesù Sacramentato. In qualunque altra
sanzione opposta alla disonestà e al vizio, l’uomo può trovare
modo di eludere la legge, o può formarsi una comoda coscienza che
gli consenta la malversazione della giustizia e l’improbità della
vita; solo nella presenza adorabile di Gesù l’uomo trova il motivo
più forte per non indulgere al male.
E'
incalcolabile, perciò, il bene apportato alle famiglie, alla società
ed alle singole persone dalla Santa Comunione, e dev’essere
incommensurabile la nostra gratitudine a Gesù Cristo che si è
degnato di darsi a noi vivo e vero. I grandi rilassamenti sociali
sono dovuti al rilassamento nella vita eucaristica delle anime. Lo
sfacelo delle coscienze, nella rivolta protestante, fu possibile
perché Lutero e i suoi tristi e biechi seguaci trovarono la Chiesa
povera di Eucaristia. I grandi sconcerti moderni, che ne sono diretta
conseguenza, hanno la medesima radice. La vita religiosa langue dove
langue la vita eucaristica. È un fatto positivo che non richiede
gran che per essere compreso, giacché è evidente.
Oggi
tutti vediamo lo stato deplorevole del mondo, ed auspichiamo una
riforma generale che riporti la società e le nazioni alla moralità,
all’onestà ed all’ordine. Ebbene, non esitiamo un istante solo
ad affermare che la vera e profonda riforma può attuarsi solo
nell’intensificazione della vita eucaristica nelle anime e nella
società. Questa intensificazione ci dona un tesoro di grazie interne
che rinnovano l’anima, e un tesoro immenso di freni morali che sono
alla scalmanata umanità come il morso, il morso soavissimo, tutto
amore e pace, che la costringe senza costrizioni o sanzioni
opprimenti, a ritornare sul retto sentiero.
Occorrerà
qualche cosa di nuovo, sempre nella Chiesa e per la Chiesa, perché
nessuno può arrogarsi l’arbitrio di dettare leggi in questo campo.
Occorrerà una partecipazione più intensa ai Sacri Misteri, una
larghezza maggiore nell’elargizione eucaristica, un temperamento
equo e salutare della stessa legge del digiuno, in modo da facilitare
ai deboli e agli infermi la partecipazione alla Sacra Mensa.
Se
il popolo, per esempio, nell’ora dei maggiori suoi bagordi,
trovasse modo di assistere e partecipare alla Mensa del Signore,
quanti peccati in meno si farebbero, e quale inondazione di grazie e
di misericordie ci sarebbe nella Chiesa e nel mondo! Se la mancanza
di Gesù Sacramentato produce l’infermità, il debilitamento e la
morte spirituale e corporale, e se il giudicare se stessi nel
ricevere Gesù ci libera dal Giudizio di Dio e dai suoi castighi, è
evidente che per risanare l’umanità, ridonarle la vita e liberarla
dai pubblici e privati flagelli occorre un’intensificata vita
eucaristica, a tal punto da sembrare addirittura, osiamo dire, una
novità, la santa novità per la quale la Chiesa prega il martedì
santo. Pensare di poter ricondurre al bene l’umanità dissestata
dai disordini che la sconvolgono, unicamente con esortazioni e magari
con leggi restrittive o penali, è semplicemente un’illusione come
sarebbe illusione il voler ridonare la salute ad un infermo cronico
unicamente con ripetute diagnosi del suo male.
Sac. Dolindo Ruotolo
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