giovedì 17 aprile 2014

17.04.2014 - Commento all'Apocalisse cap. 1, par. 2

2. Il significato letterale di questo capitolo
San Giovanni comincia il suo Libro col darne il titolo: «Rivelazione di Gesù Cristo». Nella Volgata è conservata la parola greca: Apocalypsis perché non si tratta di una rivelazione qualunque, ma di una rivelazione grandiosa, riguardante profondi e grandi misteri del futuro e della fine dei tempi. Noi stessi nella nostra lingua conserviamo la parola greca apocalissi, per indicare eventi sommamente impressionanti e grandiosi.
Rivelazione dì Gesù Cristo, cioè fatta da Gesù Cristo, il quale la ricevette dal Padre fin dal primo istante della sua concezione, insieme alla conoscenza dei disegni di Dio e degli avvenimenti futuri, poiché, fin dal primo istante della sua Incarnazione, Egli fu pieno, anche in quanto uomo, di ogni scienza, sapienza, grazia e virtù.
L’uomo, nella sua piccolezza, ha uno sguardo limitato a ciò che lo circonda, e lo ha limitatamente. Timidamente può guardare al passato studiandone la storia, e più timidamente può arguire qualcosa futura intuendola; ma la storia è tanto imperfetta e fallace e il futuro è così enigmatico ed oscuro, che egli può riguardarsi spettatore solo di ciò che passa sotto i suoi occhi, o che gli viene attestato da testimoni degni di fede.
Quello che vede o quello che conosce è poi immensamente incompleto ed imperfetto, perché il suo occhio è spesso debole o malato, e le nebbie delle passioni o dei preconcetti l’offuscano fino a deformargli le percezioni e l’apprezzamento delle sue percezioni.
Con facilità capisce una cosa per un’altra, come è chiaro dalle varie opinioni degli stessi studiosi, nelle cose più ovvie; con ostinazione s’impunta in una concezione personale, elevando a principio l’impressione o lo smarrimento di un momento; con esitazione trae le conseguenze dai suoi ragionamenti, perché cento volte li controlla claudicanti, al lume dell’esperienza e del progresso.
Il suo cammino è breve, la sua via è appena un piccolo segmento geografico nel percorso dei secoli, eppure egli si trova innanzi ad oscurità misteriose, come bimbo che cammina nella valle, incapace di vedere la svolta della strada serpeggiante tra i monti, impotente a salire in alto per allargare il suo orizzonte, e contemplare nell’insieme almeno il tracciato provvidenziale del suo pellegrinaggio terreno.
Se l’uomo avesse una rivelazione piena del suo cammino, come cambierebbe l’orizzonte della sua vita! Egli vedrebbe abissi di morte dove sogna ideali di vita; vedrebbe ascese fiorite dove crede che vi siano precipizi d’infelicità; vedrebbe al vivo l’armonia che c’è tra un piccolo seme gettato da lui nella sua terra e l’albero robusto o il roveto spinoso che ne è spuntato e si è ingrandito; vedrebbe tante cose che potrebbero attanagliare la sua libertà e la sua volontà e avrebbe infiniti spasimi credendo fatale quello che può dipendere unicamente dal suo libero e volontario orientamento nella vita. Per questo Dio non gli dà questa rivelazione, e gli lascia percorrere il cammino a piccole tappe, seguendolo ed aiutandolo con la sua grazia.
Gesù Cristo, in quanto uomo, ebbe non solo questa rivelazione piena della sua vita mortale, ma vide come in un unico quadro tutta la storia dell’umanità passata e futura, e quella in particolare della sua Chiesa, perché Egli, anche come uomo, è il centro della storia ed è il capo della sua Chiesa. Questa rivelazione, piena e chiarissima come può essere chiaro un tempo presente ad una mente pienamente illuminata, Egli la fece conoscere in parte, per mezzo di un angelo, il quale la rivelò all’apostolo san Giovanni, e questi la fece conoscere alla Chiesa.
Perché la profezia nei Sacri Testi non è mai molto chiara
Perché questo passaggio dal Redentore ad un angelo, da un angelo a Giovanni e da Giovanni alla Chiesa? Per attenuarne lo splendore, e per renderla più percettibile all’umana intelligenza, facendone ad essa comprendere a mano a mano quello che poteva elevare il suo cuore alla speranza del trionfo e del regno di Dio.
Se la profezia fosse stata comunicata chiaramente, le generazioni lontane dal suo compimento non ne avrebbero fatto conto, e le generazioni vicine o presenti al suo compimento ne sarebbero rimaste atterrite fuor misura. Il Signore benignamente la comunicò in modo da renderla salutare per tutte le genti, e da costringere quasi i contemporanei al suo compimento all’abbandono pieno nelle mani sue.
È detto nel Sacro Testo che la rivelazione, da Gesù Cristo fatta a Giovanni per mezzo di un angelo, riguarda cose che debbono accadere presto, pur riguardando per la massima parte avvenimenti degli ultimi tempi del mondo e della Chiesa, perché innanzi a Dio mille anni sono come un sol giorno (2Pt 3,8), ed era logico che in una visione che riguardava il futuro come stava in Dio e come poteva leggersi in Lui, il tempo venisse computato come appare innanzi a Dio e non come appare innanzi a noi.
Il Sacro Libro inoltre parlava delle pene che avrebbe sofferto la Chiesa nei secoli, e che sarebbero culminate in quelle degli ultimi tempi; ora, quelle pene già erano cominciate, e per ciò che riguardava il tempo nel quale viveva san Giovanni, poteva dirsi che si sarebbero presto compiute.
La storia, in generale, è tanto somigliante nei suoi periodi, che studiarne uno significa avere l’idea degli altri; la storia della Chiesa in particolare ha le stesse caratteristiche, di modo che un periodo prossimo può annunciarne uno più lontano, e la profezia determinata di questo può dare l’idea di quello che deve immediatamente avvenire.
Un treno parte per giungere a duemila chilometri; l’ultimo percorso e la meta sono lontani, ma la partenza è immediata, e può dirsi che ciò che deve avvenire a quel treno deve avvenire presto. Del resto, il Giudizio universale, parte culminante degli avvenimenti della Chiesa, interessa tutte le anime, ed ogni cristiano può considerarlo non solo come prossimo, ma come presente nella santa meditazione.
Egli può dire veramente considerando la vanità della vita e degli eventi umani: «Presto verrà il Giudice supremo, e renderà a ciascuno quello che avrà meritato».
La certezza del fatto e la parte che egli vi avrà gli fa riguardare come vicino quello che è lontano.
Anche noi, per sollecitare la diligenza di un alunno allo studio, possiamo dirgli che gli esami verranno presto, benché debbano venire alla fine dell’anno; in realtà l’alunno è sempre uno che dev’essere giudicato, anche nelle giornaliere lezioni e, mettergli davanti come imminenti gli esami significa spronarlo alla diligenza in quel rendiconto giornaliero che deve condurlo al rendiconto finale, felicemente e trionfalmente.

 

* * *

L’apostolo al quale Gesù Cristo rivelò quanto doveva accadere, è san Giovanni, e per determinarne l’identità, il Sacro Testo soggiunge che rese testimonianza alla Parola di Dio e alla testimonianza di Gesù Cristo in tutto quello che vide', questa testimonianza è l’apostolato da lui esercitato fra le anime, prima con la parola e dopo con lo scritto.
Comunemente si crede che il Vangelo di san Giovanni sia posteriore all’Apocalisse, e che quindi il Sacro Testo qui non alluda alla testimonianza resa da san Giovanni con quel libro, ma alla sua predicazione o ad altri suoi scritti. Non è difficile che lo stesso esilio a Patmos, che facilitò all’apostolo la rievocazione delle parole e delle azioni del Redentore, e la visione dell’aborrimento che Gesù Cristo aveva per gli eresiarchi che negavano la sua Divinità, abbiano poi indotto san Giovanni a scrivere il Vangelo.
Presentato il titolo del Libro, il sacro autore soggiunge che è beato chi legge ed ascolta le parole di questa profezia e serba le cose che in essa sono scritte, poiché il tempo è vicino. La parola greca che usa san Giovanni, indica la lettura pubblica della Scrittura che soleva farsi nelle adunanze cristiane; egli dunque chiama beato chi legge ed ascolta questa profezia, equiparandola alle altre Scritture ispirate, e per questo soggiunge che è beato non solo chi legge ed ascolta, ma chi serba le cose che in essa sono scritte, per proprio profitto ed edificazione, essendo questo lo scopo per il quale il Signore ci parla nelle Sacre Scritture.
Per le cose scritte in questo Libro c’è una ragione particolare: il tempo è vicino, o come dice il testo greco l’opportunità di trarne frutto è vicina', le persecuzioni che il Signore vi annuncia sono imminenti, e vi si presenta subito l’occasione di rendere testimonianza a Dio e conquistare la vita eterna; chi dunque ascolta gli avvisi che Dio gli dà in questo Libro, e rafforzando il suo cuore si mantiene fermo nella fede, nella speranza e nella carità, è beato perché viene immediatamente in possesso dell’eterna beatitudine.
Dopo il titolo del Libro, san Giovanni scrive la lettera di dedica del Libro stesso, e si rivolge alle sette Chiese principali dell’Asia proconsolare romana, che erano in modo particolare affidate alle sue cure apostoliche, e le saluta con il saluto ebraico, che divenne il saluto cristiano: Grazia a voi e pace, indicando le fonti di questo santo augurio: da Colui che è, che era e che è per venire, e dai sette Spiriti che sono innanzi al trono Lui e da Gesù Cristo che è il testimone fedele, il primogenito tra i morti e il principe dei re della terra, il quale ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati col proprio Sangue, e ci ha fatto un popolo regale e sacerdoti a Dio suo Padre, a Lui la gloria e l’impero per i secoli dei secoli. Amen.
Nel significato ebraico, grazia e pace significano il favore di Dio ad ogni bene-, l’apostolo dunque augura alle Chiese alle quali si rivolge, il favore misericordioso di Dio ed ogni bene, affinché i fedeli che le formano avessero potuto conservarsi nell’amicizia di Dio e raccogliere dalla sua bontà i benefici che ci vengono da Lui, dagli angeli che Egli ci manda per dispensarceli, e soprattutto da Gesù Cristo.
I sette Spiriti
Tutti gli angeli possono esserci messaggeri di grazie e di misericordia, ma san Giovanni nomina in modo particolare i sette Spiriti che sono vicini a Dio, e che sono ministri di grazie e di pace per gli uomini. Questi Spiriti eccelsi sono:
1°) Michele, che significa: chi è come Dio? ed è colui che combatte per gli uomini contro il superbo Lucifero (Ap 12,1);
2°) Gabriele, cioè fortezza di Dio, che annuncia le grandi opere di Dio;
3°) Raffaele, cioè medicina di Dio, che curò l’infermità di Tobia e viene incontro alle nostre infermità e alle nostre debolezze;
4°) Uriele, cioè luce o fuoco di Dio, che illumina gli uomini con la cognizione di Dio e li infiamma del suo amore;
5°) Sealtiel, cioè orazione di Dio, che prega per gli uomini e li spinge a pregare;
6°) Giudiel, ossia confessione e lode di Dio, che esorta gli uomini a lodare e benedire Dio.
7°) Barachiele, ossia benedizione di Dio, che ci procura i benefici divini, e ci spinge a benedirlo e ringraziarlo.
Nominando Dio, san Giovanni parafrasa il Nome che Egli medesimo si diede parlando a Mosè: Jahvé, Colui che è. Nell’ebraico l’espressione è al futuro: Colui che sempre sarà perché in quella lingua il futuro assoluto e certo logicamente suppone il passato e il presente. In Dio tutto è presente ed Egli è infinitamente in atto e non ha, né passato né futuro, è un atto purissimo e semplicissimo che raccoglie tutte le perfezioni.
Il nostro debole intelletto però non sa concepire l’eternità di Dio senza pensare che Egli è sempre stato, è e sarà, e per questo san Giovanni ne esprime il Nome santissimo con una parafrasi che lo spiega: Colui che è, che era, e che è per venire. Non dice Colui che sarà, ma che è per venire, e secondo il testo greco: Colui che viene, perché egli annuncia Dio come giudice, e lo annuncia prossimo a venire.
Colui che è indica Dio infinitamente sussistente, e in ordine alle Chiese alle quali san Giovanni scrive, ed ai vescovi ai quali indirizza le lettere, può significare lo Spirito Santo che le vivifica e che dona ad esse i Pastori per reggerle; Colui che era può indicare il Padre, la fontana divina che è sempre stata, e Colui che verrà o che viene può indicare l’eterno Figlio, glorificazione del Padre, che verrà a giudicare le genti per ristabilire la gloria divina, manomessa dai peccati degli uomini.
Dio comunica con le sue creature per mezzo degli angeli, e i sette Spiriti eccelsi che sono innanzi al suo trono sono i messaggeri dei benefici che ad esse dispensa; per questo san Giovanni avendo nominato Dio che è il vivificatore della Chiesa, che era stato sempre la vita del suo popolo, e che era per venire per rinnovare tutto nel suo amore e per giudicare le genti, nomina subito dopo i sette Spiriti che innanzi al suo trono sono messaggeri di grazie e di pace.
Egli nomina dopo gli angeli Gesù Cristo, non per posporlo ad essi - il che nessuno potrebbe neppure lontanamente immaginare - ma perché come Uomo-Dio è l’autore delle rivelazioni che san Giovanni comunica, ed è l’oggetto delle benedizioni con le quali termina il prologo.
San Giovanni ha riguardato nel Cielo Dio Uno e Trino sul suo trono, e i sette Spiriti che sono messaggeri della sua potenza, della sua sapienza e del suo amore in ordine agli uomini; ha riguardato poi Gesù Cristo, capo della sua Chiesa, a cui ha rivelato la verità, confermandola con la sua vita, con i suoi miracoli e con la sua morte, e per questo lo chiama testimone fedele.
Egli l'ha confermato mirabilmente con la sua risurrezione, e per questo lo chiama primogenito tra i morti, cioè il primo che è risuscitato da morte, e che ha confermato così ai morti la speranza della risurrezione; lo chiama principe dei re della terra, perché ne annuncia il trionfo e il regno glorioso su tutte le umane potenze, regno di amore e di carità, nel quale Egli non viene a dominare con la forza, a raccogliere tributi di oppressione, o ad umiliare i suoi sudditi come fanno i re della terra, ma viene ad effondere l’infinito amore che ci ha portato, i tesori del preziosissimo suo Sangue con il quale ci ha redenti, e per il quale ci ha resi gente santa e regale Sacerdozio innanzi a Dio suo Padre. A Lui perciò sia la gloria e l’impero per i secoli dei secoli. Amen.
Questo è il regno che Giovanni viene ad annunciare, e che fiorirà da tutte le tribolazioni della Chiesa che in nome di Gesù Cristo predirà alle nazioni. L’apostolo che riposò sul Cuore di Gesù, ed attinse da quel Cuore tesori di carità e di amore, lo dice con accenti di tenerezza immensa che traspare da ogni sua parola, e che si effonde in quella lode finale, vibrante di riconoscenza: A Lui la gloria e l ’impero per i secoli dei secoli. Amen.
Si sente, nelle sue parole, il prediletto di Gesù, si sente colui che fu testimone dell’effusione del Sangue di redenzione sul Calvario, che là stesso si sentì sciolto completamente dai lacci del peccato originale, si sentì nobilitato nella regalità della grazia, ed apprezzò quel Sacerdozio mistico e reale che doveva rendere tutti i fedeli un sacrificio di amore, e che per il Sacerdozio reale doveva perpetuare l’offerta della croce.
Egli veniva ad annunciare il primo trionfo dell’amore di Gesù Cristo, trionfo di grazia e di pace dopo i combattimenti e le prove, e veniva ad annunciare anche il secondo trionfo del suo amore, alla fine dei secoli, trionfo di giustizia e di riparazione solenne, nel quale Egli avrebbe giustificato la divina Provvidenza, e gli uomini avrebbero confessato e riconosciuto la loro ingratitudine; per questo soggiunge: Ecco che Egli viene sulle nubi, nella sua divina maestà, circondato da nembi di luce come da nubi, e si farà vedere così trionfante da ogni uomo, ed anche da coloro che lo trafissero in croce e da quelli che lo crocifissero in loro con i peccati. Questi al vederlo si batteranno il petto, deplorando la loro ingratitudine.
È questo il tema chiarissimo del Libro che san Giovanni manda alle Chiese e per esse alla Chiesa, e non sappiamo capire come si possano avere in proposito diverse opinioni, e come si possa restringere il senso del Sacro Libro.
San Giovanni, dopo averlo detto, lo conferma con una doppia, energica affermazione greca ed ebraica: nai, amin, così è, amen; lo conferma Dio stesso quasi apponendovi la firma: Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e il Fine, l’Onnipotente, e san Giovanni quasi ne autentica la firma dicendo: Così dice il Signore che è, che era, e che è per venire.
«Io, Giovanni, vostro fratello...»
Dopo questo prologo, san Giovanni espone una visione di Gesù Cristo glorioso, che egli ebbe essendo relegato a Patmos, e la espone a giustificazione delle lettere che indirizza per suo ordine a sette Chiese dell’Asia. Egli scrive: Io Giovanni, vostro fratello come cristiano e come vescovo, compagno nella tribolazione, perché perseguitato per la fede e relegato a Patmos, (dove venivano confinati dagli imperatori romani i sediziosi), compagno nel regno e nella pazienza di Gesù Cristo, perché chiamato come voi a promuovere il suo regno in terra e a partecipare al regno dei cieli, mediante la pazienza nelle tribolazioni, mi trovai nell’isola che si chiama Patmos a causa della Parola di Dio e della testimonianza di Gesù.
Patmos è una piccola isola del mare Egeo, appartenente al gruppo delle Sporadi, che sorge quasi di fronte a Mileto, a circa dodici miglia geografiche da Efeso. L’isola è di natura rocciosa e quasi deserta. Anche oggi vi si mostra una grotta dove si dice che san Giovanni abbia ricevuto le sue rivelazioni. Egli vi fu relegato dall’Imperatore Domiziano a causa dell’apostolato che faceva nel popolo, e dell’annuncio del Vangelo.
Stando in quest’isola tutto raccolto in preghiera, fu rapito, in spirito, cioè in estasi fuori dei sensi, nel giorno di domenica e udì dietro a sé una grande voce come di tromba.
Il giorno che gli Ebrei chiamavano primo dopo il sabato, fu chiamato dai cristiani domenica, giorno del Signore, perché in esso risorse Gesù Cristo. Questo nome, che pur doveva essere comune nella Chiesa, è nominato solo qui in tutto il Nuovo Testamento. Gesù Cristo inizia personalmente le sue rivelazioni a san Giovanni, perché erano rivelazioni che annunciavano quasi la risurrezione e la glorificazione del suo Corpo mistico, la Chiesa, in mezzo alle lotte e alle persecuzioni degli uomini.
Gesù fece sentire prima la sua potente voce come di tromba alle spalle dell’apostolo. Perché Gesù Cristo parlò a tergo di san Giovanni? Forse per concentrare maggiormente il pensiero e la volontà di lui nel comando che gli dava. Nella solitudine di quel luogo, alienato dai sensi, quella voce gli dovette fare una grande impressione, e raccolse tutta l’anima sua.
Era una voce sovrumana, armoniosa, solenne, cadenzata, che gli dava l’impressione di una tromba, forse della tromba che annunciava i nuovi tempi, perché quella voce gli parlava per annunciare alla chiesa i tempi che dovevano succedersi nella sua vita pellegrina. La voce gli diceva: Scrivi ciò che vedi in un Libro, e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia: ad Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea.
Nell’Asia proconsolare vi erano anche altre Chiese a Troade (At 20,5.6), a Colossi (Col 1,2), a Gerapoli (Col 4,13; ecc.), or si potrebbe domandare: perché la voce comandò a Giovanni di scrivere a quelle sette Chiese in particolare? Forse perché l’apostolo ne aveva più direttamente cura, come si disse, ma certamente per esprimere un mistero, perché il numero sette era sacro, e nelle sette Chiese si esprimeva l’universalità della Chiesa in tutti i luoghi e in tutti i tempi.
Gesù Cristo si rivolgeva all’apostolo dell’amore, e per lui si rivolgeva alla Chiesa; nel primo momento non si faceva vedere, era
una voce che parlava da tergo, nascosta. Così Egli parlava e così avrebbe parlato alla sua Chiesa, nascosto, quasi a tergo della sua vita, per mezzo dei suoi rappresentanti; così Egli avrebbe parlato negli ultimi tempi, rendendo la sua voce come una tromba di richiamo per radunare le anime nel regno del suo amore, e come una voce di richiamo per prepararle alla radunata del giudizio.
Egli si sarebbe manifestato alla Chiesa desiderosa di vita, Efeso, nel periodo nel quale si formava.
Alla Chiesa nella mirra del suo dolore, Smirne, nel periodo delle persecuzioni...
Alla Chiesa elevata nella sublimità della sua orazione, Pergamo, nel periodo delle anime solitarie e contemplative...
Alla Chiesa, aromatizzata quasi dalla preghiera, dal lavoro e dalla contrizione della penitenza, Tiatira, nel periodo della fioritura degli ordini monastici...
Alla Chiesa turbata dai cantici della letizia del mondo, Sardi, estranei alla sua vita11, e consolata dai cantici di gioia dell’amore di poche anime sante nel periodo medesimo del suo rilassamento spirituale...
Si sarebbe manifestato alla Chiesa rianimata nell’amore del proprio fratello e della fraternità universale. Filadelfia, nel periodo del suo trionfo, quando negli ultimi tempi sarebbe stata tutta armonia di fraternità nell’unico ovile...
Si sarebbe infine manifestato gloriosamente giudicando il popolo, ossia tutte le genti, e parlando alla Chiesa trionfante, al popolo giusto, Laodicea, radunato da Lui stesso nella gloria dopo il Giudizio universale.
Questa voce che doveva risuonare nella Chiesa in tutte le condizioni e le epoche della sua vita, era diretta a Giovanni, tipo dell’amore e della carità, perché si sarebbe effusa nella Chiesa attraverso l’amore e la carità del capo della Chiesa medesima, figurato qui in san Giovanni, capo delle Chiese dell’Asia. Pietro è il capo della Chiesa, ma Giovanni è l’espressione più luminosa dell’amore; ora Gesù Cristo, per parlare alla Chiesa si rivolge al discepolo dell’amore e non a Pietro, affinché l’amore vivifichi i desideri della vita di lei, Efeso; l’amore ne consoli le amarezze, Smirne; l’amore ne sublimi le elevazioni, Pergamo; l’amore ne profumi i sacrifici, i dolori e le attività, Tiatira; l’amore ne purifichi le gioie della vita terrena, dandole la letizia delle cose celesti, Sardi; l’amore ne formi un unico ovile nella fraternità della fede, Filadelfia, l’amore ne formi il popolo giusto, Laodicea, nei trionfo dell’eterna gloria12.
Al mondo ritornato pagano Dio manda la voce della sua Chiesa, che è voce di Cristo
Al suo popolo, Dio mandò una voce che gridava, per prepararlo alla venuta del Verbo Incarnato; al mondo, ritornato pagano, Dio manda una voce, la voce del suo amore che dilaga e la voce della sua Chiesa che è voce di Gesù Cristo nascosta. Il mondo non è più capace di vedere miracoli, perché non vi crede; non è più capace di essere scosso dalla luce profetica, perché la confonde con le allucinazioni o le intuizioni dei ciarlatani; non è più capace di essere commosso dagli splendori della santità, perché li crede illusioni patologiche; non è più capace di essere scosso dai medesimi flagelli che lo colpiscono, perché li crede fatali o addirittura li copre con gli stracci della grandezza orgogliosa che sogna progressi dove si apre l’abisso della rovina. Dio allora gli parla, gli manda una voce sonora come tromba di richiamo, potente come tromba di guerra, armoniosa e suggestiva come la tromba che annunciava i nuovi tempi.
Questa tromba risuona già sulla terra attraverso il rinnovarsi dell’insegnamento della Chiesa, e risuonerà immensamente più forte quando si elimineranno dal suo seno benedetto le stridule e gracidanti voci dello scientificismo, che hanno preteso sostituire le trombe divine della divina Parola con le cicalate tormentose e monotone del poverissimo pensiero umano.
Sac. Dolindo Ruiotolo

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