sabato 5 aprile 2014

05.04.2014 - Commento a Geremia cap. 11, par. 3

3. La figura profetica del Mediatore Divino Vittima di amore.
La congiura ordita contro Geremia dai propri concittadini, dagli abitanti di Anatot, è tipicamente l’annunzio misterioso di un grande avvenimento futuro legato con la prevaricazione del popolo, quand’esso avrebbe definitivamente infranto il Patto Antico e sarebbe insorto contro il Mediatore Divino mandatogli per salvarlo e per salvare il mondo. Gesù Cristo medesimo fece rilevare più volte che il trattamento fatto ai Profeti, uccisi dalla malvagità del popolo, aveva un’intima relazione col trattamento che avrebbero fatto a Lui, la cui morte avrebbe rappresentato il colmo dell’iniquità del suo popolo (Matt. XXIII, 31; Lue. XIII, 33-34).
L’ombra della Vittima Divina si ferma sul Profeta perseguitato e minacciato di morte; anzi più che l’ombra è la luce del Redentore che lo investe talmente da renderla figura viva di Lui perseguitato ed ucciso per avere annunziato la verità. Il Messia veramente potrà dire: Io sono stato come un agnello mansueto eh’è portato ad essere sacrificato, perché, benché Egli conoscerà, per la sua scienza divina, la congiura ordita contro di Lui dai perversi, i suoi nemici la ordiranno subdolamente per evitare ogni movimento popolare, e presumendo ch’Egli potesse non conoscerla.
Ed ecco quello che diranno gli empi che lo rinnegheranno: Venite, mandiamogli un legno in luogo di pane, e sterminiamolo dalla terra dei viventi, e non sia più ricordato il suo nome, o secondo l’Ebraico: "Distruggiamo l’albero col suo frutto. All’agnello mansueto portato al sacrifico supremo, dunque, daranno il legno della Croce come retaggio, e sospendendolo al legno, quasi frutto di quell’albero, tenderanno a cancellare il suo nome dalla terra ed a distruggerne ogni prestigio.
Dio aveva detto a Geremia: Tu non pregare per questo popolo (vers. 14), e gliel’aveva detto anche in vista del mirabile disegno futuro di Redenzione; non era infatti la preghiera di un Profeta quella che poteva salvare, era solo il sacrificio dell’Agnello Divino, immolato sulla Croce, non erano le carni sacrificate nel Tempio che potevano togliere la malizia dell’umanità (vers. 15) ma solo le carni dell’Agnello Divino immolato sul Calvario.
Che cosa esigeranno i futuri oppositori del Cristo? Quello che ora esigono da Geremia i cittadini di Anatot, cioè che non profeti nel nome del Signore; esigeranno che Gesù rinneghi di essere Dio, e per la confessione della sua Divinità gli daranno in cambio di pane il legno della Croce. Ma la congiura degli empi non impedirà il disegno di Redenzione, come non impedisce ora il ministero del Profeta; Dio annunzia anzi la punizione degli empi di Anatot e quella degli empi della Giudea: gli eserciti nemici li devasteranno, e saranno dispersi senza che rimanga avanzo della città o della nazione nella loro terra, quando il suo flagello li colpirà.
La stessa natura risentirà della terribile punizione che colpirà il popolo di Dio dopo il delitto della Crocifissione del Redentore; il Signore mostrerà con un flagello spaventoso la verità della Divinità del Redentore; innanzi ai secoli peserà, come ha pesato già, quel cataclisma nazionale che costellò di croci le mura della città deicida nell’assedio di Tito, e che la riduce un cumulo di macerie.
Fu la necessaria risposta ad un popolo che l’aveva implorata a gran voce, pubblicamente: Cada il suo sangue su di noi e sui nostri figli, fu la risposta all’autorità sacerdotale che aveva lacerato le sue vesti quando il Verbo Umanato si annunziò per vero Dio.
Il mondo sa per esperienza che non si rinnega impunemente la verità di Dio, perché rinnegato Dio è infranto ogni patto di amore tra la creatura ed il Creatore; il mondo sa che i castighi che sono la dimostrazione della verità di Dio sono tremendi, e l’eccidio di Gerusalemme fu un castigo di testimonianza, che confermò la verità della confessione del Redentore: Tu lo dici, io sono il Figlio di Dio.
Ricordiamoci che siamo cristiani, che abbiamo stipulato un patto con Dio, che non possiamo infrangerlo senza attrarci i castighi più terribili. Ricordiamolo noi Sacerdoti, il cui patto è assai più grande, perché abbiamo nell’anima il carattere di Gesù Cristo. Le carni immacolate che immoliamo sugli altari non ci giovano se infrangiamo un patto di amore che non ammette divisioni, che non tollera dedizioni al mondo. Siamo noi l’ulivo fecondo, bello, fruttifero, perché ministri di grazia e di pace, ma se non siamo fedeli al patto di amare Dio solo, divampa in noi un fuoco di castigo che ci devasta.
Siamo fedeli a Dio, e pensiamo a quali degnazioni arriva il suo amore, che ogni giorno discende per noi sull’Altare, per rinnovare il suo patto con l’umanità; guardiamo quell’ostia bianca, quei lini candidi, quei fiori variopinti, e pensiamo che il nostro cuore dev’essere puro, immolato, caldo d’amore, deve diffondere purezza e carità, dev’essere meno indegno di un ministero sì grande di amore!
Sac. Dolindo Ruotolo

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