domenica 20 aprile 2014

20.04.2014 - Commento alla lettera ai Colossesi cap. 3, par. 2

2. Il senso letterale di questo capitolo. Vita nuova di virtù e di santità.
Dopo avere bollato gli errori dei filosofastri e dei giudaizzanti che disorientavano la vita cristiana dei Colossesi, san Paolo trae le conseguenze logiche di ciò che ha scritto, esortandoli ad una vita veramente santa. Con la stessa delicata tattica usata nel combattere gli errori, non rimprovera i Colossesi del loro decadimento spirituale, perché questo poteva urtarli, ma li esorta paternamente. Un rimprovero, infatti, tocca sempre l’orgoglio di chi è ammonito, e l’orgoglio reagisce sempre, a volte senza accorgersene, con una persistenza nel proprio errore ed un’ostinazione nelle proprie abitudini errate, che l’orgoglio fa credere giuste e ragionevoli. È così difficile la povera natura umana, è così restia alla riprensione, è così facile alla reazione impetuosa, interna ed esterna, che ci vuole grande tatto e prudenza per affrontare un traviato, per riprenderlo e tentare di ricondurlo sulla via del bene. Si tratta, infatti, di affrontare la personalità umana, in quello a cui è particolarmente attaccata: la ragione, il proprio giudizio, la propria volontà e la propria libertà.
Niente c’è di più irragionevole della ragione sviata, niente di più ostinato che il proprio giudizio e la propria volontà, niente di più irrompente che la propria libertà quando si sente ristretta.
È così che nelle discussioni e nelle contese la ragione vuol vincere con cavillo e col sofisma, il proprio giudizio vuole affermarsi con l’animosità dell’ostinazione e col far prevalere la propria volontà; questo può trascendere anche nell’insulto, dando, per esempio, dell’asino, dell’incosciente e per lo meno dell’incompetente a chi vi dissente; la propria libertà reagisce al rimprovero come ad una sopraffazione, e rende così l’anima alienata da chi giustamente rimprovera, suscita il dispetto e genera l’inimicizia.
E evidente, dal testo e dal contesto della lettera di san Paolo, ohe le esortazioni che egli fa ai Colossesi risponde
vano a disordini che v’erano in mezzo a loro nella vita spirituale e nella vita familiare, e perciò delicatamente l’Apostolo, esortandoli, li rimprovera, tentando di metterli sulla retta via. Gli errori li avevano concentrati nelle cose materiali, perché è proprio dell’errore della mente disordinare la vita, ed a poco a poco allontanarla dalle aspirazioni soprannaturali.
Chi cade nell’errore volontariamente, cade nel peccato, perde la grazia di Dio, e spontaneamente non pensa che alle cose della terra. È così che gli errori degli eretici ed oggi del comunismo, che è il colmo di tutte le eresie più gravi, portano al materialismo, alla sensualità, alla brama di godere materialmente.
Per questo san Paolo esclama con la veemenza di chi è addolorato: Se, dunque, siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove il Cristo sta sedendo alla destra di Dio. Morti al peccato, e risorti a nuova vita con Gesù Cristo mediante il Battesimo, ed a Lui incorporati, vivete in modo degno della vostra professione cristiana; vivete di Gesù Cristo, considerandolo nella sua divina grandezza, sedendo alla destra di Dio. Nota che Gesù siede alla destra di Dio, per dare un altro colpo all’errore dei filosofastri, e per dire ai Colossesi che non debbono indirizzare i loro pensieri e i loro affetti alle cose terrene, ma alle cose di lassù, vivendo di Gesù ed in Gesù sospirando all’eterna gloria, e per questo soggiunse: Aspirate alle cose di lassù, non alle cose terrene, perché voi siete morti alle cose della terra, e la vostra vita è nascosta con Gesù Cristo in Dio. Morti al peccato ed al mondo, uniti a Gesù Cristo intimamente per
i Sacramenti, e soprattutto per l’Eucaristia, senza apparenze di pratiche che non possono dare la vita soprannaturale, come erano le pratiche vane dei giudaizzanti, la loro vita è nascosta con Gesù Cristo in Dio, è vivificata da Gesù Cristo nell’intimo dell’anima, e per Lui si trova in Dio. Vita nascosta per l’umiltà nascosta nell’amore che guida ed infiamma le proprie azioni a gloria di Dio, nascosta nell’esercizio delle virtù, senza ostentazioni di verità, nascosta come chi riposa, per l’intima pace che lo rende tranquillo nell’unione alla divina volontà.
Il falso giudizio del mondo
La vita nascosta con Gesù è giudicata dal mondo come una vita senza gloria e senza godimenti; è valutata come stolta, è derisa come folle, e questi vani apprezzamenti possono far deviare l’anima dalla vita profondamente cristiana. Ma non è il mondo che giudicherà un cristiano né questi può farsi soggiogare dal giudizio fallace degli uomini; pensando al giudizio di Dio, guardando lassù, si sentirà rinvigorito ed incoraggiato a vivere con Gesù Cristo in Dio. Perciò l’Apostolo soggiunge: Quando il Cristo, vostra vita, comparirà per giudicare il mondo, allora anche voi, rivestiti di gloria, comparirete con Lui. Considerando la gloria e la felicità eterna che coronerà la vostra vita, non vi lasciate sedurre dal mondo e dai suoi allettamenti, ma mortificate le membra dell’uomo terreno: la fornicazione, l’impurità, le passioni, ogni altra concupiscenza e la cupidigia delle ricchezze, dei godimenti materiali, che è una idolatria, perché è come una adorazione della materia, un
culto della vita materiale, un abbrutimento della vita dell’anima. Cose tutte per le quali piomba l’ira di Dio sopra i figli della ribellione, cioè sopra i Giudei o i pagani che ricusano di sottomettersi alla verità del Vangelo.
Evidentemente da quello che scrive san Paolo, si rivela che i Colossesi, se non erano caduti proprio nella corruzione, erano decaduti dalla perfezione della vita cristiana. Perciò egli soggiunge: Oh, anche voi avete camminato per la via della perdizione, quando vivevate in questi vizi, ma ora non ancora camminate per la via della perfezione; perciò, gettate da voi l’ira, l’animosità, la malizia, la maldicenza, i discorsi osceni dalla vostra bocca. Non mentite l’uno all’altro, essendovi spogliati dell’uomo vecchio e di tutte le sue opere, e rivestiti del nuovo, che si rinnova nella cognizione di Dio, secondo l’immagine di Colui che lo ha creato, e non con le fantasie dell’errore.
L’uomo nuovo rivesta l’uomo vecchio che era in noi
Il cristiano, rigenerato da Gesù Cristo, non può limitarsi ad abbandonare l’idolatria, ma deve spogliarsi delle sue abitudini, delle sue imperfezioni, di tutto quello che era nella sua vita, che san Paolo chiama l’uomo vecchio, e deve rivestirsi dell’uomo nuovo con la mente rinnovata dalla fede, per la cognizione vera di Dio, senza errori, e con la vita perfetta, per potersi dire ad immagine di Dio che lo creò. Gesù, infatti, disse: Siate perfetti com ’è perfetto il Padre vostro che è nei Cieli.
Gesù Cristo disse queste parole quando volle insegnare l’unione delle anime nella misericordia e nella carità. Egli, poi, redimendo l’uomo, volle unirli tutti in Lui e perciò fondò la Chiesa, suo Corpo mistico.
Evidentemente tra i Colossesi c’erano divisioni e dissensioni non solo nei pensieri, per gli errori dei filosofastri, ma vivendo insieme Giudei e pagani, gente di varie regioni e razze che vi affluivano, liberi e schiavi, mancava fra essi l’unione della perfetta carità. Perciò san Paolo, a- vendo esortato i Colossesi a liberarsi dalle loro abitudini difettose ed ad aspirare alla perfezione, per essere ad immagine di Dio nella loro vita interiore, soggiunge: in Dio non esiste più né Greco né Giudeo, circonciso o incirconciso, barbaro o scita, schiavo o libero', non ci sono distinzioni di dignità: Greco, considerato come popolo colto e civile, e Giudeo, considerato come popolo eletto, circonciso, considerato come giusto e santo, e incirconciso considerato come infedele; barbaro o appartenente a nazioni barbare, o scita appartenenti a nazioni selvagge, schiavo, uomo ridotto in servitù e considerato come bestia di commercio, o libero, cioè godente di libertà civile; ma Cristo è tutto ed è in tutti; è tutto perché è sorgente di ogni luce e di ogni grazia, è in tutti quelli che si uniscono a Lui, perché effonde in essi la sua luce e la sua grazia. Rivestitevi, dunque - soggiunge san Paolo - come eletti di Dio, santi e diletti, cristiani e prediletti da Dio per la grazia che vi è stata data, rivestitevi di sentimenti di misericordia e di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza, sopportandovi e perdonandovi scambievolmente se alcuno ha a dolersi di
un altro; siccome Cristo vi ha perdonati, così anche voi. Ma, al di sopra di tutto questo, rivestitevi della carità, la quale è il vincolo della perfezione: la carità, cioè l’amore a Dio, e per amor suo l’amore al prossimo.
Da questi due amori viene ogni perfezione dell'anima verso Dio, ed ogni perfezione verso il prossimo.
La carità conserva l’anima unita a Dio, ed unisce i cristiani come un sol Corpo in Gesù Cristo. È un vincolo soprannaturale che porta la pace nel cuore per la grazia di Dio, e l’unione fra i fedeli, così da formarne un solo Corpo.
Insiste san Paolo su di questo concetto, proprio perché aveva saputo delle disunioni pericolose che vi erano tra i Colossesi, nella mente per gli errori, nella vita per le contese che li dividevano, per gli odi che generavano le contese, per lo spirito del mondo che li aveva dissipati nella ricerca di cose vane, estinguendo in sé, così, lo spirito di preghiera. Erano facili, come dolorosamente avviene oggi, e lo contestiamo, a cantare inni profani, a parlare a doppio senso oscenamente, a scandalizzarsi con discorsi stolti, invece di aiutarsi a servire Dio nella verità e nella perfezione, esortandosi scambievolmente al bene ed a vivere solo per la gloria di Dio, operando nel nome di Gesù Cristo, e rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di Lui, ricevendolo nell’Eucaristia.
Ripetiamo quello che già dicemmo che rendere grazie a Dio per Gesù Cristo era tra i cristiani un’espressione convenzionale per celare ai pagani ed ai Giudei l’arcano mistero eucaristico. Gesù Cristo, infatti, istituì l’Eucaristia gratias agens, rendendo grazie al Padre; si donò nel pane ai discepoli di Emmaus, gratias agens. La Chiesa, nel prefazio, che è come il preludio del mistero che si compie sull’altare, richiama i fedeli a ringraziare Dio: Rendiamo grazie al Signore nostro Dio.
San Paolo, dunque, in questa esortazione che fa ai Colossesi con tatto di grande prudenza e carità, è completo nel riprenderli con ammirabile sintesi: Risorti con Cristo a novella vita, cercate le cose celesti e non le terrene. Guardate a Gesù Cristo nella sua vera luce, sedente alla destra di Dio e, quindi, sopraeminente su tutto e su tutti. La vostra vita sia tutta in Gesù Cristo, nascosti con Lui, incorporati a Lui, per comparire un giorno gloriosi innanzi a Lui glorioso, nel giudizio.
Non potrete comparire gloriosi, se non vi emendate dei vostri vizi, mortificando in voi l’uomo terreno con le sue concupiscenze, abominevoli innanzi a Dio. Ed enumera i vizi nei quali cadevano: la fornicazione, la impurità, la soddisfazione delle passioni, la cupidigia degli onori e dei beni terreni, ritornando praticamente all’idolatria. E nella loro vita sociale, dovevano gettar via l’ira, l’animosità, la malizia, la maldicenza, i discorsi osceni, senza mentire l’uno all’altro, uniti nella carità, pieni di misericordia, di bontà, di dolcezza e di pazienza, senza contese, sopportandosi e perdonandosi, vivendo nella pace, esortandosi al bene l’un l’altro, confermandosi nella fede l’un l’altro con ogni sapienza, eliminando gli errori dalla mente, rinnovandosi nella vera cognizione di Dio, pensando che sono stati creati ad immagine sua. Invece di cercare il mondo con le sue degradazioni conclude san Paolo dovete
pregare; invece di rievocare canti profani, levate canti a Dio nei vostri cuori, con salmi, inni, e cantici spirituali. Vivete glorificando Dio con le parole e con le opere, facendo tutto per Lui, uniti a Gesù Cristo nella lode e nel ringraziamento, nell’adorazione e nella riparazione mediante l’intima comunione con Lui per la Santissima Eucaristia. E così che un cristiano si spoglia dell’uomo vecchio e si riveste del nuovo, è così che può rivolgersi con riconoscenza a Gesù Cristo che lo ha redento, come eletto di Dio, santo e diletto ai Signore.
Doveri di una famiglia cristiana
Dopo avere esortato i Colossesi per la loro vita spirituale, riprendendoli, così, indirettamente dei vizi nei quali cadevano, san Paolo si rivolge alle famiglie cristiane, nelle quali vi erano dissensioni e disordini. La famiglia, infatti, è la prima cellula della società, è il primo intimo tempio di Dio dove le nuove generazioni debbono crescere per formare il Corpo mistico di Gesù Cristo, con la conoscenza delle verità della fede, con la preghiera, col Battesimo, con la sana educazione religiosa e civile. Per le famiglie la società umana cresce e si organizza in ogni ramo di attivata, dalle più umili alle più nobili, dalla famiglia possono uscire i santi e i delinquenti, a seconda della sua organizzazione intima. Da una famiglia ne sbocciano altre, come ramo di unico ceppo.
La scienza riconosce nelle famiglie il fenomeno dell’atavismo nei caratteri somatici, nei malanni, trasmessi da generazioni in generazioni.
Ma c’è certamente un atavismo tanto nella virtù quanto nei vizi, tanto nel carattere quanto nei disordini del carattere. Il genere umano è tutto segnato dal peccato per l’atavismo del peccato originale di Adamo e di Eva. È, dunque, di grandissima e capitale importanza la formazione della famiglia per la formazione del Corpo mistico di Gesù Cristo e per il benessere della società. Ecco perché san Paolo si rivolge con particolare premura alle famiglie dei Colossesi, la cui compagine ed il cui sviluppo era influenzato dalla concezione pagana che allora se ne aveva. La maggior parte dei convertiti al cristianesimo, infatti, derivava allora dal paganesimo.
L’ufficio della donna nella famiglia
Nella famiglia la donna ha un ufficio di primissimo ordine, perché per la donna si generano i membri della famiglia, che debbono formare le membra del Corpo mistico di Gesù Cristo. La famiglia è un piccolo regno: l’uomo ne è il re, e la donna ne è la regina. Nella concezione pagana la donna era riguardata come un essere inferiore, come una schiava; peggio, come un oggetto di piacere e di concupiscenza. Questo stato di coartata inferiorità generava la reazione profonda interna, che esplodeva nel contrasto e nel litigio! Il legame che univa l’uomo alla donna non era spirituale, era un legame di fascino dalla parte della donna e di forza brutale da parte dell’uomo. La donna, per quanto subisce la forza e la prepotenza dell’uomo, tuttavia non cessa di essere, nel suo stesso carattere, dominatrice. Eva dominò Adamo.
La donna ha un’intelligenza intuitiva e pratica che non ha l’uomo, salvo le debite eccezioni. È riguardata come il sesso debole e fragile, ma in realtà è più forte dell’uomo, come oggi riconoscono gli stessi scienziati. Per questo è più capace di sacrificarsi, e... nell’ira è più terribile. Queste sue innegabili qualità la rendono naturalmente dominatrice e reagente alla sottomissione ed al comando. È accorta, è prudente, diremmo, è naturalmente... politica, cede per opportunità, si sottomette per forza, ma è pertinace nel suo giudizio, e trova sempre modo di fare quello che essa vuole.
L’uomo e la donna nel loro carattere: cane e gatto. Il cane abbaia, assale, morde, si agita, scodinzola. Il gatto di fronte al cane è prudente, si tutela addossandosi alla parete per evitare un assalto alle spalle per aggiramento. Sembra indifferente all’abbaiare del cane, e guarda a destra ed a sinistra, ma ha i muscoli tesi e gli artigli pronti all’assalto e alla difesa. Se vede il cane distratto ed ha scampo, fugge. Non vogliamo fare un paragone irriverente, ma è quello che avviene nelle famiglie, quando manca l’amore ed il timore di Dio, e quando non si vive nell’umiltà e nella pazienza per amore di Gesù Cristo.
Per tutto questo complesso somatico e psicologico, e per ammonire le famiglie dei Colossesi a non subire le influenze pagane, san Paolo si rivolge prima di tutto alle donne, che con la loro prudenza e la loro virtù possono mantenere nella famiglia la pace ed il timore di Dio. L’uomo è il capo di famiglia solo quando rappresenta Gesù Cristo; la donna rappresenta la Chiesa nel sacramento del Matrimonio; se si sottomette all’uomo per amore di Gesù allora la famiglia cresce nell’ordine e nella virtù.
La sottomissione della donna all’uomo, per quello che ha di penoso, è del resto la pena e la penitenza imposta da Dio alla donna dopo il peccato originale, e questa pena la subisce sempre, anche quando pretende di emanciparsi, di mascolinizzarsi o di mettersi alla pari dell’uomo. All’uomo la pena del lavoro, alla donna la pena della sottomissione e della maternità dolorosa. San Paolo sintetizza tutto in una sola espressione: Voi, donne, siate sottomesse ai vostri mariti, come si conviene nel Signore. Voi, o mariti, amate le vostre donne, e non siate aspri con esse. Come Gesù Cristo ama la Chiesa, così i mariti debbono amare le mogli, per principio soprannaturale, senza irruenze di nervi, senza asprezze, con bontà e con grande rispetto.
I figli...
Il rispetto e l’amore ispirato dalla fede mantiene nella famiglia l’ordine e la pace, e facilita quell’unione di animo e d’intendimenti che giova per l’educazione dei figli. Essi sono i sudditi naturali del regno della famiglia, e loro dovere è quello di obbedire e farsi guidare in tutto dai genitori, in quello che comandano secondo il Signore.
Questo dovere, i figli non possono compierlo se i genitori, soprattutto i padri, non sanno guidarli con amore nelle vie di Dio. San Paolo, perciò, raccomanda ai padri di non provocare ad ira i figli, con modi irruenti, con percosse esagerate date per ira, affinché non si perdano di animo, cioè non si avviliscano per timore, non perdano la confidenza e l’amore che debbono avere verso i genitori, e non siano indotti per timore a mentire.
Le leggi e i costumi pagani concedevano diritti assoluti ai padri famiglia sopra i loro figli, e i Colossesi non erano stati educati alle leggi di amore e di moderazione che impone la professione cristiana. Ecco perché, con ragione, san Paolo raccomanda ai padri di non essere tiranni verso i loro figli. Certi usi e certi costumi inveterati nei popoli difficilmente si modificano, ed i Colossesi, convertiti alla fede, mantenevano nelle loro famiglie lo spirito di durezza che era tradizionale fra loro.
Questa durezza si manifestava particolarmente negli uomini verso le mogli e verso i figli, e potevano dissolvere l’unione della famiglia cristiana e toglierle la pace.
I liberi e gli schiavi
La famiglia, quando non è sufficiente a disbrigare da sé il lavoro di casa, ha bisogno di aiuto, e quindi di servitù.
E una esigenza alla quale è difficile sottrarsi, special- mente quando la madre non ha la forza di provvedere da sé a tutte le esigenze e le necessità della casa, che sono sempre molteplici.
Il mondo antico, perciò, si divideva in due grandi classi sociali: i liberi e gli schiavi, che erano i servi dominati dai padroni. Nelle famiglie dei patriarchi c’erano i servi e le serve, che erano considerati come parte della famiglia.
Nelle famiglie pagane c’erano i padroni e gli schiavi, considerati come merce, a somiglianza degli animali. Lo schiavo era proprietà del padrone che, per legge, aveva su di lui ogni diritto di vita e di morte. La condizione di uno schiavo poteva alleviarsi solo quando si comportava con tanta fedeltà, da farsi amare dai padroni, con tanta operosità da farsi riguardare come necessario all’andamento della famiglia.
La legge di Gesù Cristo ha abolito la schiavitù, e san Paolo parla dell’uguaglianza degli uomini innanzi a Dio in Gesù Cristo e per Gesù Cristo (versetto 11).
Ma l’uguaglianza non distrugge la gerarchia delle varie classi umane, ed è assurdo pensare ad un’eguaglianza materiale che riducesse gli uomini allo stesso livello di intelligenza e di capacità.
È possibile soltanto l’uguaglianza innanzi a Dio nella giustizia e nella carità, in modo che tutti siano uniti in Dio per Gesù Cristo, aiutandosi scambievolmente secondo la propria condizione.
Standovi ancora tra i Colossesi la schiavitù, san Paolo raccomanda agli schiavi cristiani quelle virtù che rendono la loro condizione penosa meritevole innanzi a Dio e perciò esclama: Schiavi, obbedite in tutto ai vostri padroni secondo la carne, non solo sotto i loro occhi, quasi per piacere ad essi, ma con semplicità di cuore per timore del
Signore. Dicendo di non obbedire solo sotto i loro occhi, si serve di un vocabolo usato da lui solo in tutta la lingua greca, evidentemente coniato da lui stesso: oftalmodulia, per indicare la schiavitù di un occhio servile, che guarda non per intuire la volontà del padrone negli occhi, ma per sfuggirgli, facendolo... scemo, e fingendo di volerlo compiacere. A questo atteggiamento di doppiezza, san Paolo oppone la semplicità di cuore, per timore del Signore, cioè riguardando l’occhio di Dio che lo vede e lo ricompensa. Per questo soggiunge: Quanto fate, fatelo di cuore, quasi per il Signore stesso, non per gli uomini, sapendo che riceverete dal Signore in ricompensa la celeste eredità.
Chi opera per Dio, anche stando nello stato di schiavitù, non è schiavo degli uomini, né avendo torti e maltrattamenti può agitarsi e soffrire o desiderare vendetta, poiché chi commette ingiustizia riceverà il ricambio del torto fatto, perché non vi è eccezione di persone.
Per mutare la dolorosa ed umiliante condizione degli schiavi, e per togliere da loro ogni sentimento di odio o di vendetta, peraltro impotente, san Paolo suggerisce un solo rimedio: Servite al Cristo Signore. I cristiani che erano schiavi, così, vedevano alleviata ogni loro pena, ed evitavano anche ogni rappresaglia dei padroni, operando per amore di Gesù Cristo.
All’esortazione fatta agli schiavi, san Paolo fa seguire logicamente l’esortazione ai padroni, che fa parte del capitolo seguente, evidentemente per errore di chi divise il Sacro Testo in capitoli e versetti per facilitare la ricerca delle espressioni del sacro autore, prontamente. Questa divisione è puramente umana, e non ha nulla di ispirato, e quindi in certi punti può essere imperfetta, come lo sono tutte le cose umane. San Paolo quindi soggiunge: Voi, o padroni, rendete ai vostri schiavi ciò che la giustizia e l ’equità domandano, ricordando che anche voi avete un padrone nel Cielo. Al principio del cristianesimo non sempre i convertiti alla fede liberavano gli schiavi che possedevano. A questi si rivolge san Paolo. I padroni debbono trattare i loro schiavi non solo con giustizia, in tutto ciò che per diritto è loro dovuto, ma anche con equità, tenendo conto delle varie condizioni e delle circostanze della loro vita. Un cristiano non poteva considerarsi come padrone assoluto, dispotico e capriccioso, come si consideravano i padroni pagani, ma doveva pensare che uno schiavo era creatura di Dio, e che anche chi lo possedeva aveva un padrone nel Cielo, al quale doveva rendere conto. Dato che ai tempi di san Paolo la società civile non era stata liberata dall’obbrobrio della schiavitù, non c’era altro modo per alleviare la condizione degli schiavi, che raccomandare ai padroni di trattarli con giustizia e con equità, e ricordare loro che avevano un padrone nel Cielo, al quale dovevano rendere conto strettissimo di ogni ingiustizia e di ogni sopraffazione fatta a quei poveretti.
In tal modo la schiavitù diventava semplicemente servitù, fedele per amore di Gesù Cristo da parte dei servi, e caritatevole e giusta da parte dei padroni.
Sac. Dolindo Ruotolo

Nessun commento:

Posta un commento