lunedì 7 aprile 2014

07.04.2014 - Commento a Daniele cap. 13, par. 2-3

2. La psicologia di una passione insana e la tentazione alla fedeltà di un’anima pura.
La mirabile storia di Susanna e quella del dragone di Bel sono poste nel libro di Daniele come un’appendice storica, ma in realtà hanno un nesso logico e spirituale con quello che è detto nel capitolo precedente e negli altri, intorno alla fine disastrosa dei secoli.
Il Signore, infatti, vuole mostrarci quali sono i peccati che determinano la rovina del mondo, e ci presenta due storie: quella di una passione impura, con tutte le sue conseguenze, e quella di una bassa idolatria smascherata, per dirci che l’impurità e l’irreligione sono i peccati gravissimi che gettano le nazioni negli abissi del male e dei flagelli più gravi che le colpiscono. Nel medesimo tempo il Signore vuol mostrarci che, anche nella degradazione del mondo corrotto e nell’apostasia da Dio di tutte le nazioni, è possibile conservarsi puri e fedeli, e che nei pericoli dell’anima e nelle sopraffazioni delle tirannidi è necessario affidarsi interamente a Lui con piena fiducia e pieno abbandono.
La storia di Susanna si svolse nei primi anni della deportazione di Daniele in Babilonia, quando egli era ancora giovane, e dimostra anche che cosa possa lo Spirito del Signore, e come egli sia padrone degli eventi umani e delle sue creature, pur conservando loro la piena libertà. È una storia viva, piena di una profonda psicologia, che commuove profondamente il cuore, e lo apre ad una piena fiducia nel Signore.
Il suo sfondo, piccante perché riguarda l’insana passione di due miserabili vecchi, lungi dall’annebbiare l’anima con una foschia d’impurità, l’addestra a fuggire il peccato anche a costo della morte, e la innamora della virtù.
La storia si svolge in Babilonia, dove il popolo ebreo era stato deportato, e dove viveva in soggezione, pur conservando una certa libertà personale, e pur essendogli concesso di avere giudizi propri, e di seguire quegli usi nazionali che non contrastavano col dominio di quelli che li avevano deportati. Per questa limitata autonomia e per la libertà personale, era possibile a molti, più fattivi ed accorti, di crearsi una situazione agiata ed anche ricca ed influente.
Uno di questi che avevano formato alla loro famiglia una posizione privilegiata, era un certo Joachim, uomo timorato di Dio, la cui casa era una benedizione perché era il luogo di rifugio degli Ebrei, che vi si recavano sia per rinfocolarsi nello spirito di fede e di patria, mai estinto in loro, sia per sottoporre ai loro giudici particolari, eletti da essi medesimi, le loro liti. Joachim accoglieva tutti con grande cordialità, per puro amore di Dio, e volentieri subiva i fastidi che doveva recargli l’affluire di una moltitudine, pur di mantenere lo spirito di religione e di patria nei suoi connazionali.
Or egli aveva preso per moglie una giovane, chiamata Susanna, figlia di Elcia, donna di singolare bellezza e più di singolare virtù. Il carattere di questa buona creatura si rileva dalle sfumature psicologiche del racconto: Il marito riceveva la moltitudine nel suo giardino, sia per dare agio a tutti di entrarvi, sia per riserbare a sé ed alla sua famiglia la casa, che una moltitudine avrebbe potuto facilmente manomettere. La moglie, quando a mezzogiorno la folla si dileguava, entrava con la compagnia di due sue ancelle, a passeggiare nel giardino di suo marito.
Evidentemente durante le riunioni ella se ne stava pudicamente appartata in casa, e dopo avvertiva quel naturale bisogno di libertà che si sente quando si è assillati da visite e dal via vai di persone moleste o vocianti. Era, dunque, di carattere semplice e riservato, aliena dal mostrarsi e desiderosa di pace tranquilla. Respirava volentieri tra le piante e gli alberi del suo orto, e quasi voleva godersi la soddisfazione di trovarvisi sola.
Al vers. 31 è detto che essa era delicata e bella-, non era dunque capace di mostrare molto coraggio, e non poteva repellere la forza con la forza. Ella, infatti, neppure innanzi al popolo che la giudicò dell’infame delitto di cui era accusata calunniosamente, ebbe il coraggio di contrattaccare i due vecchi ignominiosi, ma sentì solo la forza di rivolgersi a Dio, che amava con tutto il suo cuore. Chiamata in giudizio, vi si recò tutta velata per estremo rossore, e non ebbe il coraggio di guardare in faccia la moltitudine e i suoi accusatori, trovando solo la forza di volgere gli occhi lagrimosi al cielo per invocare l’aiuto di Dio con piena fiducia.
Nell’anno nel quale si svolse il fatto erano stati eletti per giudici due seniori o anziani del popolo, dei quali il Sacro Testo sintetizza l’empietà con alcune parole dette da Dio per bocca di qualche Profeta contemporaneo, che non sono registrate nei Sacri Libri: In Babilonia è venuta l’iniquità dei vecchi giudici che sembravano reggere il popolo. Essi erano empi come i giudici perversi che in passato invece di guidare il popolo a Dio lo trascinarono a rovina. Dal contesto si rileva la loro indole: erano impuri fino al midollo delle ossa, maligni, vendicativi, menzogneri e spergiuri, ipocriti, leziosi, capaci di ogni delitto. Essi andavano in casa di Joachim per giudicare le cause che il popolo loro proponeva, e quando a mezzogiorno tutti se ne andavano, rimanevano ancora un poco nell’orto. Fu così che videro Susanna che vi passeggiava al termine delle riunioni, e la donna, modesta e timida com’era, non dovette accorgersene. D’altra parte essi, accesi di pessimi sentimenti per lei, cercavano di non farsi scorgere, perché volevano colpire il momento di trovarla sola e sfogare la loro passione.
Avevano lo stesso insano desiderio, ma al principio ognuno di essi cercava dissimularlo all’altro, credendo di essere solo nella passione. Ognuno, anzi, cercava di allontanare l’altro con una scusa, per poi ritornare furtivamente nell’orto, e fu proprio in uno di questi tentativi che si ritrovarono insieme, e dovettero confessare il losco desiderio che li struggeva, desiderio che prima avevano vergogna di manifestarsi scambievolmente.
Non ammiravano in Susanna la linea pura della bellezza, ma avevano pervertito il loro senso, il che significa che, vedendola passeggiare, si fermavano ad ammirare ciò che li traeva al loro turpe desiderio, e si sentivano insaziati di vederla. Avevano chiusi gli occhi al cielo e guardavano solo al senso ed a quello che poteva allettarlo suscitando il desiderio del male.
È tipico il modo come scoprirono scambievolmente la loro passione: ognuno si fingeva premuroso del bene dell’altro per allontanarlo, dissimulando ipocritamente il fine recondito della loro falsa cortesia. Fu così che un giorno, notando ambedue che l’altro pigliava tempo per uscire dall’orto, si dissero scambievolmente e con lo stesso scopo: Andiamo a casa perché è ora di pranzo, e ritornato, poi, ognuno segretamente nell’orto, ritrovò l’altro, capì che aveva la stessa intenzione perversa; si confidarono a vicenda, e d’allora stabilirono di raggiungere insieme il loro losco intento.
È una pittura dell’abiezione a cui riduce l’animo una rea passione, e della malizia con la quale si cerca di dissimularla; l’anima di fronte a questa scena non è allettata al male ma se ne disgusta, e si vergogna di avere forse cercato anch’essa scuse ed espedienti per degradarsi nel peccato.
Susanna era solita scendere nell’orto, come s’è detto, accompagnata da due sue ancelle. I vecchi, perciò, non avevano potuto mai sorprenderla sola. Nonostante, però, che avessero capito che era quella la sua abitudine, non cessavano di spiarla, sperando sempre di avere un giorno l’opportunità di indurla ad acconsentire alle loro brame.
La passione impura dolorosamente è terribilmente vischiosa e tenace, non cede di fronte agli ostacoli e si lusinga sempre di superarli. È capace di tenere incatenato l’uomo ai più duri disagi, e di richiedergli sacrifici gravi, che dimostrano lo stato di ebete stoltezza nel quale egli cade.
Oh, se si capisse che infelicità apporta l’impurità non ci si cadrebbe così facilmente! Per questo il Sacro Testo chiama la passione di questi miserabili la loro pena, o, secondo i Settanta e la versione siriaca, il loro dolore. Non c’è una felicità più profonda e più bella della purezza, non c’è un senso di libertà più piena, gioiosa e refrigerante quanto questa bella virtù, e non c’è una pena e un dolore più lacerante e opprimente che il cadere schiavo del vizio opposto! Il Signore ci dia la grazia d’essere puri come Angeli, e ci tenga lontani dalle seduzioni del male.
L’attesa dei vecchi fu coronata un giorno da tristo successo: Susanna oramai credeva di essere in piena libertà con le sue ancelle, e, facendo molto caldo, pensò di fare un bagno. Ordinò alle sue ancelle di portarle l’unguento ed i profumi, ossia, secondo il Testo originale, le polveri per aspergersi, e di chiudere le porte del giardino. Esse le chiusero e per una porta di servizio andarono a prendere ciò che occorreva, senza sapere che nell’orto stavano nascosti i due vecchi.
È facile che Susanna frattanto cominciò a mettersi in maggiore libertà, accendendo così maggiormente la passione di quei miserabili. Essi, vista chiusa la porta, uscirono dal loro nascondiglio e correndo da lei le fecero la scellerata proposta di peccare, minacciandola, in caso di rifiuto, di calunniarla atrocemente di adulterio con un giovane.
Si noti che un bagno, anzi il semplice preparativo per farlo, fu occasione prossima di un peccato gravissimo di desiderio, e fu causa di ima sventura atrocissima. Che cosa deve dirsi di quelle incaute donne che, non in un giardino chiuso, ma in pubbliche piazze esibiscono se stesse agli occhi impuri di tutti? Eppure esse non sono caste come Susanna, e diffondono intorno a loro miasmi d’impurità.
Si noti ancora che le precauzioni della modestia non sono mai bastevoli, e che a volte chi crede di non essere vista può stare sotto il cupido sguardo altrui. La propria carne è più pericolosa di un esplosivo, e gli occhi altrui sono più ardenti di uno specchio ustorio; nella curiosità dello sguardo accendono la concupiscenza, e nella turpe fiamma l’anima perde la grazia ed esplode nella passione.
Quale donna con le sue immodestie vorrà addossarsi simile responsabilità? E quale uomo presumerà di sé volgendo lo sguardo ad oggetti impuri? Il peccato entra per gli occhi come per una finestra, ed il fuoco di una passione, acceso che sia, difficilmente si estingue. È funesta illusione il credere che uno sguardo rimane uno sguardo; esso annebbia, turba, sconvolge e conduce nell’abisso della morte spirituale!
3. La calunnia atroce e la condanna.
Susanna era sola e non poteva difendersi. Quei vecchi, accesi di passione, le facevano spavento ed erano estremamente ripugnanti; nel loro sguardo c’era la felinità di una minaccia atroce, ed essa, delicata e timida, tremò tutta. Se avesse acconsentito, non sarebbe sfuggita alla morte come adultera, giacché presto o tardi il suo peccato si sarebbe conosciuto. Se non avesse acconsentito, non avrebbe sfuggito la morte per la calunnia di cui era minacciata. Ella, però, in quelle terribili angustie si preoccupò prima di tutto e sopra tutto dell’offesa di Dio, e disse che era meglio per lei cadere nelle mani di quei perversi senz’aver peccato, che cadervi dopo aver fatto il male. Perciò, accettando eroicamente le conseguenze del suo gesto, gettò un gran grido chiamando aiuto. Anche i vecchi gridarono contro di lei, e uno di essi andò ad aprire la porta del giardino per rendere verosimile la calunnia che stavano per dire, e per fare accorrere gente. Gli scellerati capirono che erano perduti se Susanna li avesse accusati, e si atteggiarono subito ipocritamente a tutelatori della moralità. Al grido angoscioso di Susanna accorsero i servi per vedere quel che avvenisse, e, ascoltati i vecchi che l’accusavano, ne furono esterrefatti, perché simile cosa non era mai stato detta o sospettata dalla loro padrona.
I vecchi infami, tenendo tribunale proprio nella casa di Susanna, rimandarono il giudizio al giorno seguente, per farlo innanzi al popolo; la casta donna rimase così in preda al più amaro dolore, fra le assillanti interrogazioni dei suoi familiari e massime di suo marito
e dei suoi genitori. Dal Sacro Testo non si rileva che essa avesse accusato i vecchioni o si fosse difesa; era piena di fiducia in Dio al quale aveva rimesso la sua causa e da Lui solo aspettava la liberazione. D’altra parte, dolorosamente, il male si crede con maggiore facilità del bene, e di fronte all’accusa di quei perversi ogni sua giustificazione sarebbe stata vana.
Ci sono a volte delle situazioni terribili della vita, nelle quali non è possibile la difesa sia per la potenza di chi assale, sia per l’impossibilità di far rifulgere la verità. In questi casi l’appello a Dio e la fiducia in Lui sono più che mai necessari. I perfidi, che hanno concepito un triste disegno di vendetta e di odio non desistono, e, trovandosi in alto o con forti protezioni, diventano sempre più aggressivi e mendaci.
Il giorno seguente, radunatosi il popolo, i vecchi ordinarono che Susanna fosse condotta nel convegno. Ella, morta di rossore e di pena, vi andò velata, ma quei perfidi comandarono che le fosse tolto il velo, per saziarsi della sua bellezza. Il dolore, infatti, le faceva quasi affiorare sul volto l’anima pura, e la rendeva più bella; la fiducia, in Dio poi la illuminava. Delicata com’era, e il Sacro Testo lo nota a bella posta, i suoi lineamenti s’erano come spiritualizzati, e tutto in lei era decoro di nobiltà. Tutti i suoi parenti e quelli che la conoscevano piangevano di pena, poiché dal volto di lei traspariva l’innocenza; il popolo, invece, era preso da morbosa curiosità, e, fatto puritano per l’occasione, era pronto a condannarla.
I vecchi, alzatisi, posero le mani sul capo di lei, per dire, secondo l’uso, che essi l’accusavano ed erano testimoni contro di lei. Quelle sozze mani sul suo capo innocente furono per lei come carboni ardenti, ed essa piangendo alzò gli occhi al cielo pregando fervorosamente, perché era piena di fiducia in Dio. I vecchi, allora, esposero spudoratamente la calunniosa accusa che avevano ordita contro di lei, dicendo che l’avevano sorpresa in peccato con un giovane. Dissero che, per riuscire nel suo intento, ella aveva chiuso le porte del giardino ed aveva licenziato le fanciulle che erano con lei, prospettando così in modo ignobilmente falso, due circostanze vere, tanto per dare un colorito alla loro causa.
Infine si dichiararono essi tutelatori della moralità, dicendo che erano accorsi per impedire il peccato e catturare il giovane; ma questi,
più forte di loro, era fuggito, e Susanna, presa, non aveva voluto manifestare chi fosse.
La moltitudine, a quel racconto cosi circostanziato e detto con estrema impudenza, prestò fede ai vecchi come ad anziani e giudici, e condannò ad una voce l’innocente donna alla morte.
Susanna non si difende: si rivolge a Dio
A quell’infame condanna Susanna non si rivolse agli uomini, dei quali esperimentava la malvagità, ma ad alta voce invocò il Signore dicendogli con immensa fiducia e tutta concentrata in Lui solo: Dio Eterno, che conosci tutto quello che è occulto, e sai le cose prima che avvengano, tu sai che costoro hanno detto falso testimonio contro di me, ed ecco che io muoio senz’aver fatto nulla di ciò che questi hanno maliziosamente inventato contro di me. Non disse altro, non poteva dire altro, perché la condanna era tutta poggiata sull’accusa e sulla testimonianza dei vecchi perversi che l’avevano provocata, e non c’era modo di annullarla.
È stupefacente come essi potessero reggere ad un delitto così scellerato, e come potessero avere l’impudenza d’andare essi medesimi a fare eseguire la lapidazione di quell'illibata creatura, sapendo bene che si era esposta eroicamente alla morte proprio per non peccare. Ma la perversità umana dolorosamente non ha limiti quando è accesa dall’impurità, dall’ira e dall’avarizia, e riveste un carattere diabolico.
Di fronte alla perversità umana non dobbiamo mai scoraggiarci, ma pieni di fiducia dobbiamo abbandonarci al Signore, persuadendoci che innanzi a Lui gli uomini sono nulla. Egli permette loro, a volte, d’incrudelire, ma lo fa unicamente per nostro amore e per servirsi della loro stessa perfidia come di un mezzo di santificazione per l’anima nostra. Confidando in Dio e abbandonandoci a Lui, noi ci appoggiamo all’infinita sua potenza, e per Lui dominiamo gli eventi e le umane creature.
Se cerchiamo nei mezzi umani la risoluzione delle nostre angustie le complichiamo di più, perché gli uomini cercano il loro tornaconto ed aspirano solo a non avere grattacapi. Ricorriamo prima di tutto a Dio, e poi a quei mezzi anche umani che Egli stesso ci mette
davanti, confidando, però, in Lui solo ed affidandoci a Lui solo. Chi confida in Lui non è confuso in eterno.
4. La liberazione dell’innocente e la condanna dei calunniatori.
Quante preghiere avevano fatto Susanna e i suoi cari in quella terribile sventura! Apparentemente erano apparse vane perché l’innocente fu condannata, e già era trascinata alla morte, ma in realtà il Signore le aveva esaudite, e volle mostrare innanzi a tutti la sua gloria. Egli suscitò un giovanetto, Daniele, e lo riempì del suo Spirito, perché avesse smascherati i due vecchi perversi. Siccome Susanna era stata condannata da tutto il popolo, egli gridò, con quanta voce aveva, di non volere aver parte in quella condanna, ed esclamò: «Io sono innocente del sangue di costei ».
Il corteo lugubre procedeva in silenzio, perché si trattava dell’esecuzione di una condanna a morte; quindi fu facile a tutti ascoltare quella voce squillante; sorpresi esclamarono: « Che cosa è quello che hai detto? ». Ed egli, animato dallo Spirito Santo, prendendo anche coraggio dall’attenzione che gli si prestava, ritto, nel fascino di una giovinezza luminosa, per intelligenza e per forza, li rimproverò di avere stoltamente condannato quella donna, e li esortò a ritornare sul loro giudizio, perché i suoi accusatori avevano reso falsa testimonianza contro di lei.
I vecchi non poterono impedirlo, e, schernendo il giovanetto, gli dissero in tono canzonatorio: « Vieni, siedi in mezzo a noi, e manifestaci la verità, poiché Dio ha dato a te l’onore della vecchiezza ». Non potettero resistere all’impeto del popolo, sospinto da una ispirazione collettiva che Dio gli aveva data, né immaginavano lontanamente che quel giovanetto avesse potuto confonderli; pigliarono la cosa a scherzo, facendo di necessità virtù. D’altra parte, poi, la coscienza doveva rimorderli, e, come tutti i delinquenti, non ebbero coraggio di opporsi a quella revisione di processo.
Daniele per disposizione divina era padrone della situazione, e poiché il popolo lo secondava con simpatia, ordinò ai più autorevoli di separare i due vecchi l’uno dall’altro, in modo che l’uno non potesse ascoltare il ragionamento dell’altro.
Daniele non era un giudice istruttore e non conosceva le arti
per indurre un reo alla confessione del suo delitto, ma per lume di Dio si comportò da perfetto istruttore, disorientando il reo con un’invettiva atta a ricordargli i suoi peccati e ad intimorirlo. Il reo è sempre vile, e, al ricordo dei suoi delitti, anche fatto con termini generali, non osa reagire.
Dopo avere ricordato i delitti dell’uno e dell’altro successivamente, Daniele domandò ad ognuno di essi dove avesse visto peccare Susanna col giovane intruso nell’orto. Il primo disse che l’aveva vista sotto un lentischio, albero resinoso, la cui gomma è molto usata in Oriente; l’altro disse che l’aveva vista sotto un elce.
Daniele, sdegnato per la loro evidente menzogna, annunziò all’uno e all’altro, servendosi delle stesse parole da essi dette nell’esprimere l’albero, il castigo col quale il Signore li avrebbe colpiti per mezzo del suo Angelo, cioè per la sentenza che in nome suo sarebbe stata subito pronunziata su di loro da lui stesso, inviato da Dio, e dal popolo, strumento della sua giustizia. La contraddizione dei due vecchi era evidente, e quindi essi si mostrarono mentitori e calunniatori con le loro medesime risposte.
Il popolo capì che avevano calunniato, per vendetta contro Susanna che si era rifiutata alle loro voglie, e unanimamente benedissero Dio che aveva liberato l’innocente, ed insorsero contro i vecchi applicando ad essi la Legge di Mosè, cioè la legge del taglione e lapidandoli. I genitori, poi, di Susanna, il marito e tutti i parenti esultarono riconoscenti in Dio, perché non era stato trovato in lei nulla di meno che onesto, e Daniele da quel giorno divenne grande innanzi al popolo, perché fu grandemente stimato ed onorato.
La fiducia in Dio non è mai vana.
La preghiera del perseguitato.
Il capitolo si chiude con un versetto che serve d’introduzione al capitolo seguente: il Re Astiage, cioè Dario il Medo, andò a riunirsi ai suoi padri, morendo, e gli successe nel regno Ciro il Persiano.
La fiducia in Dio non è mai vana, anche quando gli avvenimenti della vita precipitano fino all’imminente catastrofe. Anzi è proprio allora che bisogna avere maggiore fiducia nel Signore e non stancarsi di pregare, perché è proprio allora che Dio interviene anche con miracoli strepitosi.
In certe angustie mortali che ci travolgono, il Signore vuol essere e mostrarsi unica nostra salvezza, ed allora proprio permette che la malizia umana irrompa contro di noi ed abbia per poco il sopravvento. Ma anche allora dobbiamo confidare in Dio e solo in Dio, appellandoci alla sua misericordia per noi e per quelli che ci avversano. Bisogna chiudere gli occhi e lasciare a Lui la cura di risolvere certe situazioni tragiche e chiuse. Egli non delude mai la nostra speranza e vince da trionfatore proprio quando i perversi si avanzano con la sicurezza di avere vinto.
Dobbiamo rendergli in questi oscuri momenti della vita una grande testimonianza di amore e di fedeltà, credendo fermamente alla sua onnipotenza ed alla sua bontà.
Sì, mio Dio, io confido in Te, sorgi, giudica tu la mia causa che è causa tua, mostrami la tua potenza e liberami dai perversi che mi giudicano per vendicarsi e per condannarmi.
Sorgi nello splendore della tua luce, mostra che Tu solo sei il padrone degli eventi e il padrone degli uomini; domina gli eventi e domina gli uomini confondendo misericordiosamente il loro orgoglio e la loro audacia, e dissolvendo tutti i loro progetti come si dissipa la nebbia brumosa innanzi al sole.
Io confido in Te, io mi affido a Te. Anche contro di me e contro l’opera tua si sono levati i vecchi che giudicano per soddisfare le loro brame di vendetta, e il cui cuore è stato pervertito dai loro pensieri.
Sono come un abbandonato, senza sostegno, senza difesa, quasi come pagliuzza travolta dall’uragano.
Sorgi, Signore, la mia speranza sei Tu, e per amore del tuo Nome e della tua gloria mostra che Tu non permetti oltre alla malignità degli uomini di gettare tenebre nella tua Chiesa e di disonorarne la giustizia in azioni ingiuste e con maneggi di menzogne.
Mostra che non è lecito al prepotente sopraffare l’innocente ed al menzognero calpestare la verità; rivela la tua luce, suscita il difensore della tua creatura, confondi i macchinatori d’inganni, muta il loro cuore, convertili e fa loro conoscere nel pianto del dolore le loro colpe perché le riparino, perché si santifichino e si salvino.
Così sia.
Sac. Dolindo Ruotolo

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