martedì 8 aprile 2014

08.04.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 8, par. 4

4. La discussione di Gesù coi farisei
Quando i farisei sentirono Gesù che si proclamava luce del mondo, insorsero contro di Lui come ad uno che si esaltava da sé ed esclamarono: Tu rendi testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è veritiera. Non capirono che quella proclamazione era una grazia, un'immensa grazia, e che Egli non cercava di glorificarsi vanamente ma di salvare, chiamandosi luce del mondo. Egli rimuoveva quasi lo schermo che lo eclissava, e rifulgeva innanzi ai secoli che furono e che saranno, come sole al centro di un sistema planetario.
Gesù Cristo altra volta aveva risposto alla difficoltà fattagli dai farisei appellandosi alla testimonianza del Padre e del Battista, come si vede al capitolo 5,33-36; Egli anzi allora disse che la sua testimonianza non sarebbe stata veritiera per loro se l'avesse data. Ma allora Egli parlava della sua missione estema, e logicamente si appellava alla proclamazione che ne aveva fatto il Padre dal cielo, quando Egli andò al Giordano per ricevere il Battesimo, e Giovanni sulle rive del fiume, additandolo come Messia e come Agnello di Dio, cioè come vittima di amore.
Ora Egli parlava di quello che era per i secoli e per il mondo, prescindendo dalla sua carriera mortale e dalla missione immediata che aveva in mezzo al suo popolo, e perciò rendeva testimonianza di sé, perché Egli solo poteva conoscere la sua origine divina, da dove vengo, e l'estensione del suo disegno divino a tutte le creature, dove vado. Rispose perciò ai farisei: Benché io renda testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché io so da dove sono venuto e dove vado, voi invece non sapete da dove io venga e dove io vada. Non avevano essi detto che la caratteristica del Messia sarebbe stata il mistero della sua origine? Quando verrà il Cristo, avevano detto (7,27), nessuno saprà da dove esca; sebbene questo mistero che essi negavano perché giudicavano secondo la carne, cioè riguardando la sua origine terrena, c'era veramente e riguardava la sua origine divina. Essi poi giudicavano secondo la carne non per serena indagine sulla stessa origine terrena, ma per pigliarne motivo di disconoscerlo e disprezzarlo; per questo Gesù soggiunse: Io non giudico nessuno, cioè .io non parlo per secondo fine, né parlo per diminuire la vostra reputazione e la vostra autorità, ma per dirvi la verità e per condurvi alla salvezza eterna.
Gesù proclama la sua divinità
Ritornando al nodo della questione, e cioè alla validità ed al valore della testimonianza che Egli aveva resa di sé, chiamandosi luce del mondo, Gesù soggiunse che questo giudizio che Egli faceva di sé non poteva chiamarsi falso neppure considerandolo legalmente, poiché Egli, assolutamente parlando, non era il solo testimone che essi avevano ascoltato sulla sua stessa origine divina e sulla proclamazione che aveva fatta di sé come luce del mondo; al Giordano il Padre lo aveva presentato come Figlio suo diletto nel quale si era compiaciuto (Mt 3,17; Me 1,11; Le 3,22), e le opere che gli faceva compiere erano luminosa conferma che Egli era il Salvatore del mondo, aspettato da tanti secoli. Ora se la Legge diceva che la testimonianza di due persone era degna di fede (Dt 17,6; 19,15), ecco che la sua affermazione aveva la testimonianza di due persone: la sua e quella del Padre. Mettendosi allo stesso grado del Padre, Egli proclamava che la sua Persona era divina e, chiamandosi Figlio di Dio, conoscenza del Padre ed oggetto della sua compiacenza, Egli dava alla propria testimonianza il valore più grande che poteva avere, essendo testimonianza dell'eterna sapienza e dell'eterna verità.
Nel sentire nominare il Padre, i farisei gli domandarono in tono ironico: Dov'è tuo Padre? Essi volevano dire: tuo padre lo conosciamo bene; era quel Giuseppe di Nazaret, povero falegname. Per questo Gesù, rispondendo a questo loro nascosto pensiero, disse: Voi non conoscete né me né il Padre mio. Credete che conoscendo il mio padre putativo potete conoscere me, riguardarmi come uomo e povero figlio di un fabbro; ma io vi dico che, se voi conosceste me ed approfondiste la testimonianza che di me vi rende Dio, conoscereste certamente anche il Padre mio. Egli, infatti, come Verbo del Padre ne era la conoscenza sussistente, e s'era fatto uomo per farlo conoscere agli uomini; se essi avessero conosciuto Lui in questa luce, avrebbero conosciuto anche il Padre.
Queste cose, soggiunge l'evangelista, Gesù le disse nella sala del tesoro, dov'erano le casse per raccogliere le offerte dei fedeli; era la sala più vigilata, trattandosi di custodire il denaro; le guardie del tempio stavano pronte in ogni momento, eppure nessuno osò arrestarlo nonostante si proclamasse così solennemente Dio, perché non era giunta la sua ora. Anche in questo Egli dimostrava di essere il padrone di tutto, e che si sarebbe offerto spontaneamente alla morte.
Evidentemente i farisei dovettero adirarsi profondamente alla esplicita affermazione della sua divinità, ed avrebbero voluto allora stesso arrestarlo; non osarono però farlo, pur rodendosi di livore. Per questo Gesù, leggendo nel loro cuore e nei loro pensieri, e rispondendo alla loro ferma decisione di ucciderlo, ripigliò il discorso e disse: Io me ne vado, e voi mi cercherete e morirete nel vostro peccato. Dove io vado voi non potete venire. E voleva dire: Io me ne vado quando lo vorrò io, e quando vi permetterò d'insorgere contro di me, morirò ed allora ne godrete come di una vittoria riportata da voi; ma poi verrà il giorno dell'angustia terribile e voi mi cercherete, ossia cercherete il Messia che vi salvi, e cercherete anche me, sospettando che io sia stato il Messia, ma non mi riconoscerete, morirete nel vostro peccato e non mi potrete raggiungere nel cielo dove io vado.
Parole terribili che danno una grande angustia: Dove io vado voi non potete venire
Parole che annunziano la perdizione eterna di quegli infelici che tuttora sono nell'inferno, e cercano invano la salvezza, avendola già rifiutata. Essi, non si ricordarono solo del Messia nell'assedio e nella distruzione di Gerusalemme, ma se ne ricordano anche ora nella perdizione eterna! O Gesù, non lo dire anche a noi, per carità, dove io sono voi non potete venire', noi ti crediamo, ti amiamo, ti vogliamo servire e ti vogliamo seguire eternamente. Che terrore ci fa questa tua parola: Dove io vado non potete venire', che pena pensando a tante anime che si perdono miseramente e sono eternamente staccate dal tuo Cuore!
I farisei, vistisi scoperti nel loro furore e nella loro decisione di ucciderlo, per dissimularla, dissero alla gente: Si darà forse la morte, da dire: dove io vado voi non potete venire? Fecero un'insinuazione proprio assurda, che non poteva neppure lontanamente essere giustificata dalle parole dette da Gesù, ma la fecero sia per disprezzo e sia, forse, perché pensavano di farlo morire di nascosto, e spargere poi la voce che si fosse addirittura ucciso. Egli poi parlava con infinito amore e traspariva dalle sue parole il proposito di voler dare la vita per gli uomini; essi scambiavano quel proposito di amore con un proposito suicida addirittura, e pensavano di poterlo sfruttare innanzi al popolo per disfarsi di Lui definitivamente, uccidendolo e spargendo la voce che si era ucciso.
Erano così lontani dalle sue vedute di amore! E Gesù soggiunge: Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Ed a disingannarli soggiunse subito: Vi ho detto dunque che morirete nei vostri peccati, perché se non crederete che io sono, morirete nel vostro peccato. Non era Lui che voleva uccidersi, ma erano essi che ostinandosi nella loro incredulità davano la morte all'anima loro; essi non avevano pensieri di cielo, ma seguivano il mondo, e per questo non intendevano le sue parole e non gli credevano. Dovevano pensare seriamente ai loro casi, e non precipitarsi nell'abisso della perdizione con la loro ostinata incredulità.
Sentendo che Gesù parlava con accento divino della necessità assoluta di credere in Lui, i suoi interlocutori dovettero avere una certa scossa, perché quelle parole non erano indifferenti, e perciò gli domandarono: Tu chi sei? Egli aveva detto di non essere di questo mondo, e non l'aveva solo affermato, ma aveva dato alle sue parole un tono ed un'espressione che non erano normali ed umani; dal suo volto doveva trasparire qualche cosa di misterioso che impressionava, e perciò gli stessi suoi avversari se ne preoccuparono e gli domandarono chi Egli fosse; Gesù rispose solennemente: Il principio, io che vi parlo, cioè io sono Colui che era in principio presso Dio, io sono il principio35 di tutte le cose, perché tutto fu fatto per me, io sono il principio fondamentale di ogni sapienza, essendo io l'eterna sapienza.
Gesù rimase per un momento in silenzio; dalla sua persona spirava un'aura divina di solenne verità; Egli non disse semplicemente: Io sono il principio che vi parlo, ma si mostrò in grande maestà di luce e di amore, per scuotere l'insensibilità dei suoi interlocutori. Essi erano là insensibili, non capivano che si proclamava Figlio di Dio, e rimuginavano tra loro stessi come liberarsi di Lui, giudicandolo come un forgiatore di stranezze. Per questo Gesù soggiunse: Molte cose ho da dire e da condannare a vostro riguardo, cioè io potrei mostrarvi la genesi e la natura delle tenebre che in questo momento vi avvolgono, e svelarvi quali peccati vi impediscono di vedere la luce della verità, ma vi dico solo questo: io non sogno né dico sciocchezze, dico al mondo quello che ho udito dal Padre che mi ha mandato ed il Padre è veritiero. E soggiunse: voi mi domandate chi io sia, senza riflettere a tutto ciò che vedete ed al compimento delle profezie; anzi mi rinnegate e pensate come togliermi di mezzo e uccidermi. Ed io vi dico che proprio quando crocifiggendomi mi avrete sollevato in alto sulla terra, allora conoscerete, dai prodigi che avverranno nella mia morte, e da quelli che seguiranno nella mia risurrezione, quello che io sono. Ascolterete le mie ultime parole rivolte a voi e al Padre, e capirete da esse che io non sono un sopraffatto da voi ma che compio ciò che il Padre ha voluto che compissi; lo compio secondo i suoi disegni e la sua volontà; e parlo secondo l'eterna verità, essendo io Verbo di Dio e sua conoscenza sussistente. Capirete allora che io non sono sulla croce perché maledetto e abbandonato dal Padre, come potrebbe esserlo qualunque malfattore che pende dal legno deH'infamia, ma che io vi sono per compiere fino all'ultimo il disegno e la volontà del Padre, e per compierlo in sua compagnia, amandolo cioè ed essendo amato da Lui di amore infinito.
Allora capirete che in croce ci sono io che parlo secondo quello che il Padre mi ha insegnato, cioè ci sono io Verbo del Padre, ed io che nulla faccio da me, perché sono il Verbo Incarnato, disceso in terra per compiere la volontà di Dio; capirete che il Padre è con me e non mi ha lasciato solo, amandomi infinitamente, e che io sono con Lui e lo amo infinitamente compiendo la sua volontà; capirete quindi che col Padre e con me c'è l'eterno Amore che procede dal Padre e da me, e unisce il Padre a me e me al Padre. È questo il senso delle misteriose e divinamente sintetiche parole che Gesù disse: Quando avrete innalzato da terra il Figlio dell 'uomo, allora conoscerete quello che Io sono, e che nulla faccio da me stesso, ma parlo secondo quello che il Padre mi ha insegnato. E Colui che mi ha mandato è con me, e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre ciò che piace a Lui. Gesù poi diceva: Allora capirete, per dire: allora sarà manifesto, e per riferirsi a quelli che nella sua morte si sarebbero ricreduti, avrebbero abbracciato la fede, ed avrebbero compreso a poco a poco l'ineffabile mistero della redenzione. Egli non poteva esprimersi più chiaramente, e parlò con sintesi divina per non dare occasione ai suoi nemici di inveire di più contro di Lui e peggiorarsi; Egli però parlando fece rifulgere come vita la verità che diceva, e per questo molti credettero in Lui, molti di quelli che non erano interamente accecati dalle passioni, e nella cui mente poteva penetrare la luce della verità.
Sac. Dolindo Ruotolo

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