martedì 15 aprile 2014

15.04.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 13, par. 4-5

4.  Giuda, presente all'istituzione eucaristica, non tradì per destino ma per sua libera volontà
Chiamando beati gli apostoli se avessero seguito il suo esempio nella missione che loro assegnava, Gesù si commosse profondamente. Egli vedeva che uno di essi non solo non lo seguiva in quel ragionamento, ma si urtava internamente e contrastava con Lui, pur non manifestandosi apertamente. Perciò soggiunse: Io non parlo di tutti voi.
Poi si fermò un momento, e pensò che Egli stesso aveva eletto l'apostolo traditore, Egli stesso aveva chiamato nella santa compagnia colui che doveva essere un demonio, e se ne accorò, perché questo poteva essere di tenebre per tutti gli altri. Perciò, a diradare questa caligine di oscurità, disse: Conosco quelli che ho eletti, cioè sapevo bene nell'eleggere Giuda che sarebbe stato traditore, ma l'ho eletto lo stesso per utilizzare la sua perversità nel compimento del disegno di Dio. Nel
Salmo 40,10, sotto la figura di Achitòfel traditore di Davide, era predetto il traditore del Messia, che mangiando il pane con Lui, cioè vivendo in sua compagnia, e determinatamente mangiando con Lui nella cena stessa dell'amore, avrebbe levato il calcagno contro di Lui, mostrandosi suo nemico e cercandolo a morte. Ora questa profezia annunziava il futuro, non lo determinava, quasi rendendo necessaria o fatale la colpa di Giuda, ed annunziava anche uno dei tratti del disegno divino nella Passione del Redentore, conseguenti la perversità del traditore.
Gesù non scelse Giuda perché fosse un traditore, ma perché fosse apostolo, e certamente scegliendolo volle migliorarlo; sapeva per divina prescienza che sarebbe stato traditore, e che questo sarebbe stato utilizzato da Dio per il compimento del suo disegno, e lo elesse col Cuore angosciato, in perfetta obbedienza al Padre.
Nella Passione, sintesi di tutti i dolori e raccolta di tutte le umane iniquità che sarebbero state addossate al Redentore, non poteva mancare la rappresentanza del traditore.
Come un pittore che raccoglie un bastoncino di carbonella...
Dio non annunziò il traditore per predeterminare uno ad esserlo, ma per dire quello che sarebbe avvenuto in una libera volontà umana, ingrata alla sua grazia, e che Egli avrebbe utilizzato, come un pittore che raccoglie un bastoncino di carbonella da un camino, residuo sporco della combustione delle legna, per tracciare nel suo quadro la linea oscura che gli serve nell'armonia delle ombre del suo disegno.
Era predetto un traditore, non quel traditore; ci voleva la rappresentanza del tradimento, e Dio la voleva ma non voleva che un uomo, e tanto meno che quell'uomo fosse stato traditore.
Gesù Cristo nell'eleggere Giuda non solo non gli tolse la libertà del bene perché fosse il traditore predetto, ma lo colmò di grazie e di misericordie specialissime perché non lo fosse. Egli però conosceva che lo sarebbe stato, e lo elesse perché si fosse compiuto il disegno divino preannunziato dalla profezia.
Se non l'avesse eletto, Giuda sarebbe stato certamente peggiore di quello che fu, e forse sarebbe stato tra i più feroci carnefici del Redentore. E assurdo pensare che la compagnia del Signore l'avesse peggiorato, poiché le grazie, anche mal ricevute, e gli esempi santi attenuano sempre l'empietà dei perversi. Può dirsi anche che Gesù per estrema carità verso gli uomini preferì che il traditore fosse uno dei suoi cari, e raccolse Egli quest'ignominiosa creatura, per non lasciarne ad altri l'obbrobrio. Non volle lasciare a nessuna categoria umana il tristissimo ricordo di aver avuto un traditore come Giuda, il più ripugnante dei suoi persecutori.
I sacerdoti, gli scribi, i farisei agirono da perversi, ma tentavano illudersi che lo facessero per amore della Legge e del popolo; i crocifissori stessi apparivano come esecutori di ordini legali; solo Giuda tradì per suo tornaconto e per vile moneta Colui che lo aveva amato e beneficato e che lo aveva accolto fra le persone a Lui più care. Ad ogni modo quello che è certissimo è che Giuda non tradì per destino ma per sua libera volontà, istigato da satana, e che la profezia che lo annunziò predisse ma non predeterminò il fatto. Gesù poi, prevedendo che Giuda, proprio Giuda l'avrebbe tradito, lo elesse, utilizzando quella perfida volontà per il compimento del disegno divino, e per mostrare col fatto che tutto ciò che era stato predetto del Messia si avverava in Lui.
Egli inoltre preannunziò agli apostoli il tradimento prima che si avverasse, quasi fosse stato una fatalità, per coprire col manto della bontà sua il povero Giuda, e non renderlo estremamente odioso ai compagni. Preferì che avessero pensato che così doveva avvenire perché così era stato predetto, anziché pensassero adirati che il perfido Giuda l'avesse tradito per pura sua malignità, e per ostacolare il compimento del piano di Dio, compromettendo per sempre l'avvento del suo regno. La sua infinita carità giunse a questo eccesso di delicatezza verso quel malvagio e scellerato suo apostolo!
E Gesù guardava con immenso dolore ai discendenti di Giuda: ai sacerdoti che avrebbero tradito la loro sacra missione
Dopo avere accennato alla profezia del tradimento, citando a senso le parole del Salmo 40, Gesù soggiunse alcune parole che nel contesto sono oscure e misteriose: In verità, in verità vi dico: Chi riceve colui che io manderò riceve me stesso, e chi riceve me riceve colui che mi ha mandato. I Padri si sforzano in vario modo di trovare il nesso di queste parole con quelle precedenti, ed alcuni le riferiscono alla lavanda dei piedi, spiegandole così: Chi lava i piedi a quelli che io mando non si avvilisce, ma presta omaggio a Colui che ha mandato me. Non sembra però dal contesto che possano riferirsi alla lavanda dei piedi, ma piuttosto alla profezia del tradimento:
Gesù tentò insinuare nell'animo degli apostoli la carità verso il medesimo Giuda, come si è detto e, per meglio tutelarlo contro l'ira dei compagni volle far riflettere che, quantunque traditore, era sempre uno di quelli che aveva mandato, e che aveva rivestiti del carattere sacerdotale.
Non dovevano dunque irrompere contro di lui quando si sarebbe avverato ciò che loro prediceva, riguardandolo sempre come uno dei suoi. È questa la spiegazione che più dipende dal contesto. Gesù, poi, parlando del tradimento, guardava tutti i ministri infedeli della sua Chiesa che, mangiando alla sua mensa eucaristica, avrebbero levato il calcagno contro di Lui tradendo le anime, discreditando la loro missione ed insozzando la loro dignità, e raccomandò a tutti i suoi fedeli di non irrompere contro di loro per la loro condotta privata, riguardandoli sempre come suoi ministri, e come inviati da Dio. Egli voleva dire: non sarà uno solo quegli che mangiando il pane con me leverà il calcagno contro di me, e ve lo dico prima, perché quando ciò si avvererà, vi ricordiate che sono io, che io solo sono che guido e salvo le anime. Voi allora perciò considerate che chi riceve colui che io manderò, perché rivestito del mio carattere, riceve me stesso, e chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato.
In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà
Dopo queste considerazioni generali sul tradimento che Egli doveva soffrire, Gesù volse il Cuore determinatamente a Giuda, come suo discepolo, amato da Lui di amore misericordioso, e si commosse profondamente perché ne fu sommamente addolorato. Giuda, pur avendo già pattuito il tradimento, se ne stava impassibile, e non mostrava di preoccuparsi di ciò che Gesù aveva detto sul traditore. Credeva così di dissimulare il suo delitto, e ne soffocava il rimorso per non smascherarsi con un turbamento esterno; per questo Gesù, cercando di scuoterlo, protestò solennemente e con accento accoratissimo, dicendo: In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà.
Gli apostoli, ancora tardi nel capire, non avevano riflettuto che Gesù parlando del traditore alludesse ad uno di loro; perciò la sua esplicita dichiarazione fu per essi come un colpo di folgore, ed esterrefatti si guardavano l'un l'altro, interrogando poi Gesù ciascuno, per suo conto, per conoscere chi fosse (Mt 26,22; Me 14,19). Giuda stesso, come nota san Matteo, per non svelarsi interrogò Gesù se fosse proprio lui a tradirlo (Mt 26,25), e Gesù glielo fece intendere senza fame accorgere agli altri. Pietro, nel suo immenso amore per Gesù, era il più costernato di tutti, non perché temesse di essere lui, credendosi anzi troppo sicuro della sua fedeltà, ma perché voleva prendere misure contro il traditore; fece perciò cenno a Giovanni, a domandargli chi fosse.
I convitati stavano a mensa distesi sui divani che fiancheggiavano la tavola, ed appoggiandosi con la sinistra sui cuscini, mangiavano con la destra. Giovanni stava adagiato sui cuscini a destra di Gesù, ed aveva poggiato il capo con facilità sul petto di Lui durante l'istituzione eucaristica, che precedette la dichiarazione che Gesù fece del traditore. Al cenno di Pietro quindi gli fu facile domandare sommessamente al Signore chi l'avrebbe tradito. Gesù a lui non lo nascose, perché sapeva che aveva maggiore carità di tutti, e gli disse che era colui al quale avrebbe dato del pane intinto. Chi presiedeva un banchetto, soleva dare agli ospiti un pezzo di pane intinto, o un pezzo di carne, per testimoniare loro il suo amore; Gesù scelse questo segno per indicare a Giovanni il traditore, sia perché era il più adatto a non fame accorgere agli altri, e sia per dare a Giuda un'ultima testimonianza di amore per conquiderlo.
Giuda, sconvolto com'era della stessa istituzione eucaristica, che a lui dovette sembrare una stoltezza, in peccato mortale sia per lo stato della sua coscienza sia per l'indegna partecipazione al divino mistero di amore, pieno di avversione e di odio, ricevette quel segno di amore con un atto di disprezzo, e credendo forse che fosse un pezzo ancora di quel pane che Gesù aveva detto suo Corpo, rinnovò il suo disprezzo per l'Eucaristia.
Il suo odio per Gesù si accese più forte e, nel terribile turbamento nervoso che ne seguì, satana lo avvinghiò più fortemente e lo possedette. Non fu un ossesso, e rimase nel pieno possesso della ragione e della volontà, ma si dette interamente al diavolo, e ne fu dominato. Si alzò di scatto per andare via e consumare il suo tradimento. Era torvo, accigliato, contraffatto, e quel suo gesto improvviso non sarebbe potuto passare inosservato agli altri apostoli; Gesù con immensa carità prevenne la riflessione degli altri sul gesto di Giuda, e quasi che egli si muovesse ed uscisse per compiere un affare od una commissione, gli disse: Ciò che fai fallo presto.
Dicendo questo non usò di una finzione, perché in realtà Giuda usciva per compiere il suo tradimento, e Gesù, dato che vi si era già deciso, aveva quasi fretta, nel suo amore infinito, d'immolarsi, come appare chiaro dalle parole enfatiche che disse all'uscita di Giuda. Egli inoltre volle mostrare al traditore che senza il suo permesso non avrebbe potuto consumare il delitto, e dicendogli: Ciò che fai fallo presto, gli disse indirettamente che era Lui stesso che gli permetteva di agire in quel modo.
Da forte divino poi qual era, mentre Giuda nel suo odio credeva di sopraffarlo, Egli mostrava di non temere il pericolo, anzi di desiderarlo, per i fini del suo amore. Forse, stando a ciò che dice Origene, Gesù si rivolse anche a satana che era entrato in Giuda, e poiché era proprio satana che spingeva l'apostolo ingrato al tradimento, per provocare la catastrofe, Gesù, quasi forte che non teme l'avversario perché sa di vincerlo, e lo provoca per mostrargli la propria potenza, disse a satana che avesse pur dato corso alle sue macchinazioni, poiché Egli
lo permetteva, e gli avrebbe subito mostrato la sua potenza. Ad ogni modo gli apostoli non capirono perché Gesù avesse parlato così a Giuda, e poiché questi aveva in custodia la borsa del denaro, credettero o che dovesse comprare qualche cosa per la festa, o che dovesse dare qualche elemosina ai poveri. Giuda uscì subito dopo aver preso li boccone, e Pietro non ebbe neppure il tempo di capire da Giovanni ciò che gli aveva detto Gesù. Forse Gesù stesso lo impedì per infinita carità, e se disse a Giuda di uscir presto, lo fece anche per metterlo al sicuro dalla reazione degli apostoli, che si sarebbero facilmente accorti del suo sconvolgimento, ed avrebbero fatto irruzione contro di lui.
La successione degli avvenimenti in breve sintesi e in relazione agli altri Vangeli
Sintetizziamo questi eventi per maggiore chiarezza, anche in armonia con quello che dicono gli altri Vangeli, come essi si successero. Gesù Cristo si raccolse con gli apostoli per la cena pasquale, e celebrò prima di tutto questa, ultimo simbolo della sua imminente immolazione cruenta, e figura splendida della mensa di amore che voleva istituire. Verso la fine della cena legale, Gesù lavò i piedi dei suoi discepoli (Gv 13,1-20) e cominciò ad accennare velatamente al traditore (Mt 26,21- 25; Me 14,18-21; Le 22,17-18; Gv 13,21-23). Dopo la lavanda dei piedi dette il precetto dell'amore, ed istituì l'Eucaristia, sacramento di amore, e il Sacerdozio, ministero di amore. Giuda fu presente, tanto alla cena legale e alla lavanda, quanto all'istituzione eucaristica. Dopo l'istituzione eucaristica, Giuda che ricevette sacrilegamente il Corpo e il Sangue del Signore, più si sconvolse, più si agitò, e nel suo interno decise di andare quella notte stessa a far catturare Gesù, secondo il patto già stipulato coi sacerdoti e col sinedrio. A lui l'Eucaristia, sembrò un eccesso di aberrazione e di innovazione fantastica, e poiché ricevendola si sentì profondamente turbato, si confermò nel malvagio proposito di far cessare, secondo lui, quelle turlupinature, e quegli scempi della Legge. Era mosso da satana e dall'odio, ma in quel momento satana stesso gli faceva intendere che fosse mosso da sdegno e da zelo. Gesù perciò, per scuoterlo e mostrargli che Egli conosceva tutto denunziò apertamente, che uno lo avrebbe tradito, lo disse a Giuda che gli aveva domandato se era lui, e lo indicò a san Giovanni, perché con l'ascendente della sua carità e con la forza della sua preghiera, avesse potuto giovargli. Giuda credeva di far cessare una turlupinatura ed un inganno, che secondo lui durava già da molto tempo, e Gesù mostrò invece che non aveva timore d'immolarsi, anzi lo bramava, e per questo permetteva che egli avesse consumato il suo tradimento.
Dopo di questo, Giuda uscì definitivamente dal cenacolo.
Riordinando gli avvenimenti così, come del resto è logico, rimane assodato senza alcun dubbio, che Giuda partecipò all'Eucaristia, e che ebbe anche il Sacerdozio benché, dolorosamente, sia stato sacrilego e profanatore.
L'unica difficoltà che si può opporre alla presenza di Giuda nell'istituzione dell'Eucaristia è il fatto che san Matteo premette ad essa la denunzia del traditore (26,22-25). Ma san Matteo suole raggruppare in uno i fatti e le circostanze dei fatti di una stessa natura e, parlando del primo accenno di Gesù ad un traditore, parla subito dopo della denunzia esplicita del traditore, che avvenne dopo l'istituzione eucaristica. E penosissimo certamente pensare che il banchetto dell'amore e della vita sia stato profanato dal traditore; il cuore desidererebbe quasi contorcere il cammino storico dei fatti per non ammetterlo, tanto ripugna; ma è un fatto innegabile che dolorosamente inaugurò la passione eucaristica di Gesù sugli altari, e la serie sterminata delle ingratitudini che avrebbe avuto dagli uomini. In quel sacro luogo dove era sintetizzata la storia del passato e quella futura, non mancò neppure la triste rappresentanza dei sacrileghi e dei sacerdoti indegni!
5.  L'esultanza dell'amore di Gesù per il suo sacrificio imminente
Giuda uscì dal Cenacolo ed era notte, dice il Sacro Testo; notte naturale nel luogo, e notte nell'anima del traditore, figlio delle tenebre, che usciva per andare incontro all'abisso ed alla notte eterna della perdizione.
Era invece luce fulgente nell'anima di Gesù, erano splendori di fiamma nel suo ardentissimo Cuore, ed Egli, vedendo che stava per compiersi il suo desiderio ardente d'immolarsi per la gloria di Dio e per la salvezza di tutti, esclamò: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui anche Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto. Psicologicamente, se può dirsi così trattandosi di Gesù, nella sua umanità Egli ebbe un tale schianto per la partenza di Giuda, che per non venir meno ebbe bisogno di volgersi ai grandi fini della redenzione. Dal contesto si rileva che il suo Cuore era sommamente intenerito, chiamando i suoi apostoli fìgliolini miei; ora la tenerezza patema, anzi diremmo materna, gli fece sentire nel Cuore uno strappo angoscioso per Giuda e, quasi per dominarsi e non apparirne vinto, per non contristare i suoi apostoli e per dare al suo Cuore che scoppiava d'angoscia uno sfogo d'amore, Egli riguardò la gloria che avrebbe avuto Lui stesso morendo, e che sarebbe ridondata nel Padre col suo sacrificio.
Nell'enfasi del suo amore guardò al futuro come ad un fatto già avvenuto, ed usò il tempo presente nelle sue parole: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Egli in realtà s'era già offerto eucaristicamente, e la sua santissima umanità era stata glorificata sommamente in quel mistero d'amore, diventando cibo di vita. Il Corpo ed il Sangue, allora ancora mortali, erano diventati cibo e bevanda di vita immortale ed eterna per tutti gli uomini in tutti i secoli. Non c'era un'incorruttibilità più grande, un'elevazione più sublime ed un regno più universale, come non c'era una glorificazione più grande di Dio in un sacrificio che era identico a quello del Calvario, ma non era consumato dall'irruzione dell'empietà e dalla scelleratezza dei carnefici, sebbene dall'amore più grande che potesse elevarsi innanzi a Dio e dalla fiamma più ardente di carità.
Nell'impeto del suo amore Gesù soggiunse: Se Dio è stato glorificato in lui cioè nel Figlio dell'uomo, anche Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto. L'offerta che Gesù aveva fatto di se stesso al Padre e la sua volontà d'immolarsi era già una glorificazione piena di Dio; l'imminente sacrificio del Golgota in realtà non era che la consumazione. La vittima per onorare Dio doveva essere consumata, giacché un agnello non poteva offrirsi con la volontà; ma la Vittima divina era già offerta nell'atto della sua volontà, e Dio, anche prima del sacrificio del Calvario, ne era stato glorificato. Ora, come Gesù aveva glorificato il Padre, e come avrebbe consumato questa sua glorificazione sulla croce, così il Padre l'avrebbe glorificato in se stesso elevandolo alla sua destra, cioè nello splendore della divina gloria e facendolo Re di tutto l'universo.
Questa glorificazione sarebbe avvenuta presto nell'Ascensione al cielo, e nella dilatazione della Chiesa e sarebbe avvenuta anche sul Calvario, per i grandi prodigi che avrebbero accompagnato la sua morte.
Agli occhi degli uomini infatti la croce fu obbrobrio, ma agli occhi di Dio fu grande glorificazione, poiché sotto l'umiliazione tremenda e gli spasimi atroci, rifulgeva la potenza di Gesù Cristo, vittorioso del peccato e di satana, splendeva la sua sapienza infinita, ed ardeva il suo amore; la stessa dolorosissima immolazione era come una fiamma di santità ed un profumo di preghiera che mai da nessuna creatura s'erano elevati a Dio, poiché erano carità e preghiera divina. Il Signore, dando alla morte il suo Figlio, il Verbo suo Incarnato, lo glorificava nello splendore di quella medesima umanità torturata, che attraverso i dolori dava i frutti più belli e più grandi, ed era come vita lussureggiante di grappoli maturi, e come campo ripieno di messe.
La gloria della croce
È proprio quello che avviene in piccolo nelle anime immolate, vilipese, calunniate e colme di dolori anche nel loro corpo. Il dolore e la croce sono gloria incomparabile quando diventano un'offerta dell'amore; attraverso il dolore rifulge tutta la bellezza dell'anima, e splende mirabilmente la grazia che l'adorna.
Mai l'anima su questa terra è così glorificata innanzi a Dio che quando agonizza, è disprezzata dal mondo, è ridotta come un verme innanzi ai superbi, è considerata come stravagante, ed è crocifissa dal dolore. Allora è tutta luce, tutta sapienza, tutta amore, ed elevata negli splendori della grazia forma la compiacenza di Dio. Il mondo questo non lo capisce, e giunge a credere che Dio si diletti di veder soffrire, mentre Dio si diletta solo di glorificare la sua creatura, preparandole poi una più grande glorificazione in se stesso, nell'eterna felicità. Il Signore in questo campo di amore, sconosciuto alla carne ed al sangue, non può curarsi degli apprezzamenti della carne e del sangue, come non si cura della critica di uno stolto che pone le pietre nel crogiuolo per trame l'oro liberandole
dal terriccio che l'offusca. Per questo non c'è atto più sapiente, in questa vita di prove affannose, e molto più nella vita di elevazioni mistiche, quanto quello di unirsi alla divina volontà, ed accettate il dolore con gioia, in unione dell'esultanza del Redentore che, tradito da Giuda, nella certezza dell'imminente Passione, non vide che la glorificazione di Dio, e la gloria che sarebbe ridondata alla sua stessa umanità, secondo quello che dice san Paolo: Proposito sibi gaudio sustinuit cruce (Eb 12,2).
Il nuovo comandamento
Gesù Cristo, parlando della glorificazione di Dio, sapeva di parlare della morte alla quale andava incontro, e s'intenerì immensamente per i suoi apostoli, che sapeva di dover lasciare tra poco. Perciò disse con grande amore, compiangendoli: Figliolini, per poco tempo ancora sono con voi. Voi mi cercherete, ma, come dissi ai Giudei, dove vado io voi non potete venire, anche a voi lo dico adesso.
Egli aveva però promesso altra volta di dimorare fra quelli che sarebbero stati congregati nel suo Nome, e diede loro il grande segreto per averlo ancora fra loro e per sentire meno il dolore della sua assenza fisica, dicendo: Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate l'un l'altro, che vi amiate anche voi l'un l'altro come io vi ho amati. Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore l'uno per l'altro. La carità scambievole l'avrebbe conservato in mezzo a loro, anche quando non avrebbero potuto averlo sacramentalmente, ed avrebbe conservato in loro l'unione e l'armonia per poter sentire meno la pena del suo distacco. Essi dovevano amarsi come Egli li aveva amati, senza interesse ed immolandosi gli uni per gli altri; dovevano avere l'amore reciproco come caratteristica particolare d'esser suoi seguaci, e risplendere nella carità in mezzo al mondo che dovevano evangelizzare.
A Pietro che confidava solo nelle sue forze e non faceva assegnamento sulla grazia di Dio, Gesù predice il rinnegamento...
Gesù parlava dell'amore scambievole, e Pietro era tutto concentrato nelle parole che il Maestro divino aveva detto: Dove io vado voi non potete venire. Al suo amore era troppo penosa quella espressione che equivaleva all'annunzio di un distacco, e perciò gli domandò: Dove vai tu? Gesù gli rispose: Dove io vado tu non puoi seguirmi adesso; mi seguirai però in seguito. Pietro capì che alludesse ad un pericolo imminente ma non capì che Gesù, dicendogli che l'avrebbe seguito in seguito, gli prediceva la stessa sua morte di croce. Al suo cuore ardente ripugnava immensamente staccarsi dal Maestro amatissimo ed al coraggio di cui si credeva capace ripugnava di lasciarlo solo; perciò soggiunse con sicurezza: Perché non posso seguirti adesso? Darò la mia vita per te. Egli voleva difenderlo ad ogni costo, anche se questo avesse dovuto costargli la vita, ma si fondava sulle sue forze e non pensava di fare assegnamento sulla grazia di Dio; era debole e non se ne accorgeva. Per questo Gesù gli soggiunse con pena: Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, cioè non spunterà l'aurora del giorno novello, quando il gallo canta, che tu mi avrai rinnegato tre volte. Pietro non si persuase delle parole del Maestro, gli sembrarono un assurdo, e rimase nella convinzione che sarebbe stato capace di dare per Lui la vita, ma dolorosamente dovette convincersi in quella medesima notte quanto era vano il suo proposito ed il suo coraggio senza la grazia di Dio.
Diffidiamo anche noi di noi stessi, e pensiamo alla vanità dei nostri propositi. Quante volte risolviamo di non peccare, e ci sembra che la nostra risoluzione sia ferma, e poi alla più piccola occasione cadiamo miseramente! Quante volte, pur sorretti dalla grazia di Dio, siamo noi a desiderare di cadere, seguendo la corrotta natura, e cercando le occasioni
del peccato! Persuadiamoci che siamo come povero stelo di fieno, che ad un soffio si curva, e ad una raffica si spezza! Ricordiamoci poi del nuovo comandamento di Gesù sulla carità, ed amiamoci come Gesù ci ha amato, compatendoci, aiutandoci, e sacrificandoci gli uni per gli altri. Se la carità è il segno di riconoscimento sulla terra di noi cristiani, nel Cielo è la tessera, l'unica tessera che può introdurci nell'eterna gloria, dove tutto è armonia eterna di carità e di amore.
Sac. Dolindo Ruotolo

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